LA PIEDRA DEL PARANGÓN

 

Personajes

CLARA

ASPASIA

FÚLVIA 

ASDRÚBAL

GIOCONDO

MACROBIO

PACUVIO

FABRIZIO

Marquesa, Enamorada de Asdrúbal   

  Baronesa, Enamorada de Asdrúbal  

Una Dama, Enamorada de Asdrúbal 

     Conde, Rico y Soltero      

Caballero

Un Periodista, Enamorado de Fúlvia

Un Poeta, Enamorado de Aspasia

Confidente de Asdrúbal

Contralto

Soprano

Mezzosoprano

Bajo

Tenor

Bajo Bufo

Bajo Bufo 

Bajo

 

La acción se desarrolla en algún lugar de Italia, en época indeterminada.

 

ATTO PRIMO


(L’azione si finge in un popolato e ricco borgo, poco
lontano da una delle principali città d’Italia, nelle
vicinanze del borgo medesimo, e particolarmente in
un’amena villeggiatura del Conte Asdrubale ivi situata)

Scena Prima

(Giardino. Coro misto d'ospiti e di giardinieri del
Conte Asdrubale; indi Pacuvio; poi Fabrizio da una
parte, la Baronessa Aspasia dall'altra; e finalmente
Donna Fulvia)

CORO
Non v'è del Conte Asdrubale
Più saggio cavaliere:
Ha sensi e cor magnanimo,
È dolce di maniere;
E in casa sua risplendono
Ricchezza e nobiltà.
Le femmine rispetta;
Qui con piacer le accoglie:
Ma par che poca fretta
Si dia di prender moglie;
Sia forte nello scegliere
La sua difficoltà.

PACUVIO
(con alcuni fogli di carta spiegati in mano,
e in atto di leggere)
Attenti; ascoltate:
Che rime sono queste!

CORO
(voltandogli le spalle)
Di grazia lasciate...

PACUVIO
(inseguendoli)
Io fingo che Alceste
Facendo all'amore,
Coll'ombra d'Arbace
Ragioni cosi.

CORO
(come sopra)
Lasciateci in pace.

(Sottovoce)

Più gran seccatore giammai non s'udì.

PACUVIO
(come sopra)
«Ombretta sdegnosa
Del Missipipì...»

CORO
(ironicamente)
Bellissima cosa!

(con somma impazienza)

Ma basta fin qui.

PACUVIO
(veggendo a comparir Fabrizio abbandona gli altri,
e va ad incontrarlo con trasporto)
Le orecchie, o Fabrizio,
Ti vo' imbalsamare.

FABRIZIO
(mostrando molta fretta per liberarsene)
Per certo servizio lasciatemi andare.

BARONESSA
(da un'altra parte chiamandolo)
Fabrizio...

PACUVIO
(rivolgendosi verso di lei)
Signora,
Qui badi per ora:
È Alceste, che parla...

(in atto di leggere)

BARONESSA
Non voglio ascoltarla.

PACUVIO
(ora verso gli uni, ora verso gli altri)
Quest'aria allusiva
Eroico-bernesca
Cantar sulla piva
Dovrà una fantesca
Per far delle risa
Gli astanti crepar.

BARONESSA, FABRIZIO, CORO
È bella e decisa,
Non voglio ascoltar.

PACUVIO
(leggendo)
«Ombretta...»

FULVIA
(contemporaneamente chiamandolo)
Pacuvio...

CORO
(volendosi dispensare)
Di grazia...

PACUVIO
(come sopra verso la Baronessa senz'avvedersi
di Fulvia, che lo chiama)
«Ombretta...»

FULVIA
Pacuvio...

BARONESSA
Son sazia...

PACUVIO
(come sopra verso Fabrizio)
«Ombretta...»

FULVIA
Pacuvio...

FABRIZIO
(con impazienza)
Non posso.

BARONESSA
Ha il diavolo addosso.

FULVIA
Ma, caro Pacuvio,
Badatemi un po'.

PACUVIO
Ho in petto un Vesuvio;
Frenarmi non so.

BARONESSA, FABRIZIO, CORO
Da questo diluvio
Si salvi chi può.

PACUVIO
(a Fabrizio)
«Ombretta...»

FABRIZIO
(ritirandosi)
Per pietà...

PACUVIO
(alla Baronessa)
«Sdegnosa...»

BARONESSA
Io parto,
Se non tacete.

PACUVIO
(avvedendosi solamente in questo punto
di Donna Fulvia)
Oh! Donna Fulvia... Appunto
Qui giungete a proposito: è uno squarcio
Degno d'illustri orecchie.

FULVIA
Io volentieri
L'ascolterò.

PACUVIO
(alla Baronessa con enfasi accennando Donna Fulvia)
Queste son donne!

BARONESSA
(con sarcasmo)
È vero:
Si chiama Donna Fulvia.

FULVIA
(egualmente)
È molto meno
Che Baronessa.

PACUVIO
In somma,
Chi non ama il musaico, o parta o taccia.

FABRIZIO
(a Donna Fulvia, partendo)
Mi consolo con lei.

BARONESSA
(egualmente)
Buon pro vi faccia.

Scena Seconda

(Pacuvio e Donna Fulvia)

PACUVIO
Che ignoranza maiuscola!

FULVIA
Io suppongo
Che sia malignità.

PACUVIO
Peggio per loro!

(nell'atto di tornare a spiegare il foglio)

Odi, mio bel tesoro...

FULVIA
Non dir così: sai che alla destra aspiro
Del Conte.

PACUVIO
Già; ma non per genio.

FULVIA
È ricco.

PACUVIO
(sospirando)
Pur troppo! ed io...

FULVIA
Ci vuol pazienza. Avrai
A buon conto stipendio, alloggio e tavola,
Quando sposa io sarò.

PACUVIO
Fa sempre onore
Alle famiglie un letterato in casa.

FULVIA
Io ne son persuasa.

PACUVIO
(tornando a spiegare il foglio)
Ascolta dunque...

FULVIA
Osserva
Giocondo con Macrobio.

PACUVIO
Ah! quel Giocondo
Non lo posso soffrir.

FULVIA
Dunque bisogna
Evitarlo.

PACUVIO
Sibbene: andiam di sopra;
Anzi, per far più presto
Entriamo in quella camera terrena,
Dove ti recitai la prima scena.

(Partono)

Scena Terza

(Macrobio e il Cavalier Giocondo, che si
avanzano altercando insieme)

MACROBIO
Mille vati al suolo io stendo
Con un colpo di giornale:
S'ella in zucca ha un po' di sale,
Non ricusi il mio favor.

GIOCONDO
Vil timore ai versi miei
Mai non fece alcun giornale:
Ma una bestia come lei,
Se mi loda, io ne ho rossor.

MACROBIO
Stamperò, signor Giocondo.

GIOCONDO
D'ordinario io non rispondo.

MACROBIO
Senza entrar nella materia
Potrei metterla in ridicolo.

GIOCONDO
Forse allora in aria seria
Rintuzzar potrei l'articolo.

MACROBIO
Rintuzzar?.. cioè rispondere?

GIOCONDO
Senza dubbio, et toto pondere.

MACROBIO
Vale a dir?

GIOCONDO
Con tutto il peso.

MACROBIO
Somma grazia mi farà.

GIOCONDO
Ma in qual modo ella non sa.

MACROBIO
Che mel dica.

GIOCONDO
Venga qua.

Per sua regola io conosco
Una semplice tisana,
Che può dirsi il tocca e sana
D'ogni sesso e d'ogni età.

MACROBIO
Io credea tutt'altra cosa
Da trattarsi in versi o in prosa;
Né la vera in lei conosco
Letteraria nobiltà.

GIOCONDO
(senza scaldarsi)
Io vo' far quel che mi piace.

MACROBIO
(con fuoco)
Patti chiari: o guerra, o pace.

GIOCONDO
(deridendolo)
Più bel pazzo non si dà.

MACROBIO
(come sopra)
Guerra vuole, e guerra avrà.

GIOCONDO
(con disprezzo)
Voi siete un uom da niente.

MACROBIO
Ma guai se aguzzo il dente.

GIOCONDO
(cominciando a scaldarsi)
Aborto di natura.

MACROBIO
(in aria derisoria)
Ma stampo e fo paura.

GIOCONDO
(con fuoco)
Hai spalle da bastone.

MACROBIO
Ho un becco da falcone.

GIOCONDO
(con molto sdegno)
E un vile omai chi tollera
La tua temerità.

MACROBIO
(deridendolo)
Non vada tanto in collera,
Che insuperbir mi fa.
Signor Giocondo, io vedo
Ch'ella vuol guerra, e guerra avrà.

GIOCONDO
Né guerra
Voglio con voi, né pace.

MACROBIO
Il mio giornale...

GIOCONDO
Ha molta fame.

MACROBIO
I letterari articoli...

GIOCONDO
Io non compro all'incanto.

MACROBIO
Orsù, parliamo
Di cose allegre. Il Conte
È vostro amico.

GIOCONDO
Ebben?

MACROBIO
Dunque saprete
A qual di queste vedove la destra
Ei porgerà.

GIOCONDO
Che importa a voi?

MACROBIO
Saperlo
Mi giova.

GIOCONDO
Ed io non cerco mai, né svelo
I fatti altrui.

MACROBIO
La Marchesina, io credo,
Trionferà.

GIOCONDO
(sospirando di soppiatto)
Pur troppo
Lo temo anch'io!

MACROBIO
(osservandolo)
Par che sospiri.

(A Giocondo)

Un colpo
Sarebbe questo al vostro cor.

GIOCONDO
Che dici?
Al mio cor? tu deliri.

MACROBIO
Eh, via, che serve
Farne un mistero? Ella vi piace...

GIOCONDO
(interrompendolo con sommo impeto)
In somma,
Vuoi tu finirla, o no?

MACROBIO
(con affettata commiserazione)
Sa il Ciel, se i vostri
Non corrisposti affetti io compatisco!

GIOCONDO
Quando teco questiono, io m'avvilisco.

(Partono per bande opposte)

Scena Quarta

(La Marchesa Clarice, cui di dentro risponde il
Conte Asdrubale ad imitazione dell'eco)

CLARICE
Quel dirmi, oh dio! non t'amo...

CONTE
T'amo.

(Clarice manifesta la sua sorpresa.)

CLARICE
Pietà di te non sento...

CONTE
Sento.

CLARICE
(Fra sè)
E il Conte... ah! sì... proviamo
Se mi risponde ancor.

(A Conte)

È pena tal, ch'io bramo...

CONTE
Bramo...

CLARICE
Che alfin m'uccida amor.

CONTE
Amor.

CLARICE
Al fiero mio tormento...

CONTE
Mento...

CLARICE
Deh! ceda il tuo rigor.

CONTE
Rigor.

CLARICE
Eco pietosa...

(tendendo l'orecchio)

Su queste sponde...

(come sopra)

Più non risponde.

(En alta voce)

Tu sei la sola,
Che mi consola
Nel mio dolor.

Quella che l'eco mi facea, del Conte
Era certo la voce: ei con quest'arte
Si scoperse abbastanza.
«Amo, sento», egli disse, e «bramo amore»;
E quel che assai più val, «mento rigore».
La Baronessa e Donna Fulvia invano
Gareggiano con me,
Seppur non c'infinocchia tutte e tre.
Questo non crederei. Là fra quei rami,
Per meglio assicurarmi
Degli andamenti suoi, vado a celarmi.

(parte)

Scena Quinta

(Il Conte Asdrubale solo, osservando se la
Marchesa Clarice è partita)

CONTE
Se di certo io non sapessi,
Che la donna è ingannatrice,
I lamenti di Clarice
Mi farebbero pietà.
Pietà? Pietà?.. spropositi;
Dove mi va la testa?
Guai, se a pietà mi desta!
Son fritto, come va.
Ah! non sedurmi, Amore;
È giusto il mio rigore:
Ah! non fia ver che in femmina
Io sogni fedeltà.

Di me stupisce ognun, perché, malgrado
I sei lustri d'età quasi compiti,
Non entro nella classe de' mariti;
Tanto più che son ricco.
Tanto meno io direi: son le ricchezze
Della stima e del genio
Tiranne antiche. Allo splendor dell'oro
Bello si crede, o d'allettar capace,
Quel ch'è brutto in essenza o che non piace.
Molte mi dan la caccia, e sopra ogni altra
Queste tre vedovelle: io mi diverto
Dalla lor gelosia; ma qual poi d'esse
Me solo apprezzi, e non la mia fortuna,
Chi lo può indovinar? forse nessuna.

(in atto dipartire)

Scena Sesta

(La Marchesa Clarice e detto)

CLARICE
(con brio ed aria di semplicità)
Conte, udite.

CONTE
In che posso,
Marchesina, ubbidirvi?

CLARICE
Io saper bramo
Se l'eco è maschio o femmina. Ridete?

CONTE
(Fra sè)
O finge, o è molto semplice.

(A Clarice)

Non altro,
Che nuda voce ripercossa è l'eco.

CLARICE
Cammina o no?

CONTE
No certo.

CLARICE
Eppur pocanzi
Era là.

CONTE
La vedeste?

CLARICE
Non lo vidi
Ma l'ascoltai, ma mi rispose... Oh caro!
Caro... se fosse femmina,
Ne avrei dispetto.

CONTE
(Fr sè)
Il mio maggior periglio
È costei, quando parla.

CLARICE
(Fra sè)
Ei va le cose
Ruminando fra sé.

CONTE
Dunque rispose?

CLARICE
E come bene!

CONTE
Ed ora?

CLARICE
Ed ora... ed ora
O dorme, o di parlar non ha più voglia,
Come accade anche a noi.

CONTE
Questo alle donne
Non accade giammai.

CLARICE
No? tanto meglio!

CONTE
Perché?

CLARICE
(quasi vergognandosi, ma sempre col medesimo
brio o semplicità)
Perché vorrei... che l'eco fosse...
Che fosse...

CONTE
Ebben?

CLARICE
(manifestando rossore come prima)
Che fosse maschio... e poi!..
E poi...

CONTE
(facendole coraggio)
Via su.

CLARICE
Che somigliasse a voi.
Conte mio, se l'eco avesse
Tutto quel che avete voi,
Io godrei fra le Contesse
La maggior felicità.

CONTE
Io dell'eco avrei paura,
S'ella fosse come voi;
Ché la fede è mal sicura
Dove regna la beltà.

CLARICE
Ah! se un altro rispondesse,
Come l'eco a me rispose!..

CONTE
Per esempio?

CLARICE
Certe cose...
Conte mio, non posso più.

CONTE
Via, sentiam, via dite su.

CLARICE
Mi disse che m'ama.

CONTE
Ma forse per giuoco.

CLARICE
Mi disse che brama...

CONTE
Spiegatevi.

CLARICE
Amor
Mi disse che sente,
Che mente rigor.

CONTE
Son prove da niente,
Che ingannano un cor.

CLARICE
(Fra sè)
Che mi creda la fenice
Del mio sesso, io non dispero.

CONTE
(Fra sè)
Che sia questa la fenice
Del suo sesso, io non lo spero.

CLARICE, CONTE
(Fra sè)
Quel che avvolga nel pensiero,
Presto o tardi io scoprirò.

CONTE
Vi saluto.

CLARICE
Addio, Contino.

CONTE
(Fra sè)
Non mi fido.

CLARICE
(Fra sè)
Ha l'occhio fino.

CONTE
Ricordatevi che l'eco
Ha l'usanza di scherzar.

CLARICE
Se l'avessi sempre meco,
Mi farebbe giubilar.

(Partono)

Scena Settima

(Macrobio e la Baronessa)

MACROBIO
Siete pur bella! ed io sarei felice,
Se foste anche pietosa.

BARONESSA
In primo luogo
Non so se a me, che sono
Vedova d'un Baron, la man convenga
D'un giornalista.

MACROBIO
In quanto a questo io credo
Di star bene in bilancia: il mio talento...

BARONESSA
Eppoi...

MACROBIO
Capisco; il Conte...

BARONESSA
Il Conte è ricco
E sarebbe al mio caso.

MACROBIO
Ebben, se mai...

BARONESSA
Se mai col Conte non facessi niente...

MACROBIO
In ogni modo vi farò il servente.

BARONESSA
O servente, o marito: anzi, sin d'ora
Mio servente sarai.

MACROBIO
L'offerta accetto.

BARONESSA
Se far potessi al Conte
Con questo mezzo un po' di gelosia...

MACROBIO
Ma...

BARONESSA
Ricca io diverrò; sarai contento.

MACROBIO
Ricca quest'è il miglior
d'ogni argomento.

(Partono)

Scena Ottava

(Donna Fulvia, indi Pacuvio)

FULVIA
Dove mai si cacciò? la rosa al Conte
Io vorrei presentar: ma se Pacuvio...
Eccolo; ebben?

PACUVIO
Già la sestina è fatta;
E che sestina! il Conte
Le ciglia inarcherà.

FULVIA
Questa è la rosa.

PACUVIO
Bella!

FULVIA
Sentiam.

PACUVIO
No, prima
Voglio farvi sentir come ho cambiata
L'aria che poco fa vi ho recitata.

FULVIA
Forse non vi piacea?

PACUVIO
Quand'è ch'io faccia
Cosa che non mi piaccia?

FULVIA
Perché dunque?..

PACUVIO
Ascoltate come una lingua patetica e burlesca
Parli all'ombra del mago una fantesca.

«Ombretta sdegnosa
Del Missipipì
Non far la ritrosa,
Ma resta un po' qui. »

«Non posso, non voglio,»

L'ombretta risponde:

«Son triglia di scoglio,
Ti basti così.»

E l'altro ripiglia:

«Sei luccio, non triglia.»

Qui nasce un insieme:
Chi piange, chi freme.
Fantesca - «Sei luccio.»
Ombretta - «Son triglia.»
Fantesca - «Ma resta.»
Ombretta - «Ti basti,
Ti basti, t'arresta,
Non dirmi così.»

(in atto di partire)

FULVIA
(seguendolo)
Bravo, bravo, bravissimo!

PACUVIO
(retrocedendo)
Eh... che dici?
Di quel «Missipipì»?.. pipì... pipì...
Quel mi basta cosi?.. quel contrapposto
Fra luccio e triglia non t'incanta?

FULVIA
È vero.

PACUVIO
Bizzarria di pensiero,
Sorpresa, novità...

FULVIA
(a Pacuvio)
Il Conte appunto è qua.

Scena Nona

(Il Conte, pensoso, avanzandosi
lentamente, e detti)

CONTE
(Fra sè)
In favor di Clarice
Mi parla il cor; ma consiglier non saggio
Egli è sovente. Or si vedrà.

(in atto di traversare il giardino)

PACUVIO
(a Fulvia)
Coraggio.

FULVIA
(al Conte)
Serva sua.

CONTE
Mia padrona.

PACUVIO
(al medesimo)
A voi s'inchina
Il Pindarico.

CONTE
(a Pacuvio)
Addio.

PACUVIO
(a Fulvia)
Fuori la rosa.

(prima al Conte, ch'è in atto di partire)

Un momentin...

(A Fulvia, sottovoce)

fuori la rosa.

FULVIA
(Fra sè)
Aspetta.

PACUVIO
(Fra sè)
Fuori la rosa, o recito.

FULVIA
(Fra sè)
Che fretta!

CONTE
(Fra sè)
Sarà qualcuna delle sue.

FULVIA
(vuol presentar la rosa al Conte)
Scusate...

PACUVIO
Zitto per or: voi state
Ferma così, di presentarla in atto.

CONTE
(Fra sè)
È un vero ciarlatan, ma sciocco e matto.

PACUVIO
Parlo in terza persona.

(mettendosi fra il Conte e Donna Fulvia, che sta
in atto di presentar la rosa)

«Io v'offro in questa rosa spampanata
La mia lacera, stanca e pellagrosa
Alma, che sul finir di sua giornata
Dir non saprei se sia gramigna o rosa.»

Genere petrarchesco.

CONTE
In quanto a me lo chiamerei grottesco.

PACUVIO
(prima al Conte, poi a Donna Fulvia)
Anche. Or date la rosa.

FULVIA
Eccola.

CONTE
Grazie.

PACUVIO
Agli ultimi due versi.

«L'ho raccolta per voi
di proprio pugno:
E quando? nel maggior caldo di giugno.»

CONTE
Ora siamo in aprile.

PACUVIO
Non importa.
In grazia della rima un cronichismo
Di due mesi è permesso:
Virgilio somaron facea lo stesso.

CONTE
Ah, ah, ah... cronichismo...
Ah, ah...

Virgilio...
Virgilio somaron... (quanti spropositi!)
Ah, ah, ah...

PACUVIO
(a Fulvia, ch'è restata attonita)
Lo vedete? a' versi miei
Mai non manca un effetto.

CONTE
(appoggiandosi ad una pianta)
Oh Dio! non posso più.

PACUVIO
(a Fulvia che si stringe nelle spalle, conducendola via)
Non ve l'ho detto?

Scena Decima

(Fabrizio e il Conte)

FABRIZIO
Eccomi a' vostri cenni.

CONTE
Orsù, Fabrizio:
Per la seconda volta oggi la pietra
Del paragone si adoperi; ad effetto
Pongasi quel progetto
Che immaginai.

FABRIZIO
Sibbene.

CONTE
All'africana
Mi vestirò.

FABRIZIO
Da lungo tempo è pronto
L'abito nell'armadio.

CONTE
Ecco il biglietto
Da rimettersi a me per dar principio
Alla burletta.

FABRIZIO
Ho inteso.

CONTE
A te poi tocca
Il secondar da scaltro...

FABRIZIO
Già so quel che ho da far;
non occorr'altro.

(Il Conte parte)

Scena Undicesima

(Fabrizio solo)

FABRIZIO
Uomo più singolar del mio padrone
Non conobbi finor. Son dodici anni
Che ho l'onor di servirlo e sempre ho visto
Vaghezza in lui di matrimonio. Intanto
A forza di riflettere
Che la scelta è difficile; che il genio
È sempre incerto; e che il femmineo sesso
Osserva men, quando promette assai,
Invecchierà senz'ammogliarsi mai.

(parte)

Scena Dodicesima

(Stanze terrene contigue al giardino.
Giocondo e Clarice; poi Macrobio, indi il Conte)

GIOCONDO
Perché sì mesta?

CLARICE
Il mio gemello, il caro
Lucindo, ad or ad or mi torna in mente.

(Giocondo la sta intanto osservando con meraviglia
e passione)

(Fra sè)

Questo gemel sovente
Mi giova nominar: forse partito
Io ne trarrò, se ogni altro mezzo è vano.

GIOCONDO
Strana, scusate, in voi questa mi sembra
Tenerezza fraterna: da fanciulli
Vi divideste,
e fu per sempre: estinto
Da sett'anni il credete... eh Marchesina...
Altra...

CLARICE
(con qualche risentimento)
Che dir vorreste?

GIOCONDO
Altra, io suppongo,
Più vicina sorgente ha il vostr'affanno:
Il Conte a voi sì caro...
Mio rivale ed amico... il sempre incerto
Conte... Ah! Clarice...
ah! se potessi anch'io
Le vostre cure meritar!..

(Clarice si mette in serietà)

Ma troppo
E voi rispetto e l'amistà.

MACROBIO
Se avessi
Cinquanta teste e cento mani appena...

(Al comparir di Macrobio, Clarice prende
un'aspetto ilare)

Potrei de' concorrenti al mio giornale
Appagar le richieste.

GIOCONDO
In quanto a me sareste
Sempre ozioso.

CLARICE
(con brio)
Come?
Al Cavalier la critica non piace?

GIOCONDO
Anzi la bramo, e i giornalisti apprezzo,
Sensati, imparziali,
E non usi a lordar venali fogli
D'insulsi motti e di maniere basse:
Ma non entra Macrobio in questa classe.

CONTE
(in aria gioiosa)
Che si fa? che si dice?

MACROBIO
Si discorre
Di critica.

CONTE
Io vorrei che i giornalisti
Quando sull'opre altrui sentenza danno
Dicessero il perché.

GIOCONDO
Pochi lo sanno:
Per esempio Macrobio...

CLARICE
(al Cavalier Giocondo ed al Conte)
Eppur, signori,
Sotto diverso aspetto
Quello che fa Macrobio sul giornale
Fate voi tutti e due.

MACROBIO
(a Clarice manifestando piacere della opinione di lei)
Brava! ci ho gusto!

CLARICE
L'usanza di operar senza un perché
Non ha Macrobio sol, ma tutti e tre.

CONTE
Come?

GIOCONDO
Che dite mai?

CLARICE
Lo dico, e sono
Prontissima a provarlo:
Zitto...
fate silenzio infin ch'io parlo.

(al Conte)

Voi volete, e non volete:

(al Cavalier Giocondo)

Voi tacete o sospirate:

(a Macrobio)

Voi lodate o biasimate:
E ciascun senza un perché.

CONTE
Con le donne, o signorina,
Star bisogna molto all'erta
Se quest'alma è sempre incerta,
Ho pur troppo il mio perché.

GIOCONDO
Con la sorte, o signorina,
Giorno e notte invan m'adiro:
E se taccio e se sospiro
Ho pur troppo il mio perché.

MACROBIO
Con la fame, o signorina,
Io non posso andar d'accordo:
Quando lecco e quando mordo,
Ho pur troppo il mio perché.

CLARICE
Se ho da dirla senso mio,
Siete pazzi tutti e tre.

GIOCONDO, MACROBIO, CONTE
Fra i perché senz'altro il mio
È il miglior d'ogni perché.

CLARICE, GIOCONDO
MACROBIO, CONTE
Ogni cosa, o male o bene,
A sua voglia il mondo aggira:
Chi lo prende come viene,
L'indovina per mia fé.

(Comparisce Fabrizio, che consegna il viglietto al
Conte; questi l'apre, e leggendolo finge di turbarsi)

CONTE
(Fra sè)
Per compire il gran disegno
Mesto in fronte io leggo il foglio:
Poi con arte il mio cordoglio
Fingerò di mascherar.

CLARICE, GIOCONDO, MACROBIO
(ciascun da sé osservando il Conte)
Si scolora, è questo un segno
Che funesto è a lui quel foglio:
Ci sogguarda, e il suo cordoglio
Tenta invan di mascherar.

GIOCONDO
(al Conte)
Perché mai così tremante?

CONTE
(fingendo una forzata disinvoltura per darla meglio
ad intendere)
Io già m'altero per niente.

CLARICE
(al medesimo)
Che vuol dir quel tuo sembiante?

MACROBIO
(al medesimo)
Qualche articolo insolente?

CONTE
(con forza, e poi ricomponendosi)
Stelle inique!

CLARICE
Ah! Conte amato...

(come sopra)

Qual disastro!

GIOCONDO
Ah! caro amico...

CONTE
(come sopra)
Giusti dei!

MACROBIO
Che cosa è stato?

CONTE
Non badate a quel che dico
Io di voi mi prendo giuoco.

CLARICE, GIOCONDO, MACROBIO
Non intendo questo giuoco.

CONTE
Il più bello non si dà.

CLARICE, GIOCONDO, MACROBIO
Il più strambo non si dà.

CLARICE
(Fra sè)
Io ravviso in quell'aspetto
Del destin la crudeltà.

GIOCONDO
(Fra sè)
Di paura e di sospetto
Il mio cor tremando va.

MACROBIO
(Fra sè)
Lacerar mi sento il petto
Dalla mia curiosità.

CONTE
(Fra sè)
La comparsa del viglietto
Al disegno gioverà.

Dal timor del mio periglio
Imbrogliata han gia la testa:
Or più dubbio non mi resta
Di poterli trappolar.

CLARICE, GIOCONDO, MACROBIO
Ha il terror fra ciglio e ciglio:
Incomincia e poi s'arresta:
Calma finge e la tempesta
Lo costringe a palpitar.

(Partono)

Scena Tredicesima

(Pacuvio e Donna Fulvia; indi la Baronessa)

PACUVIO
Ma che sestina! che sestina! io penso
D'esibirla a Macrobio: il suo giornale
Concetto acquisterà.

FULVIA
(in aria dubitativa)
Sarà bellissima,
Ma...

PACUVIO
(con impazienza e dispetto)
Ma che?

FULVIA
Non capisco
Perché il Conte ridea.

PACUVIO
Quando si ride
È segno che si gode. Io faccio ridere
Quando voglio; e in quest'arte non la cedo
Neppure all'inventor della Riseide,
Ch'è stimato il miglior dopo l'Eneide.

BARONESSA
(guardando all'intorno senza badare a Pacuvio
e a Donna Fulvia)
Invan lo cerco...

PACUVIO
(andandole incontro)
Ah! Baronessa, udite...

BARONESSA
No; piuttosto mi dite ove Macrobio
Trovar potrei.

PACUVIO
Ne vado in traccia io stesso
Per far la sua fortuna. Appunto... adesso...

(mettendo fuori l'orologio)

Son dieci ore passate:
Qui lo conduco subito, aspettate.

(parte in fretta)

Scena Quattordicesima

(La Baronessa e Donna Fulvia; indi Pacuvio
di ritorno con Macrobio)

BARONESSA
Come va, Donna Fulvia? mi sembrate
Alquanto malinconica.

FULVIA
Io? no certo:
Anzi sono allegrissima.

(Fra sè)

Vorrebbe scoprir terreno.

(A la Baronessa)

E voi mia cara, siete
Di buon umore?

BARONESSA
Altro che buono! eppoi
Mi si conosce in fronte.

FULVIA
(Fra sè)
Che rabbia!

BARONESSA
(Fra sè)
Freme.

FULVIA
Avete visto il Conte?

BARONESSA
(Fra sè)
Oh! qui mi cascò l'asino.

(A Fulvia)

L'ho visto poco fa.

FULVIA
Sì? che vi disse?

BARONESSA
Se l'avete ascoltato! era galante
Oltre il costume.

FULVIA
(Fra sè)
Ah maledetto!

(A la Baronessa)

Io sempre
L'ho trovato così: gentile, ameno...

MACROBIO
(a Pacuvio)
Non ho tempo, non posso;
e il foglio è pieno:
La volete capir? M'inchino a queste
Leggiadrissime dame.

BARONESSA
Io vi cercava
Per andare al passeggio.

PACUVIO
(con enfasi)
È una sestina
Da stamparsi, o Macrobio, in carta pegola.

BARONESSA
(ridendo di Pacuvio)
Ah, ah, ah...

FULVIA
(Fra sè)
Che pettegola!
Di tutto ride.

MACROBIO
(a Pacuvio che insiste)
E inutile: ho due cento
Articoli pro e contra preparati,
Che in sei mesi saran già consumati.

(ora ad esso, ora alle altre)

Son tanti i virtuosi
E di ballo e di musica, clienti
Del mio giornal, che diverrà fra poco
L'unico al mondo. Infatti figuratevi
D'essere in casa mia.
Questo è il mio studio:
Qui ricevo, e frattanto
Nel cortil, per le scale, in anticamera,
Un non so qual, come di mosche o pecchie,
Strano ronzio si ascolta:
Piano, piano, signori; un po' per volta.

Chi è colei che s'avvicina?
È una prima ballerina:

(finge che la ballerina parli ella stessa)

«Sul Teatro di Lugano
Gran furor nel Solimano! »

(finge di prendere del denaro)

Mille grazie, siamo intesi:
Il giornal ne parlerà.
D'una prima cantatrice
Vien la mamma sola, sola.

(come sopra)

«Nel Traiano alla Fenice
Gran furor la mia figliuola!»

(come sopra)

Mille grazie; siamo intesi:
Il giornal ne parlerà.
La Fiammetta col fratello,
Altra prima sul cartello.

(come sopra)

Mille grazie; siamo intesi:
Il giornal ne parlerà.
Ma la folla già s'accresce;
Tutti udir non mi riesce.
Virtuosi d'ogni razza,
Che ritornano alla piazza,

Bassi, musici e tenori,
Pappagalli e protettori:
Osservate che scompiglio!
Che bisbiglio qui si fa!

Largo, largo... ecco il Maestro,
Il Maestro Don Pelagio:
Baci, amplessi... adagio, adagio...
Ma chi è mai quest'altro qua?

E il Poeta Faccia fresca,
Che non sa quel che si pesca.
Quante ciarle! Sì, signore,
Voi farete un gran furore:
Questa musica è divina;
Più bel dramma non si dà.

Il Poeta con le carte...
Il Maestro con la parte...
Giusti Dei! che assedio è questo:
Chi mi salva per pietà?

(parte con la Baronessa)

PACUVIO
Trovar saprò ben io
Qualch'altro giornalista, che abbia a cuore
Il suo guadagno sì, ma più l'onore.

(parte con Fulvia)

Scena Quindicesima

(Giardino, come sopra)

(Coro di giardinieri, che parte immediatamente.
Poi la Marchesa Clarice, che si allontana con modestia

dal Cavalier Giocondo; indi Macrobio; finalmente la
Baronessa e Donna Fulvia)

CORO
Il Conte Asdrubale
Dolente e squallido
Nella sua camera
Si ritirò.
Forse il più barbaro
Fra tutti gli astri
Disastri insoliti
Gli minacciò.

(parte)

GIOCONDO
Perché fuggir? di che temete?

CLARICE
Io temo
D'insuperbir, quando vi ascolto.

GIOCONDO
Ed io
Da così giuste lodi
Astenermi non so.

CLARICE
Se giuste sono,
Vel dica il mio rossor.

MACROBIO
(avanzandosi, fra sè)
Bravi! si finga
Di non vederli.

GIOCONDO
(a Clarice)
Il labbro
Uso a mentir non ebbi mai.

MACROBIO
(ad alta voce e fingendo di non

aver veduti gli altri due)
Fra queste
Ombrose amiche piante alla memoria
Io mi reco la storia,
Vale a dire il famoso
Contrabbando amoroso
Di Medoro e d'Angelica.

GIOCONDO
(a Clarice, sottovoce)
Costui
Metaforicamente ci canzona.

CLARICE
(a Giocondo, sottovoce)
Senz'altro: io partirò.

GIOCONDO
(a Clarice, sottovoce)
Siete pur buona!
Anzi restar dovete.

MACROBIO
(rinforzando la voce e guardando
verso il di dentro della scena)
Il Conte...

CLARICE
(intimoriti, credendo che comparisca il
Conte Asdrubale)
Il Conte?

GIOCONDO
Il Conte?

MACROBIO
(Fra sè)
Oh che paura!

(Forte)

Il Conte Orlando...

CLARICE
(Fra sè)
Respiro!

GIOCONDO
(Fra sè)
Lode al Ciel!

MACROBIO
Va intorno errando:
E Angelica e Medoro
In barba sua parlan così fra loro.

"Su queste piante incisi
I nostri nomi stanno:
Anch'esse apprenderanno
D'amore a palpitar."

(Macrobio finge di vederli allora per la prima volta)

IOCONDO
(a Macrobio scoprendosi)
Io so, signor mio caro,
Di chi parlar s'intende.

CLARICE
Il suo discorso è chiaro,
Ma sciocco, e non mi offende.

MACROBIO
(agli altri due sempre con allusione e sarcasmo)
Angelica e Medoro,
Che vanno amoreggiando...
Povero Conte Orlando!
Impazza per mia fé.

CLARICE, GIOCONDO
(a Macrobio)
Angelica e Medoro...
Amor di contrabbando...
Son cose che sognando
Tu vai così fra te.

(Macrobio parte; Clarice e Giocondo in atto di partire)

BARONESSA, FULVIA
(con affanno; gli altri due retrocedono)
Oh caso orribile!
Caso incredibile!
Il Conte Asdrubale
Tutto perdé.

CLARICE, GIOCONDO
(con sorpresa)
Come? cioè?

BARONESSA
Guai, se consorte
Mi fosse stato!

FULVIA
Per buona sorte
Non mi ha sposato.

BARONESSA, FULVIA
Oh che disordine!
Son fuor di me!

CLARICE, GIOCONDO
Via su, con ordine
Meglio spiegatevi.

BARONESSA, FULVIA
(in atto di partire)
Qui torno subito...

CLARICE, GIOCONDO
(trattenendole)
Ma in grazia diteci,
Che nuova c'è.

BARONESSA, FULVIA
Vado ad intendere
Meglio il perché.

(partono)

Scena Sedicesima

(Macrobio di ritorno, indi Pacuvio dal lato opposto a
detti, che nell'atto di partire s'incontrano in Macrobio)

MACROBIO
Altro che ridere
Su i nostri fatti!
È qui Lisimaco
Castigamatti;
E mostra un vaglia
Di sei milioni,
Che in Sinigaglia
Da un tal Piloni
Fu sottoscritto
Cent'anni fa.

CLARICE, GIOCONDO
Di questa favola
Capisco poco.

PACUVIO
(agitatissimo)
Non v'è più tavola,
Non v'è più cuoco.

MACROBIO
Il creditore
Per farsi onore
Alla sua mensa
C'inviterà.

CLARICE
(interrogando gli altri due)
Ma la sua patria?..

GIOCONDO
La condizione?

CLARICE, GIOCONDO
Ma d'onde viene?

PACUVIO

Vien dal Giappone.

MACROBIO
(a Pacuvio)
Voi fate sbaglio,
Dal Canadà.

PACUVIO
Egli è un Turchesco
Della Brettagna.

MACROBIO
Anzi un Tedesco,
Nato in Bevagna.

CLARICE, GIOCONDO
Che pezzi d'asini!
Regga chi vuole;
Son più i spropositi,
Che le parole:
Mi fate stomaco
Per verità.

(partono in fretta)

Scena Diciassettesima

(Detti; poi la Baronessa e Donna Fulvia; indi il Conte
Asdrubale travestito con alcuni servi e marinari vestiti
nel medesimo costume. Notaio con altri, che si fingono
gente della Corte di Giustizia, e Fabrizio che simula
un'estrema afflizione)

PACUVIO
(verso i due che son partiti)
A me? cospetto!

MACROBIO
A me? per Bacco!

MACROBIO, PACUVIO
(rimproverandosi l'un l'altro)
Per vostra colpa
Soffro uno smacco.

PACUVIO
So quel che dico.

MACROBIO
Non sono un cavolo.

BARONESSA e FULVIA
(in fretta)
Ecco l'amico;

(agli altri due)

Non fate strepito,
O tutti al diavolo
Ci manderà.

MACROBIO, PACUVIO
(l'uno all'altro)
Chi prenda equivoco,
Or si vedrà.

CONTE
(a Fabrizio)
Lui star conta, io star mercanta,
Ti star furba, e lui birbanta.

BARONESSA, FULVIA
MACROBIO, PACUVIO
Dice bene.

CONTE
(al medesimo)
Oh che canaglia!

(mostrando un foglio logoro dal tempo)

Qui star vaglia.

PACUVIO
(dopo averlo guardato)
Sei milioni!

BARONESSA,FULVIA, MACROBIO
Bagattella!

CONTE
(a Fabrizio, sottovoce)
Che bricconi!

CONTE
(al medesimo)
Se trovara controvaglia,
Mi far vela per Morèa.

FABRIZIO
(tutto mesto)
Non trovara.

CONTE
Scamonéa
Tua patrona resterà.

MACROBIO
Parla proprio in lingua etrusca.

CONTE
Mi mangiara molta crusca.

MACROBIO
Si conosce.

CONTE
Baccalà Tambelloni Kaimacacchi.

MACROBIO
(Fra sè)
Che mai dice?

BARONESSA, FULVIA, PACUVIO
(Fra sè)
Non intendo.

BARONESSA, FULVIA
MACROBIO, PACUVIO
Mille grazie.

CONTE
Baccalà.

FABRIZIO
(Fra sè)
Li canzona come va.

CONTE
(a Fabrizio)
Non aprira più portona,
O tua testa andar pedona.

BARONESSA, FULVIA
MACROBIO, PACUVIO
(Fra sè)
Che vuol dir questa canzona?

CONTE
Sequestrara...

BARONESSA, FULVIA
MACROBIO, PACUVIO
Adagio un po'.

CONTE
Sigillara...

BARONESSA, FULVIA
E le mie cose?

CONTE
Sigillara.

MACROBIO
E i manuscritti?

PACUVIO
I miei drammi?

MACROBIO
Le mie prose?

CONTE
Sigillara.

BARONESSA, FULVIA
MACROBIO, PACUVIO
In quanto a noi...

CONTE
Sigillara.

BARONESSA, FULVIA
MACROBIO, PACUVIO
Oh questo no!

FABRIZIO
(al Conte sempre con simulata insistenza)
Ubbidirò.

MACROBIO
(al Conte)
Mi far critica giornala
Che aver fama in ogni loco;
Né il poterà ritardar.

CONTE
Manco mala! manco mala!
Ti lasciara almen per poco
Il buon senso respirar.

BARONESSA, FULVIA
MACROBIO, PACUVIO
Sigillate pure al Conte
Bocca, naso, e che so io;
Ma, cospetto! quel ch'è mio
Lo dovete rispettar.

CONTE
Quanti starà, a modo mio
Mi volerà sigillar.

FABRIZIO
(Fra sè)
Che hanno il cor perverso e rio,
Più non v'è da dubitar.

Scena Diciottesima

(Cortile interno in casa del Conte. Clarice sola; indi il
Conte e Giocondo non veduti da lei, come essa non
veduta da loro; poi Macrobio e Pacuvio, la Baronessa
e Donna Fulvia)

CLARICE
Non serve a vil politica
Chi vanta un cor fedele:
Quando la sorte è critica
L'onor non volta vele:
Eppoi nessun mi dice
Ch'ella non può cangiar.

(Intanto comparisce il Conte nei suoi propri abiti
fingendo mestizia, e il Cavalier Giocondo che di
buona fede lo conforta)

CONTE
Lasciate un infelice,
Vicino a naufragar.

GIOCONDO
(fra loro)
(Alla virtù non lice
Gli oppressi abbandonar.)

CLARICE, CONTE, GIOCONDO
(Il Conte e Giocondo fra loro alquanto indietro
e Clarice da sé)
Del paragon la pietra
Sono i contrari eventi:
Nei giorni più ridenti
Più dubbia è l'amistà.

MACROBIO, PACUVIO
(in aria di scherno)
Marchesina...

BARONESSA, FULVIA
Contessina...

(l Conte e Giocondo osservano in disparte)

BARONESSA
, FULVIA
MACROBIO, PACUVIO
Mi consolo, e a voi mi prostro:
Ora il Conte è tutto vostro.

CLARICE
(con disinvoltura e brio)
Tanto meglio!

BARONESSA, FULVIA
MACROBIO,PACUVIO
(come sopra)
Già si sa.

GIOCONDO
(al Conte, sottovoce)
Li vedete? gli ascoltate?

CONTE
(a Giocondo, sottovoce)
Ci vuol flemma.

CLARICE
(come sopra)
Canzonate.

MACROBIO, PACUVIO
(come sopra)
Che fortuna!

CLARICE
(come sopra)
Io sono in ballo;
Bene o mal si ballerà.

CONTE
(avanzandosi con Giocondo e scoprendosi)
Cari amici, or che il destino
Mi privò d'ogni sostanza,
Qual voi date a me speranza
Di soccorso e di favor?

(Ciascuno gli fa la sua offerta)

MACROBIO
Un articolo sul foglio.

PACUVIO
Una flebile elegia.

BARONESSA e FULVIA
(stringendosi nelle spalle)
Non saprei...

GIOCONDO
(con franchezza e cordialità)
La casa mia.

CLARICE
(con vivacità e dolcezza)
La mia man, l'entrata e il cor.

MACROBIO, PACUVIO
(fra loro guardando il Conte, ed allontanandosi da lui)
Scappa, scappa...

BARONESSA, FULVIA
(egualmente)
Oh com'è brutto!

GIOCONDO
(al Conte, sottovoce)
Osservate.

MACROBIO, PACUVIO
(come sopra)
È cosa seria.

CLARICE, CONTE, GIOCONDO
(fra loro)
Dove regna la miseria,
Tutto è noia e tutto è orror.

BARONESSA, FULVIA
MACROBIO, PACUVIO
(Fra loro)
Meglio assai nella miseria
Si distingue un seccator.

Scena Ultima

(Fabrizio con un antico foglio in mano, saltando
per l'allegrezza; coro d'ospiti e giardinieri del
Conte egualmente lieti, e detti)

FABRIZIO, CORO
Viva, viva!

FABRIZIO
In un cantone
D'un armadio abbandonato,
Fra la polve...

CONTE
(interrompendolo con impazienza)
L'hai trovato?

FABRIZIO
L'ho trovato...

(Sorpresa comune)

CONTE
(come sopra)
Il controvaglia?

FABRIZIO, CORO
Legga, legga.

CONTE
(abbracciando Fabrizio)
Uh! benedetto!

CLARICE, GIOCONDO
(con vera cordialità)
Oh che gioia!

BARONESSA, FULVIA
MACROBIO, PACUVIO
(attorniando il Conte con affettata compiacenza)
Oh che diletto!

CLARICE, GIOCONDO
(fra loro accennandosi gli altri quattro)
Come cambiano d'aspetto!

BARONESSA, FULVIA
Il mio cor l'avea predetto.

CONTE
In momenti sì felici...

(fingendo di svenire)

Ah! ch'io manco... ah! dove sono?..

MACROBIO, PACUVIO
(volendo sostenerlo)
Fra le braccia degli amici.

BARONESSA, FULVIA
(avvicinandosi anch'esse)
Poverino!

CLARICE, GIOCONDO
(respingendoli e sostenendo il Conte)
Eh, andate là.

TUTTI
Qual chi dorme e in sogno crede
Di veder quel che non vede,
Se uno strepito improvviso
Tronca il sonno, egli è indeciso
Nel contrasto delle vere
Colle immagini première...
Fra la calma e la tempesta
Corre, vola e poi s'arresta...
Tal son io col mio cervello
Fra l'incudine e il martello...

CLARICE, CONTE, GIOCONDO
FABRIZIO, CORO
Sbalordita/o,

BARONESSA, FULVIA
MACROBIO, PACUVIO
Sbigottita/o,

CLARICE, CONTE, GIOCONDO
FABRIZIO, CORO
Agitata/o,

BARONESSA, FULVIA
MACROBIO, PACUVIO
Spaventata/o,

TUTTI
Condannata/o a palpitar.
Dal passato e dal presente,
Non so come, alternamente...

CLARICE, CONTE, GIOCONDO
FABRIZIO, CORO
Dalla gioia e dal timore
Io mi sento a trasportar.

BARONESSA, FULVIA
MACROBIO, PACUVIO
Dalla rabbia e dal rossore
Io mi sento a lacerar.



ATTO SECONDO


(Cortile interno, come nell'atto primo)

Scena Prima

(La Baronessa, Donna Fulvia e coro d'ospiti del Conte;
quindi Macrobio e il Conte da una parte: il Cavalier
Giocondo e Pacuvio dall'altra)

CORO
Lo stranier con le pive nel sacco
Per vergogna è partito in gran fretta.

BARONESSA, FULVIA
Per sua colpa ho sofferto uno smacco,
Ma farò la mia giusta vendetta:
Forse al Conte, a Clarice, a Giocondo
Questo fatto avrà molto a costar.

CORO
Via, che serve? son cose del mondo:
Non sarebbe che un farsi burlar.

MACROBIO
(al Conte in atto di scusa)
Io del credito in sostanza
Già vedea l'incompetenza:
Né parlai per insolenza,
Ma per voglia di scherzar.

CONTE
(a Macrobio sorridendo, e in aria di sprezzo)
Io già so per vecchia usanza
Coltivar l'indifferenza:
Ogni scusa in conseguenza
Voi potete risparmiar.

PACUVIO
(a Giocondo, scusandosi)
Fu poetica licenza,
Non lo feci per baldanza:
La drammatica sembianza
Mi parea di recitar.

GIOCONDO
(con sommo disprezzo)
Fu solenne impertinenza;
Ma non merita importanza:
Già vi scusa l'ignoranza
Senza starne più a parlar.

BARONESSA, FULVIA
(ciascuna da sé, la Baronessa osservando
Macrobio e Donna Fulvia Pacuvio)
Domandargli perdonanza
È una vera sconvenienza:
Questa vil testimonianza
Io non posso tollerar.

CORO
(Fra loro)
Sotto l'umile apparenza
Pieni son di petulanza:
L'uno e l'altro all'occorrenza
Tornerebbe a motteggiar.

(Il coro si ritira.)

GIOCONDO
(Fra sè)
Eppur ciascun di loro alla sua dama
Avea promesso di sfidarci.

CONTE
(fra loro sorridendo)
E in vece
Si son scusati.

GIOCONDO
(Fra sè)
Oh che vigliacchi!

BARONESSA
(a Macrobio, sottovoce)
Oh bella!
Vuoi cimentarlo,
e gli domandi scusa?

MACROBIO
(alla Baronessa, sottovce)
Certo.

BARONESSA
(Sottovoce)
Fra noi non s'usa...

(Frattanto il Cavalier Giocondo e il Conte
discorrono fra loro.)

MACROBIO
(Fra sè)
E una moda novissima
Venuta dal Catai, che quanto prima
Pubblicherò sul mio giornale.

PACUVIO
(a Donna Fulvia, sottovoce)
In somma,
Lo volete saper? la scusa è finta:
Il duello seguì: la vita in dono
Mi domandò con le ginocchia a terra.

FULVIA
(Sottovoce, a Pacuvio con sorpresa)
Chi?

PACUVIO
(Sottovoce)
Giocondo; ma zitto.

FULVIA
(a voce alta in atto di volerlo palesare)
Anzi...

PACUVIO
(Sottovoce, a Donna Fulvia, opponendosi)
No; zitto:
Giacché per suo decoro
Di non farne parola ei m'ha pregato:
Ed io gliel'ho promesso, anzi giurato.

GIOCONDO
(al Conte osservando gli uni e gli altri)
Gran contrasto han fra loro.

CONTE
(a Giocondo)
Io co' buffoni
Mi diverto.

GIOCONDO
(Sottovoce)
Io m'annoio.

BARONESSA
(a Macrobio, sottovoce)
Ebben?..

MACROBIO
(alla Baronessa, sottovoce)
Senz'altro
La disfida io farò.

PACUVIO
(a Donna Fulvia, sottovoce)
L'avrei potuto
Come un tordo infilzar;
ma troppo io sono
Tenero per natura e sensuale.

FULVIA
(a Pacuvio, sottovoce)
S'è così, son contenta.

PACUVIO
(Sottovoce)
È tal e quale.

CONTE
Nel vicin bosco, amici,
A divertirci andiamo.

MACROBIO
Il moto giova
All'appetito.

GIOCONDO
I cacciatori, io credo,
Partiranno a momenti.

CONTE
(ad un domestico che parte subito)
Ehi, vanne tosto
La Marchesina ad avvertir. Se poi
Volesse alcun di voi
Dar prova di bravura,
Prenda il fucil.

PACUVIO
(parte in fretta)
Voglio provarmi.

FULVIA
In casa
Per alcune faccende
Io resterò.

CONTE
Come vi aggrada. Andiamo.

(parte col Cavalier Giocondo)

Scena Seconda

(Macrobio e la Baronessa in atto di partire,
a Donna Fulvia che la trattiene)

FULVIA
(parlandole all'orecchio)
Baronessa, ascoltate.

BARONESSA
Possibile?

FULVIA
(partendo con brio)
Senz'altro. Addio.

BARONESSA
(a Macrobio)
Che intesi
Per vostro e mio rossor! Già Donna Fulvia
È vendicata, ed io...

MACROBIO
Che dite?

BARONESSA
Or sappi,
Che vinto il Cavalier la vita in dono
Da Pacuvio impetrò.

MACROBIO
Bu, bu... che bomba!

BARONESSA
Pacuvio il disse.

MACROBIO
E non potea Pacuvio
Tradir la verità?

BARONESSA
Pretesti a parte.

MACROBIO
Io pretesti? stupisco.

BARONESSA
O sfida il Conte,
O non sperar ch'io più ti guardi in faccia.
L'esige l'onor mio.

MACROBIO
Dopo la caccia.

(Partono)

Scena Terza

(Bosco. Pacuvio col fucile, e coro di cacciatori)

CORO
(a Pacuvio)
A caccia, o mio signore,
Poeta eccellentissimo:
Se siete cacciatore,
Tirate, e si vedrà.

(Pacuvio appoggia sgarbatamente il fucile
ora alla spalla sinistra, ora alla destra.)

Ma bravo!.. anzi bravissimo!

(ironicamente)

Gran preda si farà.
Gli uccelli andranno al diavolo
In piena sanità.

(Il coro parte.)

PACUVIO
(verso i cacciatori)
Sì, sì, ci parleremo:
Con un figlio di Pindo e d'Elicona,
Quando tira davver, non si canzona.

(Si ascolta qualche strepito di vento,
foriero del temporale.)

Ahi!.. chi si muove..?
Io non vorrei... ma questo
Par che un bosco non sia
da bestie indomite.

(Mentre il vento va crescendo appoco appoco, ed
oscurandosi lentamente il bosco, risuonano da lontano
alcuni colpi di fucile, e successivamente compariscono
diversi uccellacci coll'ale aperte. Pacuvio mira or
all'uno, or all'altro senza mai sparare: si accorge poi
che non ha montato il fucile; nell'atto che lo monta,
gli uccelli spariscono, a riserva d'uno, contro cui egli
si dirige senza mai effettuare il colpo. Finalmente,
correndogli dietro e tirandogli il cappello, si perde
di vista)

(Scoppia il temporale, si oscura totalmente il bosco,
agitato dal vento e illuminato dai frequenti lampi.
Comparisce di bel nuovo Pacuvio spaventato,
stringendosi al petto e coprendo per quanto può
alcuni fogli. Fugge Pacuvio incerto e sbalordito, e
al temporale succede intanto gradatamente la calma)

PACUVIO
Ahi!.. scappa... il vento in aria
Mi ha portato il fucile... aiuto!.. ah! dove
Salvar me stesso e i scritti miei... soccorso!..
Deh! Fulmine canoro,
Rispetta, se non altro, il sacro alloro.

(fuggendo)

Scena Quarta

(Giocondo solo)

GIOCONDO
Oh come il fosco impetuoso nembo
Ci separò!.. Clarice, il Conte invano
Chiamai sovente, e più l'altrui mi calse,
Che il mio periglio...
Or tutto è calma, e solo
Regna nel petto mio tempesta eterna.
La mia tiranna io mi figuro in braccio
All'amico rival...
sparsa le chiome...
Pallida... ansante... e lui veder mi sembra,
Che al sen la stringe...
la conforta... e pasce
L'avido ciglio in quella,
Fatta dal pianto e dal timor più bella.

Quell'alme pupille
Io serbo nel seno:
Ma un guardo sereno
Non hanno per me.

Deh! Amor, se merita
Da te mercede
La sempre candida
Mia lunga fede,
Fa' ch'io dimentichi
Sì gran beltà.

Tu fosti origine
Del mio dolor:
Tu l'opra barbara
Correggi, Amor.

(in atto di partire)

Scena Quinta

(La Marchesa Clarice e detto; indi Macrobio,
il Conte e la Baronessa)

CLARICE
(chiamandolo)
Ehi... Giocondo... Giocondo...

GIOCONDO
(con sorpresa)
Oh!.. sola? e dove
Lasciaste il Conte?

CLARICE
Non sì tosto il cielo
Tornò seren, ch'ei s'inoltrò nel bosco
Con alcuni de' suoi, di due villani
Lasciando a me la scorta: io nel vedervi
Li congedai.

(alludendo al temporale)

Ma che paura!

GIOCONDO
(con qualche caricatura)
Il Conte
L'avrà temprata. Io sì, Clarice, io privo
D'ogni conforto, l'Austro frema, o spiri
Il Zefiro soave...

CLARICE
E torni sempre
Te stesso a tormentar, né puoi scordarti?..

GIOCONDO
(interrompendola con trasporto)
Io scordarmi di te?

CLARICE
Se pace brami...

GIOCONDO
(egualmente)
Io pace? eh come?
a farmi guerra eterna
Tre nemici ho nel sen: la tua fortuna,
L'amor mio, l'amistà;
quella involarti;
Questa tradir non lice; e Amor frattanto
Pretende invan della vittoria il vanto.

CLARICE
Alla fortuna rinunziar non fora
Per generoso cor difficil opra:
Ma rinunziar, Giocondo,
Tu all'amistà non devi,
Io non posso all'amor.

GIOCONDO
(con molta passione)
Né un raggio almeno
Di remota speranza...

CLARICE
Invan.

GIOCONDO
Del Conte
Il non mai stanco dubitar...

CLARICE
Deh! lascia
Ch'io mi lusinghi.

GIOCONDO
Il tempo
Cangia talor gli umani affetti.

CLARICE
È vero;
Non so negarlo.

GIOCONDO
E tu potresti un giorno
Riacquistar la libertà primiera.

CLARICE
(Fra sè)
Mi fa pietà.

(A Giocondo)

Dunque ti calma, e spera.
Spera, se vuoi, ma taci:
Io ti prometto amore;
Seppur da' lacci il core
Un giorno io scioglierò.

(Intanto comparisce Macrobio e chiama il
Conte ch'egli vede da lontano. Da un'altra
parte sovraggiunge la Baronessa.)

GIOCONDO
Ai dolci accenti tuoi
Dove mi sia, non so.

BARONESSA
(ad alta voce accennando Clarice e Giocondo)
Macrob...

MACROBIO
Ma zitto... (bestia!)

(al Conte per canzonarlo)

Dite? colei che fa?

(ironicamente e con enfasi)

La prima fra le vedove,
Che vanti fedeltà.

CONTE
(alla Baronessa ed a Macrobio senza manifestarsi
agli altri due)
Bravissimi! bravissimi!
Femmina è sempre femmina:
Amoreggiar lasciamoli
Con tutta libertà.

BARONESSA
(a Macrobio, sottovoce)
L'affar diventa serio:
Ci ho gusto in verità.

GIOCONDO
(a Clarice)
Mi promettete amore?

MACROBIO
(al Conte sempre nella medesima aria)
Amore!

CONTE
Poverino!

CLARICE
(a Giocondo)
Consulterò il mio core.

MACROBIO
(come sopra)
Il core!

CONTE
(mostrando disinvoltura)
Va benino.

(Fra sè)

Che faccia quel che vuole:
Le donne io so pesar.

(Comparisce in distanza il coro de' cacciatori)

MACROBIO
(Fra sè)
Il capo assai gli duole,
E nol vorria mostrar.

GIOCONDO
(a Clarice, sottovoce)
Per me comincia il sole
Quest'oggi a scintillar.

CLARICE
(a Giocondo, sottovoce)
Son semplici parole
Per farti almen sperar.

BARONESSA
(Fra sè)
Ma queste non son fole,
Son fatti da mutar.

CONTE
(a Clarice con forza, avanzandosi e scoprendosi)
Donna di sensi equivoci,
Piena d'astuzie e cabale,
Ch'io sono a torto incredulo.
Potrai lagnarti ancor?

CLARICE, BARONESSA
GIOCONDO, MACROBIO
(la Baronessa, Macrobio e il Conte alludendo
agli altri due, e questi a se stessi)
Qual d'improvviso fulmine
Insolito fragor!

Scena Sesta

(Coro di cacciatori che si avanzano, e detti)

CORO
In mezzo al temporale
La caccia è andata male:

(accennando Clarice e Giocondo mortificati)

Ma il Conte a due merlotti
Qui poi la caccia diè.

MACROBIO
Il fatto sul giornale
Io stampo per mia fé.

CLARICE
(ai cacciatori)
Come? qual mia favella?
Che insulto a me voi fate?

CORO
(a Clarice)
Prima eravate in sella,
Or vi trovate appiè.

CLARICE, BARONESSA, CONTE
GIOCONDO, MACROBIO
Men tremendo che tempesta
Questo colpo a me non par.
Sin le chiome sulla testa
Io mi sento a sollevar.

CLARICE, BARONESSA, CONTE
GIOCONDO, MACROBIO, CORO
Così allor che all'onde in faccia
Freme il vento e il fulmin romba,
Strana tema i sensi agghiaccia
Dell'intrepido nocchier.

(tutti partono in confusione)

Scena Settima

(Stanze terrene, come nell'atto primo. Donna
Fulvia e Fabrizio, indi Pacuvio affannato)

FULVIA
Io posso dir d'averla indovinata
Restando in casa.

FABRIZIO
È stato veramente
Un fiero temporal.

PACUVIO
(a Fabrizio)
Corri, t'affretta.

FABRIZIO
Dove? che fu?

PACUVIO
Per asciugar gli scritti
Sono entrato in cucina; ivi alla recita
D'una mia scena dolce brusca il cuoco
È caduto in declivio.

FABRIZIO
La vuol dire in deliquio.

PACUVIO
Certo, è là delinquente
in un cantone.

FABRIZIO
Sarà stata la puzza del carbone.

(partendo in fretta)

PACUVIO
Ah! Donna Fulvia,
se non era il tempo,
Avrei fatta una strage
Di salvaggiume:

(mettendo fuori di tasca un picciolissimo uccello morto)

Altro perciò non posso
Esibirvi che questo
Picciolo segno della mia bravura.

FULVIA
(voltandogli le spalle e partendo)
Non so che farne.

PACUVIO
(Fra sè)
È morto di paura.

(partendo anch'esso)

Scena Ottava

(Il Conte Asdrubale e il Cavalier Giocondo)

CONTE
Di quanto poco fa Clarice e voi
A me diceste, io sono
Persuaso abbastanza.

GIOCONDO
Ella è innocente:
Né reo son io che di leggiera colpa,
Se può colpa chiamarsi...

CONTE
Il vostro affetto
Per lei m'era già noto,
E la vostra virtù.

GIOCONDO
Ma quando mai
Risolverete?

CONTE
Il matrimonio è un passo,
Un passo grande!

GIOCONDO
E non vi basta ancora...

CONTE
Risolverò: per ora
Pensiamo a divertirci con Macrobio,
Che sfidarmi dovea.

GIOCONDO
Come vi piace.

CONTE
Andiam.

GIOCONDO
(Fra sè)
Che strana idea!

(Entrambi in atto di partire)

Scena Nona

(La Marchesa Clarice tutt'allegra con una
lettera dissigillata in mano, e detti)

CLARICE
(ansante per la gioia)
Amici, oh! qual d'una sorella al cuore
Soave annunzio inaspettato! Udite:
Il Capitan Lucindo,
Il mio caro Lucindo, il mio gemello...

CONTE
(in aria di scherzo)
Dagli Elisi tornò?

CLARICE
Quegli ch'estinto
Da ciascun si credea, vive; e son questi
Dopo sett'anni di silenzio i suoi
Preziosi caratteri.

(sorpresa degli altri due)

(Clara para sí)

Perdona,
Ombra del mio german,
se all'uopo io chiamo
De' miei disegni il nome tuo.

CONTE
Ma dove
Si trattenne finor?

GIOCONDO
Perché non scrisse?

CONTE
Fu prigionier?

CLARICE
Nol so: di tutto a voce
M'informerà. L'ottavo sole appena
Sorgea di nostra età, quando il destino
Ci separò; pur le sembianze ancora
Io n'ho presenti.

CONTE
Eppoi
Specchiandovi...

GIOCONDO
Sibben, le avete in voi.

CONTE
S'egli è ver, ch'eravate...

CLARICE
Certamente:
Eravam somiglianti
Come due gocce d'acqua.

Oh quante volte
La nostra buona madre
Con le cangiate fanciullesche spoglie
Le paterne pupille
Tradì per giuoco! e un dolce error di nomi,
Non già d'affetti, risuonò su i labbri
Del comun padre!

CONTE
Io mi consolo.

GIOCONDO
A parte
Son de' vostri contenti.

CLARICE
(al Conte)
Se il permettete alla cittade io volo,
Dove m'attende il mio german.

CONTE
Che venga
Ei stesso qui.

CLARICE
«Breve in Italia», ei scrive,
«Sarà la mia dimora;
Né voglio abbandonar la compagnia.»

CONTE
Qui la conduca,
e quanto vuol ci stia.

CLARICE
Quest'è troppo.

CONTE
Che troppo? i militari
Io sempre amai.

CLARICE
Le vostre grazie in voce
Dunque ad offrirgli andrò.

CONTE
Se ricusasse,
Mi farebbe un affronto.

CLARICE
(Fra sè)
Già previsto io l'avea;
tutto è già pronto.

(Tutti e tre in atto di partire s'incontrano in Pacuvio)

Scena Decima

(Pacuvio affannato, e detti)

PACUVIO
(mostrando una lettera)
Nuova grande! è arrivato
Sin qui da ieri alla piazza
Il maestro Petecchia, il celeberrimo...

CONTE
Credete voi che molti siano in oggi
I maestri di vaglia?

PACUVIO
Più di cento
Saran senz'altro, e tutti bravi, e tutti
conosciuti da me.

CLARICE
(In aria di derisione)
Compreso ancora
Il maestro Petecchia.

GIOCONDO
Certo, ossia febbre putrida.

CONTE
(al Cavalier Giocondo)
In acconcio
Qui cadrebbe, a me sembra,
Quel tal vostro sonetto, in cui fingete,
Se non m'inganno,
d'aver fatto un sogno,
Recitatelo in grazia.

GIOCONDO
In grazia dispensatemi.

CLARICE
Via, Cavalier.

GIOCONDO
Non mi sovvien... scusatemi.

CLARICE
Finiamola. Un mio furto
Confesserò, cui tenne man Fabrizio.

GIOCONDO
(turbandosi)
Come? il sonetto?...

CLARICE
Io l'ebbi, e il so a memoria.

CONTE
Dunque...

CLARICE
Sarà mia gloria
Far cosa grata al Conte.

GIOCONDO
(a Clarice)
Ah! no, vi prego...

CONTE
(a Giocondo)
Anzi a vostro dispetto.

PACUVIO
(Fra sè)
Quante caricature!

CLARICE
Ecco il sonetto.

Sognai di Cimarosa, ahi vista amara!
La fredda salma sull'Adriaco suolo:
I gran maestri, onde l'Ausonia è chiara,
Cerchio a quella facean d'omaggio e duolo;

Quando piombò sulla funerea bara
Non so qual di pigmei musico stuolo:
Squarciarne i membri, e depredarli a gara
Fu per essi un sol voto, un punto solo.

Non rimanea che il capo: insidiosa
Vidi una man, che d'afferrarlo ardia;
Ma il capo si levò, mirabil cosa!

E l'aurea bocca, ove del canto in pria
Sedean le grazie, mormorò sdegnosa:
«Canaglia, indietro; che la testa è mia»

CLARICE
Che ne dite Pacuvio?

PACUVIO
(con aria d'importanza)
Non c'è male.

GIOCONDO
(a Pacuvio con caricatura)
Grazie alla sua bontà.

CONTE
(al medesimo)
Questo sonetto
Proprio di fronte attacca
Quei vostri cento e più.

PACUVIO
(Fra sè)
Non vale un'acca.

(Partono Clarice, il Conte e Giocondo per una
banda; Pacuvio per un'altra, e s'incontra in Fulvia)

Scena Undicesima

(Donna Fulvia e Pacuvio)

PACUVIO
(retrocedendo con lei)
Oh! Madama, a proposito: io credea,
Che un segreto affidatovi non foste
Mai di tradir capace:
Ora con vostra pace
Vi dirò che ho sospetto ben fondato
Che l'abbiate per gloria pubblicato.

FULVIA
Pubblicato? alla sola
Baronessa io l'ho detto in confidenza
E s'ella in confidenza
Lo dicesse a Macrobio; e in confidenza...

PACUVIO
Macrobio lo stampasse sul giornale,
Sarebbe confidenza generale.

FULVIA
Certo.

PACUVIO
(smaniandosi)
Povero me! la mia parola...

(Fra sè)

Vale a dir la mia pelle.

(A Fulvia)

L'amicizia, il decoro..

FULVIA
Eh, bagattelle.
Pubblico fu l'oltraggio
Sia pubblica la pena,
Chi m'insultò, più saggio
In avvenir sarà.

Ch'io castigai l'altero,
Sia noto al mondo intero:
È la vendetta un sogno
Quando nessun lo sa.

(parte)

PACUVIO
Ti vanta pur: la tua vendetta è vera,
Come il trionfo mio. Ma se Giocondo
Saprà la cosa, ove mi salvo? eh, niente;
Se vedrò che altro scampo non mi resta,
Con un'altra bugia rimedio a questa.

(parte)

Scena Dodicesima

(Macrobio, indi il Cavalier Giocondo, poi il Conte
e due domestici, ciascuno de' quali porta una spada
sopra un bacile)

MACROBIO
Io far duelli? io, che a' miei giorni mai
Né pistola adoprai, né spada o stocco
Per onor di nessuno? io, che una sola
Volta, né mi sovvien se bene o male,
Mi son battuto a pugni
Per onor del giornale?
Io?..

GIOCONDO
(in aria fiera)
Macrobio.

MACROBIO
Signor.

GIOCONDO
(gli dà una pistola)
Prendi.

MACROBIO
(incomincia a sgomentarsi)
Obbligato.
Che n'ho da far?

GIOCONDO
Sopra di me spararla.
Quando ti toccherà, come io quest'altra

(mostrandogli un'altra pistola)

Sopra te sparerò.

MACROBIO
(Fra sè)
Lupus in fabula.

(A Giocondo)

Ma non veggo il perché...

GIOCONDO
Perché hai tu sparso
Che a Pacuvio io cercai la vita in dono.

MACROBIO
L'ho detto senza crederlo.

GIOCONDO
Peggio! Su via...

MACROBIO
Se vi calmate io sempre
Dirò bene di voi sul mio giornale.

GIOCONDO
Potentissimi Dei! sarebbe questa
Una ragion più forte
Per ammazzarti subito. Alle corte.

MACROBIO
Vengo... aspettate...

(Fra sè)

Il Conte è fuor di casa...
Altro scampo non v'è... tempo si prenda...

(Macrobio va pensando, e frattanto Giocondo
fa dei cenni a qualcuno che si suppone dentro
la scena)

GIOCONDO
(a Macrobio)
Terminiamo sì o no, questa faccenda?

MACROBIO
Lo volete saper?..
da uom d'onore
Qual mi dichiaro e sono...

GIOCONDO
Salvo errore.

MACROBIO
Io non posso accettar,
perché un impegno
Egual mi sono assunto
Col Conte, e l'ho sfidato.

GIOCONDO
(osservandolo)
Eccolo appunto.

MACROBIO
Maledetta fortuna!

CONTE
Olà, Macrobio
Giacché tu di sfidarmi
Non hai coraggio, io te disfido.

GIOCONDO
(a Macrobio fingendo meraviglia)
Come?
Dunque...

MACROBIO
(sommamente imbarazzato)
Dirò...

GIOCONDO
Conte, scusate; il primo
Son io.

CONTE
Non cedo: ad ogni costo ei deve
Battersi meco.

GIOCONDO
A' miei diritti invano,
Ch'io rinunzi, sperate.

MACROBIO
(Fra sè)
Oh bella! a gara
Fanno per ammazzarmi.

(al Conte)

Una parola...

CONTE
(voltandogli le spalle)
Io non desisto.

MACROBIO
(a Giocondo)
Udite...

GIOCONDO
(egualmente)
Non serve.

MACROBIO
Io comporrò la vostra lite.
Prima fra voi coll'armi
Il punto sia deciso:

(volendo mandare la cosa in celia)

Con quel che resta ucciso,
Io poi mi batterò.

GIOCONDO
(al Conte accennando Macrobio)
Quando quel cor malnato
Dal sen gli avrò diviso,

CONTE
(a Giocondo accennando Macrobio)
Quando l'avrò mandato
A passeggiar l'Eliso,

CONTE, GIOCONDO
Fra noi vedrem se ucciso
A torto io l'abbia o no.

CONTE
(risoluto a Macrobio)
Andiam.

MACROBIO
(a Giocondo per ischermirsi dell'altro)
Voi che ne dite?

GIOCONDO
(risoluto a Macrobio)
Su via.

MACROBIO
(al Conte come sopra)
Voi lo soffrite?

CONTE
(prendendolo per un braccio)
Orsù...

MACROBIO
(al Conte accennando Giocondo)
Quest'altro freme.

GIOCONDO
(prendendolo egualmente per un braccio)
Non più...

MACROBIO
(a Giocondo accennando il Conte)
Quest'altro grida.

CONTE, GIOCONDO
(l'uno all'altro dopo avere alquanto pensato)
Ebben, l'acciar decida
Chi primo ha da pugnar.

MACROBIO
(Fra sè, tirandosi da parte)
Comincio a respirar.

(Ad un cenno del Conte si avanzano i due domestici,
uno verso il Conte medesimo, l'altro verso Giocondo,
presentando loro le rispettive spade)

CONTE, GIOCONDO
(con le spade medesime)
Ecco i soliti saluti.

(facendosi dei segnali d'intelligenza fra loro)

Del duello inaspettato
Si consola il maledetto;
E non sa che per diletto
Lo faremo ancor tremar.

MACROBIO
(Fra sè)
Son quei ferri molto acuti;
Far potriano un bell'effetto:
Sol due colpi in mezzo al petto,
E finisco di tremar.

CONTE
(dopo essersi messi in positura, ed incrocicchiate
le spade il Conte volge la punta a terra)
Con permesso...

GIOCONDO
(egualmente)
Io fo lo stesso...

MACROBIO
(titubante)
Che vuol dir? che nuova c'è?

CONTE
(a Giocondo accennando Macrobio)
Il padrone della casa
Ceder deve al forestiero:
E con lui pugnar primiero
Tocca a voi, non tocca a me.

MACROBIO
Non è vero, non è vero;
Io protesto, per mia fé.

GIOCONDO
Quest'è vero, quest'è vero;
Senza dubbio tocca me.

MACROBIO
(al Conte in aria supplichevole)
Ma che un mezzo non vi sia
D'aggiustar questa faccenda?

CONTE
(fingendo di pensare)
Per esempio... si potria...

GIOCONDO
(invitando Macrobio)
Presto, a noi; che più pensar?

MACROBIO
(a Giocondo)
Via, lasciatelo pensar.

CONTE
(al medesimo)
Quando il forte a noi si arrenda,
si potria capitolar.

GIOCONDO
(fingendo di rifletterci)
Capitolar?

MACROBIO
(applaudendo al Conte con sommo trasporto)
Bravissimo!

GIOCONDO
Per me son contentissimo!
D'usar facilità.

CONTE
In termine brevissimo
L'affar si aggiusterà.

MACROBIO
Ripiego arcibellissimo!
Di meglio non si dà.

CONTE
(a Giocondo accennando Macrobio)
Per prima condizione
Fissiam ch'egli è un poltrone.

MACROBIO
Si accorda.

GIOCONDO
Un uom venale.

MACROBIO
Si accorda; non c'è male.

CONTE
Un cicisbèo ridicolo.

MACROBIO
Si accorda il terzo articolo.

GIOCONDO
Il fior degli ignoranti.

MACROBIO
Adagio.

CONTE
(con forza)
Avanti.

GIOCONDO
Avanti.

MACROBIO
Distinguo: in versi, o in prosa?

CONTE, GIOCONDO
(come sopra)
S'intende in ogni cosa.

MACROBIO
Eppur...

CONTE, GIOCONDO
(minacciando)
Che dir vorresti?

MACROBIO
Che articoli sì onesti
Non posso ricusar.

CONTE, GIOCONDO
Gli articoli son questi;
Non v'è da replicar.

(Il Conte e Giocondo rendono le spade
ai rispettivi domestici)

CONTE, GIOCONDO, MACROBIO
Fra tante disfide
La piazza è già resa.
Giammai non si vide
Più nobile impresa:
D'accordo noi siamo;
Cantiamo, balliamo:
La gioia sul viso
Ritorni a brillar.

(partono)

Scena Tredicesima

(Interno del villaggio; abitazioni diverse, e fra le altre
quelle del Conte con porta praticabile. Veduta della
campagna. Da un lato picciola eminenza)

(Pacuvio dalla casa del Conte; poi Donna Fulvia;
indi la Baronessa e Macrobio)

PACUVIO
Chi non nega si annega:
E, non v'era, per Bacco! altro riparo.
«Piaga d'acuto acciaro
Sana l'acciaro istesso.» Metastasio
Mi rubò quest'idea giusta, giustissima.
Infatti una bugia,
Che Donna Fulvia pubblicò, m'avea
Ridotto a brutto stato:
Con un'altra bugia mi son salvato.

FULVIA
Menzognero, impostor! darmi ad intendere?..

(Pacuvio intanto si va guardando intorno,
come se cercasse qualcuno)

Che cerchi?

PACUVIO
Con chi parla?

FULVIA
Con te.

PACUVIO
Con me? sa chi son io?

FULVIA
Pacuvio.

PACUVIO
Pacuvio menzogner?
Giove mi scortichi
Se una sola bugia
Ho detto in vita mia.

MACROBIO
(aggirandosi per la scena, ed asciugandosi il
sudore, come se ritornasse da una grand'impresa)
No, Baronessa, non son ferito.
Oh se veduto aveste!

BARONESSA
Dite, su.

MACROBIO
(come sopra)
Cose grosse!

BARONESSA
(con impazienza)
Ebben?

MACROBIO
(sempre passeggiando)
Siam vivi,
Perché siam vivi.

BARONESSA
(come sopra)
In somma...

MACROBIO
(avvedendosi di Pacuvio)
Ecco il bugiardo,
Cagion del mio periglio.

FULVIA
(a Pacuvio)
Prendi, che ben ti sta.

PACUVIO
(a Macrobio)
Mi meraviglio.

MACROBIO
(come sopra senza badare a Pacuvio)
Qual cimento ineffabile!

BARONESSA
(con estrema impazienza)
Ma come
Lo terminaste?

MACROBIO
Come? da par mio.

BARONESSA
Cioè?

MACROBIO
Cioè... che interrogar molesto!
Dicendo da par mio, s'intende il resto.

Scena Quattordicesima

(Fabrizio, che discende da un'eminenza, e detti.
Diversi abitanti del villaggio s'incamminano

verso la campagna in aria di curiosità)

FABRIZIO
Eccolo.

(Macrobio continua a passeggiare in grande,
come sopra)

FULVIA
Chi?

FABRIZIO
Lucindo.

BARONESSA
Il Capitano?

PACUVIO
Il gemello germano?..

FABRIZIO
Sì, della Marchesina.

MACROBIO
Io volentieri,
Quantunque militar, l'avrei veduto
Nel caso mio.

(Intanto Pacuvio con un foglio spiegato
va facendo dei gesti)

FULVIA
Le somiglianze rare
Fra la sorella e lui
Di veder son curiosa.

(Macrobio continua la sua pantomima)

BARONESSA
Se a lei somiglia non avrà gran cosa.

FABRIZIO
(Fra sè)
Che pettegole!

(Forte)

Io vado
Per ordine del Conte ad incontrarlo.

(Fabrizio parte)

FULVIA
Che fai, Pacuvio?

PACUVIO
Io parlo
Con Demetrio Evergete.

BARONESSA
(a Pacuvio)
Zitto: s'avanza il Capitan.

FULVIA
(al medesimo)
Tacete.

BARONESSA
Tiriamoci in disparte.

MACROBIO
Oggi d'esser mi sembra un altro Marte.

(Si ritirano senza partir dalla scena)

Scena Quindicesima

(Detti in disparte; la Marchesa Clarice in abito
militare, un tenente, un sergente, due caporali e
soldati; Fabrizio di ritorno, abitanti del villaggio e
servi del Conte, che restano indietro. Marcia militare)

CLARICE
(ai soldati dopo che la truppa si sarà posta in ordine)
Se l'itale contrade,
Che in fanciullesca etade
Abbandonai, preme il mio piè;
se vidi il ciel natio;
se dell'amata suora
Sulle stanche pupille
io tersi il pianto,
Valorosi compagni,
è vostro il vanto.

Se per voi le care io torno
Patrie sponde a vagheggiar,
Grato a voi di sì bel giorno
Il mio cor saprò serbar.

SOLDATI
L'esempio, il tuo periglio
A noi servì di sprone;
Né bomba, né cannone
Potevaci arrestar.

CLARICE
Viva il desio di gloria,
Che all'alme amar non vieta;
Ciascun con me ripeta:
«Marte trionfi, e Amor.»

(Fra sè)

Sotto l'intrepida –
Viril sembianza
Sento a risorgere –
La mia speranza:
Fra i dolci palpiti –
S'infiamma il cor.

ORO
Qual volto amabile! –
Vivace e nobile!
Che ardir magnanimo –
Gl'infiamma il cor!

(Clarice entra col seguito in casa del Conte,
accompagnata da Fabrizio e dai domestici del Conte
medesimo; gli abitanti del villaggio si disperdono)

Scena Sedicesima

(La Baronessa e Macrobio; Pacuvio e
donna Fulvia, che si avanzano)

BARONESSA
Che ne dite, Macrobio? io non ci trovo
Questa gran somiglianza.

MACROBIO
Io son d'avviso,
Che non v'è differenza in quanto al viso.

BARONESSA
Diamine! siete cieco? il Capitano
È assai di lei più bello.

FULVIA
(a Pacuvio)
Sembra che non le sia neppur fratello.

PACUVIO
Eppur...

FULVIA
Non v'è confronto. Baronessa,
È ver, che non somigliano?

BARONESSA
Lo stesso
Dico anch'io.

FULVIA
(a Pacuvio)
Lo sentite?

BARONESSA
(a Macrobio)
Vedete, se ho ragion?

MACROBIO
Signora, sì.

FULVIA
(a Pacuvio)
Siete convinto ancor?

PACUVIO
Sarà così.

BARONESSA
(Fra sè)
Voglio a lui presentarmi
Prima che torni il Conte.

(a Macrobio)

Con permesso.

MACROBIO
Si accomodi.

(La Baronessa entra in casa del Conte)

FULVIA
(osservando la Baronessa)
(Ho capito.)

(A Pacivio)

Addio, Pacuvio.

PACUVIO
Si serva.

FULVIA
(Fra sè)
Anche a me piace il militare;
Né mi lascio da un'altra soverchiare.

(entra anch'essa in casa del Conte)

Scena Diciassettesima

(Macrobio e Pacuvio)

PACUVIO
Le nostre dame, amico,
Ci hanno qui piantato.

MACROBIO
Il marziale aspetto
Val più assai che un articolo e un sonetto.

PACUVIO
Basta... non crederei...

MACROBIO
Se il Capitano
Sapesse il fatto d'armi...

PACUVIO
Oh! appunto, dimmi,
Or che siam soli, come andò?

MACROBIO
Son cose
Da non parlarne più. Ti dico solo,
Che il Conte e il Cavaliere in quell'incontro
Ebber del mio carattere
Un saggio tal da non tornarsi a battere.

(entra in casa del Conte)

PACUVIO
Se a tal fandonia io credo, il dir bugie
Senza rossor divenga
Per me fatica; e mi sia tolto insieme
Il privilegio antico
Di prestar fede io stesso a quel che dico.

(entra anch'esso in casa del Conte)

Scena Diciottesima

(Galleria. Clarice in abito militare, il Conte
VAsdrubale e il Cavalier Giocondo)

CONTE
(in atto di pregare)
Scusate, Capitan...

CLARICE
(in aspetto fiero)
Tutto m'è noto.

CONTE
Ch'io sappia almen da lei...

CLARICE
No, mia sorella
Più non vedrete.

(a Giocondo)

Cavaliere, a voi
La destra io n'offro.

GIOCONDO
Io la ricuso: amico
Prima che amante, io fui.

CLARICE
La vostra ammiro
Non volgare amistà. Lungi da questi
Lidi per lei funesti
Clarice io condurrò.

CONTE
(con sorpresa ed affanno)
Voi?

CLARICE
(con forza)
Sì.

CONTE
(smanioso, sottvoce a Glocondo)
Me stesso in me non trovo.

CLARICE
(Fra sè)
In quelle smanie io veggo
Il mio trionfo.

CONTE
(a Clarice quasi piangendo)
E partirà Clarice
Per non tornar mai più?

CLARICE
D'avervi amato
Arrossirà, quando ragione e tempo
Resa le avran la sospirata calma.

CONTE
(appoggiandosi a Giocondo)
Oh Dio!.. qual su quest'alma
Piomba improvviso gel!.. d'amarla tanto
Io non credea.

CLARICE
Né pianto
A lei giovò, né tolleranza e fede
Anche in mezzo ai disastri.

CONTE
Ah! sì, conosco
Per mia pena maggior tutte in un punto
Le sue virtù.

(a Clarice in aria supplichevole)

Deh...

CLARICE
(con enfasi)
No.

CONTE
Crudel!.. se fosse
Clarice qui... se me vedesse... Oh quanto!..

CLARICE
(Fra sè)
Resisto appena.

CONTE
Oh quanto mai Natura
Sotto eguali sembianze
Vi distinse nel cor!

GIOCONDO
(a Clarice)
Deh! alfin vi basti
Il pentimento, il suo rossor...

CLARICE
(con enfasi, come sopra)
No.

CONTE
(a Giocondo)
Cessa...
Lasciami, amico, a quel destino in preda,
Che a me stesso io formai. Da te Clarice
Sappia almen ch'io l'adoro,
Che le follie, che il mio rigor condanno,
E che forse per lei morrò d'affanno.

(a Clarice)

Ah! se destarti in seno
Per me pietà non senti,
Lascia ch'io speri almeno
Dall'idol mio pietà.

(a Giocondo)

Caro amico, ah! tu lo vedi...
Ah! di me che mai sarà?

(a Clarice)

Al mio duol se tu non cedi,
Mostro sei di crudeltà.

(all'uno e all'altra)

Non vedrò mai più Clarice:
E fia vero?.. oh me infelice!

(a Clarice fissando in lei lo sguardo)

Le sembianze in te ravviso:
Il tuo volto in due diviso
M'innamora, e orror mi fa.

Più bramar non so che morte;
Altra speme a me non resta:
L'ora estrema, oh Dio! fu questa
Della mia felicità.

(parte furiosamente e Giocondo lo segue)

CLARICE
Quanto costa una colpa!
Quanto soffersi a simular non usa,
Né ad infierir! povero Conte! amarlo,
Saper che m'ama e maltrattarlo! è vero:
Ma de' comuni affetti
Stato ei sarebbe ad onta sua tiranno,
S'io non compia questo felice inganno.

Scena Ultima

(La Baronessa, poi Donna Fulvia e detta;
finalmente tutti, ciascuno a suo tempo)

BARONESSA
Siete alfin solo: impaziente io stava
Aspettando il momento...

FULVIA
(correndo spaventata)
Se non era
Il Cavalier Giocondo,
Il Conte si uccidea.

CLARICE
(con somma agitazione)
Che sento!
Ed ora?

FULVIA
Scrive.

CLARICE
(Fra sè)
Respiro.

BARONESSA
(a Donna Fulvia)
E perché mai?

FULVIA
Si crede
Che il signor Capitan gli abbia intimato...

FABRIZIO
(correndo)
Ah! signor Capitan...

CLARICE
Che cosa è stato?

FABRIZIO
Leggete, e poi firmatevi:
«Lucindo per Clarice sua sorella»,
O il padron si dà fuoco alle cervella.

BARONESSA
Caspita! il caso è serio.

CLARICE
(Fra sè)
Oh me felice!
Scrivo il mio nome: ei stupirà.
«Clarice.»

FABRIZIO
Grazie.

BARONESSA
(a Fulvia, sottovoce)
Che nuova c'è?

FULVIA
(alla Baronessa, sottovoce)
Credo che sia
Carta di matrimonio.

CLARICE
A queste dame
Domando mille scuse.

BARONESSA
(in aria di galanteria)
Io più di mille
Ne domando anzi a voi, se forse troppo
Importuna vi son.

FULVIA
(egualmente)
Volano l'ore
In vostra compagnia

BARONESSA
(come sopra)
Sembrano istanti.

CLARICE
Siete troppo gentili.

(Fra sè)

Anzi sguaiate.

FULVIA
(come sopra)
Oh grazie.

BARONESSA
(come sopra)
È sua bontà.

CLARICE
(Fra sè)
Quando sapranno
Quel che so io.

FABRIZIO
(al Conte nell'escire)
La Marchesina? Oh bella!
Non l'ho neppur veduta.

CONTE
(mostrando il foglio che ha in mano)
Ed io ti dico
Che questo è suo carattere.

PACUVIO
(osservando il foglio)
Senz'altro.

CONTE
Io lo conosco.

GIOCONDO
(facendo lo stesso)
Non v'è dubbio.

MACROBIO
(a Fabrizio osservando anch'esso)
Hai torto.

FABRIZIO
Or lo vedremo. Il Capitan Lucindo
Per me risponda.

CLARICE
Io parlerò. Fabrizio
Non ha né torto, né ragion; mi spiego:
Conte, io spero che siate
Disposto a perdonarmi.

CONTE
Io sì.

CLARICE
Ne chieggo
La destra in pegno.

CONTE
Eccola, o caro; io tutto,
Or che ottenni Clarice, a voi perdono.

CLARICE
Lucindo non tornò:
Clarice io sono.

(Stupore universale)

CONTE, GIOCONDO
Voi Clarice?

BARONESSA, FULVIA
Qual inganno!

MACROBIO, PACUVIO
Qual sorpresa!

FABRIZIO, CORO
Qual portento!

TUTTI
Questo nobile ardimento
Chi poteva immaginar?

CLARICE
Trasformando al fin me stessa
Aguzzai d'amor lo strale:
La sorpresa universale
Mi fa l'alma in sen brillar.

BARONESSA, FULVIA
Che improvviso temporale!
Ci avrei fatta una scommessa:
Ah! pur troppo è dessa, è dessa,
E ci seppe corbellar.

PACUVIO
Donna Fulvia...

MACROBIO
Baronessa...

MACROBIO, PACUVIO
È venuto il temporale.
Si è smorzato il mio fanale,
Cesso alfin di smoccolar.

CONTE, GIOCONDO
Da stupor, da gioia eguale
Non fu mai quest'alma oppressa:
Ma la gioia omai prevale;
Già non so che giubilar.

FABRIZIO, CORO
(verso il Conte)
Da stupor, da gioia eguale
Non fu mai quell'alma oppressa:
Ma la gioia omai prevale,
E non sa che giubilar.

CONTE
(a Clarice)
Cara,
perdon ti chiedo.

CLARICE
(al Conte)
Perdon
ti chiedo anch'io.

GIOCONDO
(con brio a Clarice e al Conte)
Ragion per me non vedo
Di starsi a supplicar.

CONTE
(a Giocondo)
Quanto vi deggio, amico!

GIOCONDO
(come sopra)
Lo stesso ancor vi dico:
Lasciamo i complimenti.

MACROBIO, PACUVIO
Piuttosto andiamo a pranzo:
Pria che la lingua, i denti
Bisogna esercitar.

MACROBIO, PACUVIO, GIOCONDO
E sopra l'altre cose
Con pompa ed allegria
Le nozze portentose
Si pensi a festeggiar.

BARONESSA, FULVIA
(la Baronessa a Macrobio, Donna Fulvia
a Pacuvio)
Veder chi si marita,
E starli a contemplar...

MACROBIO, PACUVIO
(interrompendole)
Madama, l'ho capita:
Son grato al vostro affetto;
Ma per parlarvi schietto,
Ci voglio un po' pensar.

MACROBIO
(veggendo che la Baronessa se ne rammarica,
le porge la destra)
Via su, sia per non detto,
Vi voglio contentar.

CONTE
Finor di stima io fui
Verso le donne avaro:
Da questo giorno imparo
Le donne a rispettar.

TUTTI
Il cor di giubilo
Brillar mi sento:
Non so reprimere
Quel sentimento,
Che in petto l'anima
Mi fa balzar.

Del paragon la pietra
A tempo usar conviene:
Chi prova e non risolve,
Un seccator diviene;
Si rende altrui ridicolo
Per farsi singolar.


ACTO PRIMERO


(Ameno jardín del palacio de campo del
Conde Asdrúbal, situado en las inmediaciones
de alguna villa cercana a una importante ciudad
de Italia)

Escena Primera

(Coro mixto de huéspedes y sirvientes del Conde
Asdrúbal; también Pacuvio, luego Fabrizio
entrando desde un lado, la baronesa Aspasia
desde otro y finalmente doña Fúlvia)

CORO
No hay otro caballero más experimentado
que el Conde Asdrúbal.
Tiene el sentimiento y el corazón magnánimos,
y dulces los modales.
En su casa resplandecen
la riqueza y la nobleza.
A las mujeres respeta
y aquí con placer las acoge,
mas parece que no tiene prisa
por tomar una esposa.
Es muy grande su dificultad
para decidirse a escoger.

PACUVIO
(con algunos papeles en la mano y en actitud
de leer)
¡Atentos!
¡Escuchad estas rimas!

CORO
(dándole la espalda)
¡No, por favor deja eso!...

PACUVIO
(persiguiéndolos)
Yo imagino así Alcestes,
cuando cortejaba a Arbace
hablándole de amor
a sombra de los árboles:

CORO
(como antes)
¡Déjanos en paz!

(En voz baja)

¡Un pesado más grande que éste jamás se oyó!

PACUVIO
(como anteriormente)
"Sombrita desdeñosa
del Misisipi"

CORO
(Irónicamente)
¡Bellísima cosa!

(con suma impaciencia)

¡Pero ya es suficiente!

PACUVIO
(Viendo que Fabrizio abandona al resto,
se dirige a su encuentro con arrebato)
Las orejas ¡oh, Fabrizio!
te quiero embalsamar.

FABRIZIO
(mostrando gran apuro por librarse de él)
¡Tengo prisa, por favor, déjame ir!

BARONESA
(llamándolo desde otro sector)
¡Fabrizio

PACUVIO
(volviéndose hacia ella)
Señora,
¿Quién se preocupa ahora
si es Alcestes quien habla?...

(en actitud de leer)

BARONESA
¡No quiero escucharla!

PACUVIO
(por momentos, a uno y al otro)
Esta aria alusiva,
heroico-burlesca,
cantarla sobre una gaita
deberá una criada
para hacer que los presentes
revienten de la risa.

BARONESA, FABRICIO, CORO
¡Es hermosa, pero definitivamente
no la quiero escuchar!

PACUVIO
(leyendo)
"Sombrita..."

FÚLVIA
(llamándolo al mismo tiempo)
¡Pacuvio!...

CORO
(volviendo a dispersarse)
¡Ya basta, por favor!...

PACUVIO
(a la Baronesa, sin advertir a Fúlvia que
lo llama)
"Sombrita"

FÚLVIA
¡Pacuvio!

BARONESA
¡Estoy harta!

PACUVIO
(Como antes, a Fabrizio)
"Sombrita"

FÚLVIA
¡Pacuvio!

FABRIZIO
(impaciente)
¡No lo soporto!

BARONESA
¡Tiene al Diablo dentro!

FÚLVIA
Pero, querido Pacuvio,
¡atiéndeme!

PACUVIO
¡Tengo el Vesuvio en el pecho!
¡No me puedo detener!

BARONESA, FABRICIO, CORO
De este diluvio
¡sálvese quien pueda!

PACUVIO
(a Fabrizio)
"Sombrita..."

FABRIZIO
(alejándose)
¡Piedad!...

PACUVIO
(a la Baronesa)
"desdeñosa..."

BARONESA
¡Me voy
si no te callas!

PACUVIO
(Hasta este momento no advierte la presencia
de doña Fúlvia)
¡Oh, doña Fúlvia!...
Justamente llega en buen momento.
Se trata de un fragmento digno de un oído ilustre.

FÚLVIA
Con mucho gusto
lo escucharé

PACUVIO
(a la Baronesa y señalando a doña Fúlvia)
¡Ésta sí que es una verdadera dama!

BARONESA
(con sarcasmo)
Es verdad,
¡y se llama doña Fúlvia!

FÚLVIA
(de la misma manera)
¡Y nada menos
que una baronesa!

PACUVIO
En suma,
quien no ame el arte, que se vaya o calle.

FABRIZIO
(yéndose, a doña Fúlvia.)
Yo, me quito de en medio...

BARONESA
(de igual manera)
¡Que les haga buen provecho!

Escena Segunda

(Pacuvio y doña Fúlvia)

PACUVIO
¡Que ignorancia tan supina!

FÚLVIA
Supongo
que es por malicia.

PACUVIO
¡Peor para ellos!

(en actitud de volver a desplegar la hoja)

Oye, hermoso tesoro...

FÚLVIA
No me llames así:
sabes que aspiro la mano del Conde.

PACUVIO
Lo sé, pero no por su talento.

FÚLVIA
¡Es rico!

PACUVIO
(suspirando)
¡Desgraciadamente es así! Pero yo...

FÚLVIA
Ten un poco de paciencia.
Tendrás una buena retribución, alojamiento
y abundante comida cuando yo me case.

PACUVIO
Es siempre un honor para las buenas familias
tener un literato en casa.

FÚLVIA
Estoy convencida de eso.

PACUVIO
(volviendo a desplegar la hoja)
Escucha entonces...

FÚLVIA
Observa allí a Giocondo,
junto a Macrobio.

PACUVIO
¡Ah, a ese Giocondo,
no lo soporto!

FÚLVIA
Entonces
evitémoslo.

PACUVIO
¡Sí, vámonos de aquí!
Lo mejor será que entremos allí,
y así podré recitarte
la escena primera.

(Salen)

Escena Tercera

(Macrobio y el Caballero Giocondo, que
se acercan discutiendo entre ellos)

MACROBIO
Mil poetas he derribado
con un golpe periodístico,
pero si su poesía tiene algo de gracia,
no tengo inconveniente en apoyarla.

GIOCONDO
Vil temor a mis versos
nunca tuvo ningún periódico,
pero si un torpe como vos me alaba,
enrojezco de vergüenza.

MACROBIO
¡Lo publicaré, señor Giocondo!

GIOCONDO
Por costumbre, no respondo.

MACROBIO
Sin entrar en materia,
podría ponerla en ridículo.

GIOCONDO
Quizás ahora
podríais desmentir el artículo.

MACROBIO
¿Desmentir?... Es decir ¿responder?

GIOCONDO
Sin duda, "et toto pondere"

MACROBIO
¿Quiere decir?

GIOCONDO
Con todo el peso.

MACROBIO
Suma gracia me hará.

GIOCONDO
Pero así no la conoceréis.

MACROBIO
Recítemela.

GIOCONDO
¡Pues ahí va!

Por su virtud yo conozco
una simple tisana
que puede decirse que toca y sana
a todo sexo y toda edad.

MACROBIO
Creía que era totalmente diferente.
En verso o en prosa,
ni de casualidad en ella reconozco
una noble literatura.

GIOCONDO
(sin acalorarse)
Quiero hacer lo que me gusta.

MACROBIO
(con fervor)
Seamos claros: o guerra, o paz.

GIOCONDO
(Mofándose)
Un loco más grande que vos no existe.

MACROBIO
(igual que antes)
¿Queréis guerra?... ¡Pues guerra tendréis!

GIOCONDO
(con desprecio)
Sois un hombre que no vale nada.

MACROBIO
¡Pero cuidado si hinco el diente!

GIOCONDO
(Comenzando a acalorarse)
¡Aborto de la naturaleza!

MACROBIO
(de manera ridícula)
Pero cuando publico algo, causo terror.

GIOCONDO
(con pasión)
¡Tenéis la espalda de palo!

MACROBIO
Tengo un pico de halcón.

GIOCONDO
(con mucho desdén)
Un cobarde que tolera
vuestra temeridad.

MACROBIO
(mofándose)
No montéis en cólera
que me hacéis temblar.
Señor Giocondo, veo que queréis guerra,
¡y guerra tendréis!

GIOCONDO
Ni guerra ni paz
quiero con vos

MACROBIO
Mi periódico...

GIOCONDO
Está muerto de hambre.

MACROBIO
Los artículos literarios...

GIOCONDO
¡Yo no compro fantasías!

MACROBIO
¡Entonces, hablemos
de cosas alegres!
El conde es vuestro amigo.

GIOCONDO
¿Y bien?

MACROBIO
Entonces sabréis
a cuál de esas viudas
le concederá su mano.

GIOCONDO
¿Y a vos qué os interesa?

MACROBIO
Saberlo,
me es útil.

GIOCONDO
Y yo no busco ni cuento
cosas ajenas.

MACROBIO
La Marquesita, creo yo,
triunfará.

GIOCONDO
(suspirando, para sí, resignado)
Mucho me temo
que así será...

MACROBIO
(para sí, observándolo)
Parece que suspira.

(A Giocondo)

¿Un golpe sería eso
para vuestro corazón?

GIOCONDO
¿Qué decís?
¿A mi corazón? ¡Vos deliráis!

MACROBIO
¡Eh, vamos! ¿De qué sirve mantenerlo en secreto?
¡Ella os gusta!

GIOCONDO
(Interrumpiéndolo con ímpetu)
En definitiva,
¿Queréis terminarla, o no?

MACROBIO
(con afectada conmiseración)
Sabe el cielo, si vuestros no correspondidos
afectos yo comparto.

GIOCONDO
Discutiendo con vos me envilezco.

(Salen cada uno por su lado}

Escena Cuarta

(La Marquesa Clara, que desde adentro
responde al Conde Asdrúbal como si fuera el eco)

CLARA
Aquel me dijo, ¡oh, Dios, no te amo!

CONDE
Te amo.

(Clara manifiesta su sorpresa)

CLARA
Piedad por ti no siento.

CONDE
Siento.

CLARA
(Para sí)
Es el Conde...¡ah! sí!...
Probemos si me responde aún.

(Al Conde)

Es tal mi pena, que yo deseo...

CONDE
Deseo.

CLARA
… que finalmente me mate el amor.

CONDE
Amor.

CLARA
A mi cruel tormento...

CONDE
Mento...

CLARA
¡Ay! se aplaque tu rigor.

CONDE
Rigor

CLARA
Voz del eco piadosa

(oyendo con detenimiento)

Sobre estas orillas

(sigue escuchando y para sí misma)

...ya el eco no responde.

(En voz alta)

Tú eres la única
que me consuela
en mi dolor.

Aquella que me hacía el eco era,
sin duda, la voz del Conde, pero,
a pesar de ese ardid, se ha descubierto.
"Amo, siento". él dijo, y
"deseo amor"
y esto y lo otro.
La Baronesa y doña Fúlvia
en vano compiten conmigo.
Pero aún pueden arrebatármelo.
Para asegurarme mejor allí, entre esas ramas,
me ocultaré y vigilaré sus andanzas.

(sale)

Escena Quinta

(El Conde Asdrúbal solo, observando
si la Marquesa Clara ya se fue)

CONDE
Si con seguridad yo no supiera
que las mujeres son taimadas,
los lamentos de Clara
me darían compasión.
¿Compasión? ¿Compasión?...
¡Qué despropósito! ¿Dónde va mi cabeza?
¡Ay de mí, si me dejo llevar por la piedad!
Por ese camino estoy perdido.
¡Ah, no me seduzcas, Amor!
Es justa mi prudencia.
¡Ah, no me hagas ver que de las mujeres
yo espere fidelidad!

De mí se sorprenden todos, porque,
a pesar de los seis lustros casi cumplidos,
no he entrado en la categoría de esposo;
y Tanto más siendo rico.
¡Tanto menos diría yo! Pues son las riquezas
de la estima y del genio antiguas tiranas.
Ante el esplendor del oro, cualquier adefesio
se cree bello y capaz de merecer.
Muchas tratan de atraparme,
y sobre todo estas tres viuditas:
yo me divierto de sus celos pero,
¿cual de ellas me aprecia por mí mismo
y no por mi fortuna?
¿Quién podría adivinarlo? Quizás alguna...

(en actitud de salir)

Escena Sexta

(La Marquesa Clara y el Conde)

CLARA
(con pasión)
¡Conde, oíd!

CONDE
¿En qué puedo,
Marquesa, ayudaros?

CLARA
Yo deseo saber
si el eco es hombre o mujer. ¿Os reís?

CONDE
(Para sí)
O finge, o es muy simple.

(A Clara)

El eco no es otra cosa
que una voz desnuda repercutida.

CLARA
¿Camina o no?

CONDE
No ciertamente.

CLARA
Pero hace poco
estaba allí.

CONDE
¿Lo visteis?

CLARA
No lo vi,
pero lo escuché y me respondió...
¡Oh, querida! ¡Querida!...
Si fuese mujer, me habría rechazado.

CONDE
(Para sí)
Mi mayor peligro con ella,
es cuando habla.

CLARA
(Para sí)
Él va rumiando
todo lo que le digo.

CONDE
Entonces ¿os respondió?

CLARA
¡Y qué bien lo hizo!

CONDE
¿Y ahora?

CLARA
Y ahora... y ahora o duerme,
o no tiene ganas de hablar,
como nos sucede también a nosotros.

CONDE
Esto a las mujeres
no les ocurre jamás.

CLARA
¿No? ¡Mucho mejor!

CONDE
¿Por qué?

CLARA
(Casi avergonzándose, pero siempre con
la misma gallardía)
Porque quisiera... que el eco fuera...
que fuera...

CONDE
¿Y bien?

CLARA
(sonrojándose)
Que fuese un hombre... y después...
y después...

CONDE
(animándola)
¡Vamos, diga!

CLARA
Que se pareciera a vos, Conde.
Si el eco tuviese
todo lo que vos tenéis,
yo sería la más feliz
de las condesas.

CONDE
Pues yo del eco tendría temor
si ella fuese como vos,
pues la fidelidad está mal asegurada
donde reina la belleza.

CLARA
¡Ah! ¡Si otro me respondiese
como el eco a mí me responde!

CONDE
¿Por ejemplo?

CLARA
Ciertas cosas
Conde, no se pueden decir.

CONDE
¡Vamos, oigámoslas, adelante!

CLARA
Me dice que "me ama"

CONDE
Pero quizás lo diga por jugar.

CLARA
Me dice que "me desea"

CONDE
Explicaos.

CLARA
"
Amor"
Me dice que "siente"
y que "finge rigor"

CONDE
Son pruebas vanas
que engañan al corazón.

CLARA
(Para sí)
Aunque me crea el Ave Fénix de mi sexo,
yo no desespero.

CONDE
(Para sí)
Que sea esta el Ave Fénix
de su sexo, yo no lo espero.

CLARA, CONDE
(Para sí)
Lo que le da vueltas en la cabeza,
tarde o temprano lo descubriré.

CONDE
Os saludo

CLARA
¡Adiós, Condecito

CONDE
(Para sí)
No me fío.

CLARA
(Para sí)
Tiene el ojo astuto.

CONDE
Recordad que el eco
tiene la costumbre de bromear.

CLARA
Si siempre lo tuviese junto a mí,
me haría muy feliz.

(Salen ambos)

Escena Séptima

(Macrobio y la Baronesa)

MACROBIO
¡Aunque sois muy bella, y yo sería feliz
si fueseis asimismo compasiva!

BARONESA
En primer lugar
no sé si a mí,
que soy la viuda de un Barón,
me conviene darle la mano a un periodista.

MACROBIO
Respecto de eso yo creo
que vuestra alcurnia se equilibra con mi talento.

BARONESA
Y después...

MACROBIO
Comprendo, el Conde...

BARONESA
El Conde es rico
y estaría a mi altura.

MACROBIO
Y bien, si acaso...

BARONESA
Si acaso con el Conde no llegara a nada...

MACROBIO
De todos modos, yo seré vuestro fiel sirviente.

BARONESA
O sirviente, o bien marido.
¡Desde ahora mi sirviente seréis!

MACROBIO
¡Acepto la oferta!

BARONESA
Quizás así le demos al Conde
poco de celos.

MACROBIO
Pero...

BARONESA
Yo seré rica, y tú estarás feliz.

MACROBIO
¡Rica! Ese es el mejor
de todos los argumentos.

(salen)

Escena Octava

(Doña Fúlvia, después Pacuvio)

FÚLVIA
¿Dónde se escondió? La rosa al Conde
quisiera presentar, pero si Pacuvio...
¡Aquí está! ¿Y bien?

PACUVIO
Ya la sexteto está terminado.
¡Y qué sexteto!
El Conde las cejas arqueará.

FÚLVIA
Esta es la rosa.

PACUVIO
¡Hermosa!

FÚLVIA
Veamos.

PACUVIO
No, primero quiero mostraros
cómo he cambiado los versos
que hace poco os he recitado.

FÚLVIA
¿Quizás no os gustaban?

PACUVIO
¿Cuándo he hecho
alguna cosa que no me gustara?

FÚLVIA
¿Entonces, por qué?

PACUVIO
Escuchad como una voz patética y burlona
habla a la sombra de un hada.

«Pequeña hada desdeñosa
del Misisipi,
no seas vergonzosa,
y quédate aquí. »

«No puedo, no quiero,»

La sombra responde.

«soy trucha andariega,
que te baste con esto.»

Y la otra replica:

«Eres perca, no trucha.»

Aquí todos al unísono.
Los que lloran, los que tiemblan.
Sirvienta - «Eres lucio.»
Hada- «soy trucha.»
Sirvienta - «pero quédate.»
Sombrita - «suficiente
suficiente, ya detente
no me hables así.»

(En actitud de retirarse)

FÚLVIA
(siguiéndolo)
¡Bravo, bravo, bravísimo!

PACUVIO
(retrocediendo)
¡Eh!... ¿Qué me decís?
¿De ese "Misisipi"?... pipí... pipí
¿Es suficiente así?... ¿Ese contrapunto
entre el lucio y la trucha no os encanta?

FÚLVIA
¡Es muy bueno!

PACUVIO
Capricho del pensamiento
sorpresa, novedad...

FÚLVIA
(a Pacuvio)
¡El Conde, ahí llega!.

Escena Novena

(El Conde, pensativo, avanzando lentamente,
y los anteriores)

CONDE
(Para sí)
A favor de Clara me habla el corazón;
pero a menudo no apruebo sus consejos.
Ahora se verá.

(en actitud de cruzar el jardín)

PACUVIO
(a Fúlvia)
¡Coraje!

FÚLVIA
(al Conde)
Servidora suya...

CONDE
¡Señora mía!

PACUVIO
(al Conde)
Ante vos se inclina
el discípulo de Píndaro.

CONDE
(a Pacuvio)
¡Adiós!

PACUVIO
(a Fúlvia, en voz baja)
¡Muestra la rosa!

(al Conde, que intenta irse)

Un momentito...

(A Fúlvia, en voz baja)

¡Muestra la rosa!

FÚLVIA
(A Pacuvio, en voz baja)
¡Espera!

PACUVIO
(Como antes)
¡Muestra la rosa, o recito!

FÚLVIA
(A Pacivuo)
¡Qué prisa!

CONDE
(Para sí)
¿Qué estarán estos tramando?

FÚLVIA
(quiere presentar la rosa al Conde)
Disculpadme...

PACUVIO
Calla... Vos quedaos quieta así,
en actitud de presentarla

CONDE
(Para sí)
¡Es un verdadero charlatán, tonto y loco!

PACUVIO
Hablo en tercera persona.

(Metiéndose entre el Conde y Fúlvia,
que está a punto de presentar la rosa)

"Yo os ofrezco en esta rosa deslumbrante
mi desgarrada, cansada y abatida alma,
que ya al final de sus días,
no sabe decir si es gramilla o rosa"

¡Al estilo Petrarca!

CONDE
Por mi parte lo considero grotesco

PACUVIO
(primero al Conde, luego a Fúlvia)
¿También eso? Ahora dadle la rosa

FÚLVIA
¡Hela aquí!

CONDE
¡Gracias!

PACUVIO
¡Y aún los dos últimos versos!

"La he recogido para vos
con mis propias manos:
¿Y cuándo? en el mayor calor de junio"

CONDE
Ahora estamos en abril.

PACUVIO
No importa.
En favor de la rima un ana "cronismo"
de dos meses está permitido.
Virgilio , verbigracia, hacía lo mismo.

CONDE
¡Ja, ja, ja!... "cronismo"...
¡Ja, ja!...
Virgilio...
Virgilio verbigracia... ¡qué despropósito!
¡Ja, ja, ja!…

PACUVIO
(A Fúlvia que se ha quedado atónita)
¿Lo veis? Mis versos
jamás dejan de hacer efecto.

CONDE
(Apoyándose en un árbol)
¡Oh, Dios mío, no lo soporto más!

PACUVIO
(A Fúlvia que se encoge de hombros, y sale)
¿No os lo había dicho?

Escena Décima

(Fabrizio y el Conde)

FABRIZIO
Aquí estoy, a vuestras órdenes.

CONDE
¡Vamos pues, Fabrizio!
Hoy, por segunda vez,
la piedra del parangón será empleada.
A tal efecto, pon en ejecución el plan
que has ideado.

FABRIZIO
¡Muy bien!

CONDE
Me vestiré de árabe,
a la manera africana.

FABRIZIO
Hace mucho tiempo que
la ropa está lista en el ropero.

CONDE
Aquí está el documento
que se me debe remitir a mí mismo
para dar comienzo a la chanza.

FABRIZIO
Comprendo.

CONDE
A ti te toca ahora
secundarme con astucia...

FABRIZIO
Ya sé que hacer.
No hace falta decir más.

(El Conde sale)

Escena Undécima

(Fabrizio solo)

FABRIZIO
Hombre más raro que mi amo
no conocí hasta ahora. Son doce años
que tengo el honor de servirlo y siempre
lo he visto dubitativo para el matrimonio.
Entretanto, a fuerza de reflexionar:
que si la selección es difícil,
que si la decisión es siempre incierta,
que si el sexo femenino no es de fiar...
¡Envejecerá sin casarse!

(Sale)

Escena Duodécima

(Sala en planta baja contigua al jardín. Giocondo
y Clara; después Macrobio, luego el Conde)

GIOCONDO
¿Por qué tan triste?

CLARA
Mi gemelo, el querido Lucindo,
siempre vuelve a mi mente.

(Giocondo entretanto la mira con embeleso
y pasión)

(Para sí misma)

A este gemelo a menudo
me conviene nombrarlo.
Si no queda otro remedio lo haré aparecer.

GIOCONDO
Perdonadme, pero esa ternura fraternal,
propia de muchachos, me extraña.
Os separasteis de él hace ya siete años.
Quizás esté muerto...
¿No lo creéis Marquesita?...
Otra...

CLARA
(Con cierto resentimiento)
¿Qué queréis decir?

GIOCONDO
Creo que la causa de vuestra ansiedad
es otra muy diferente y cercana en el tiempo.
El Conde para vos tan querido...
Mi rival y amigo... Siempre indeciso
Conde... ¡Ah, Clara!...
¡Ah, si yo también pudiera ser
el motivo de vuestras preocupaciones!

(Clara se pone seria)

Pero os respeto demasiado
como amiga.

MACROBIO
¡Si tuviera
cincuenta cabezas y cien manos apenas...

(Al aparecer Macrobio, Clara se muestra
divertida)

podría satisfacer las demandas
de mi periódico!

GIOCONDO
¡Si de mí dependiera,
estaríais siempre ocioso!

CLARA
(con vivacidad)
¿Cómo?
¿Al caballero no le gusta la crítica?

GIOCONDO
Antes bien la deseo,
y así mismo aprecio a los periodistas,
sensatos e imparciales que no acostumbran
a alabar obras soeces y llenas de insultos.
¡Pero Macrobio no encaja en este modelo!

CONDE
(Con aire jocoso)
¿Qué hacéis? ¿Qué decís?

MACROBIO
Hablábamos
de la crítica periodística.

CONDE
Me gustaría que los periodistas,
cuando emiten un juicio sobre alguien,
dijeran el por qué.

GIOCONDO
Algunos lo hacen,
por ejemplo Macrobio.

CLARA
(a Giocondo y al Conde)
Sin embargo, señores,
bajo diferentes aspectos,
lo que hace Macrobio con su periódico
lo hacen ustedes dos también.

MACROBIO
(a Clara)
¡Brava! ¡Bien dicho!

CLARA
La costumbre de obrar sin un por qué,
no sólo la tiene Macrobio, sino ustedes tres.

CONDE
¿Cómo?

GIOCONDO
¿Qué decís?

CLARA
Lo afirmo, y estoy
pronta a probarlo:
¡Silencio!...
Atended lo que les digo.

(al Conde)

Vos queréis y no queréis.

(a Giocondo)

Vos calláis y suspiráis.

(a Macrobio)

Vos alabáis y denostáis,
y cada uno sin un por qué.

CONDE
Con las damas ¡oh, señorita!
se necesita estar muy alerta.
Y si mi alma está siempre indecisa,
tengo también, por desgracia, mi por qué.

GIOCONDO
Con la suerte ¡oh, señorita!
día y noche en vano me enojo,
y si callo y si suspiro,
tengo también, por desgracia, mi por qué.

MACROBIO
Con el hambre ¡oh, señorita!
yo no puedo estar de acuerdo.
Por eso cuando adulo y ataco,
tengo también, por desgracia, mi por qué.

CLARA
Si he de decirlo a conciencia,
¡los tres son unos locos!

GIOCONDO, MACROBIO, CONDE
Entre todos los por qués,
sin duda el mío es el mejor de todos los por qués.

CLARA, GIOCONDO
MACROBIO, CONDE
Todas las cosas, para mal o para bien,
a su voluntad la fortuna revuelve,
quien las toma como vienen
a fe mía que acertará.

(Entra Fabrizio y entrega el documento al Conde;
éste lo abre y leyéndolo, finge gran turbación)

CONDE
(Para sí)
Para poner en marcha el plan,
con tristeza en el rostro leeré el folio,
y después fingiré fingiré que trato de ocultar.
que trato de ocultar mi aflicción.

CLARA, GIOCONDO, MACROBIO
(cada uno para sí, observando al Conde)
Se ha puesto lívido, eso indica
que el papel no le trae buenas noticias.
Mira de soslayo y su aflicción
intenta en vano enmascarar.

GIOCONDO
(al Conde)
¿Por qué tembláis así?

CONDE
(fingiendo una forzada desenvoltura
para mejor engañarlos)
Yo siempre me altero por nada.

CLARA
(lo mismo)
¿Qué significa ese semblante?

MACROBIO
(al Conde)
¿Alguna carta insolente?

CONDE
(Con ímpetu, y luego calmándose)
¡Destino inicuo!

CLARA
¡Ah, querido Conde!

(como antes)

¡Qué desgracia!

GIOCONDO
¡Ah, querido amigo!...

CONDE
(como antes)
¡Justo Dios!

MACROBIO
¿Qué ha sucedido?

CONDE
No os preocupéis de lo que digo.
¡El juego es el único que me comprende!

CLARA, GIOCONDO, MACROBIO
¿No entiendo qué juego?

CONDE
¡El más bello que hay!

CLARA, GIOCONDO, MACROBIO
¡Caso más extraño no hay!

CLARA
(Para sí)
Reconozco en ese semblante
la crueldad del destino.

GIOCONDO
(Para sí)
Por el miedo y las dudas,
mi corazón está temblando.

MACROBIO
(Para sí)
Desgarrar siento mi pecho
a causa de la curiosidad.

CONDE
(Para sí)
La llegada del documento
al plan beneficiará.

Por temor a mis riesgos
tienen embrollada la cabeza.
Ahora ya no dudo
de poderlos engañar.

CLARA, GIOCONDO, MACROBIO
Tiene el terror en el rostro,
avanza y se detiene,
finge calma y la tormenta
lo obliga a estremecerse.

(salen)

Escena Decimotercera

(Pacuvio y doña Fúlvia; luego la Baronesa)

PACUVIO
¡Pero qué sexteto! ¡Qué sexteto!
Cuando se lo muestre a Macrobio,
se apresurará a publicarlo en su periódico.

FÚLVIA
(con actitud de duda)
Será bellísimo,
pero...

PACUVIO
(Con impaciencia y enojo)
¿Pero qué?

FÚLVIA
No entiendo por qué
el Conde reía.

PACUVIO
Cuando se ríe es señal de que se disfruta,
yo hago reír cuando quiero,
y en este arte no me gana ni siquiera
el creador de la "Riseide" que es considerado
el mejor, después del de la Eneida.

BARONESA
(mirando alrededor sin fijarse en Pacuvio y
doña Fúlvia)
En vano lo busco.

PACUVIO
(yendo a su encuentro)
¡Ah, Baronesa, oíd!...

BARONESA
¡No! Decidme antes que nada
¿dónde puedo encontrar a Macrobio?

PACUVIO
Yo mismo ando tras él para hacerlo afortunado.
Justamente... ahora...

(extrayendo su reloj)

Son más de las diez.
¡Aquí lo conduciré en seguida, esperad!

(Sale apresuradamente)

Escena Decimocuarta

(La Baronesa y doña Fúlvia; luego
Pacuvio de regreso con Macrobio)

BARONESA
¿Cómo estáis, doña Fúlvia?
Me parecéis un poco melancólica.

FÚLVIA
¿Yo? No por cierto,
antes bien estoy muy alegre.

(Para sí)

Quiere descubrir qué pienso.

(A la Baronesa)

¿Y vos querida mía,
estáis de buen humor?

BARONESA
¡Más que bueno! Después de todo
¿no se me nota en el rostro?

FÚLVIA
(Para sí)
¡Qué rabia!

BARONESA
(Para sí)
Se estremece.

FÚLVIA
¿Habéis visto al Conde?

BARONESA
(Para sí)
¡Oh, aquí me tiró el burro!

(A Fúlvia)

Lo vi hace poco.

FÚLVIA
¿Si? ¿Y qué os dijo?

BARONESA
¡Si lo hubierais escuchado!
Estaba más galante que de costumbre.

FÚLVIA
(Para sí)
¡Ah, maldito!

(A la Baronesa)

Yo siempre lo he encontrado
así de gentil, tan ameno...

MACROBIO
(a Pacuvio)
No tengo tiempo, y además no puedo porque
las páginas del periódico están completas.
¿Queréis entender?
Me inclino ante estas hermosísimas damas.

BARONESA
Yo os buscaba
para ir al paseo.

PACUVIO
(con énfasis)
Es un sexteto para imprimir,
¡oh, Macrobio! en papel satinado.

BARONESA
(Riéndose de Pacuvio)
¡Ja, ja, ja!....

FÚLVIA
(Para sí)
¡Qué descarada,
de todo se ríe!

MACROBIO
(a Pacuvio que insiste)
¡Es inútil!
Tengo doscientos artículos preparados
que en seis meses debo publicar.

(a Pacuvio y a los otros alternadamente)

Son tantos los clientes virtuosos
en baile y en música de mi periódico,
que dentro de poco será el único en el mundo.
De hecho imaginaos
estar en mi casa.
Éste es mi estudio.
Aquí atiendo, y mientras tanto en el patio,
por la escalera y en la antecámara
como moscas o un enjambre de abejas,
un extraño zumbido se escucha.
¡Despacio, despacio, señores! ¡Uno a uno!
¿Quién es ésa que se acerca?
¡Es la primera bailarina!

(simula que la bailarina habla)

«¡En el Teatro de Lugano!
¡Qué enorme éxito el Solimano!»

(simula recibir algún dinero)

¡Mil gracias!... Estamos de acuerdo.
El periódico lo publicará.
¡Por allí viene la madre
de la prima donna!

(como anteriormente)

«¡En el Traiano de la Fenice,
mi hija tuvo un éxito resonante!»

(como anteriormente)

¡Mil gracias!... Estamos de acuerdo.
El periódico hablará de ella.
¡El hermano de la diva!
Otra primicia para el titular.

(como anteriormente)

¡Mil gracias!... Estamos de acuerdo.
El periódico hablará de ella.
Pero la multitud se acrecienta.
Todos no alcanzan a oírme.
Hay virtuosos de toda clase
que regresan a la plaza.

¡Bajos, músicos, tenores,
gestores y representantes!
¡Observad qué desorden!
¡Qué barullo hay aquí!

¡Largo de aquí, largo!...
Aquí está el maestro, el maestro don Pelagio.
¡Besos y abrazos!... ¡Despacio, despacio!...
¿Pero quién aquél de allá?

¡Es el poeta Cara Fresca
que no sabe qué es lo que se pesca!
¡Cuánta locuacidad, sí, señor!
¡Usted causará gran furor!
¡Esta música es divina;
una obra más bonita no existe!

El Poeta con los papeles...
El Maestro con la partitura...
¡Justo Dios! ¿Qué asedio es éste?
¿Quién me libra de él? ¡Por piedad!

(sale con la Baronesa)

PACUVIO
Encontrar bien sabré yo
algún otro periodista que valore
su trabajo, pero mucho más su honor.

(parte con Fúlvia)

Escena Decimoquinta

(El mismo jardín que antes)

(Coro de jardineros, que luego salen. Después la
Marquesa Clara, que se aleja con el caballero
Giocondo; luego Macrobio; finalmente la
Baronesa y doña Fúlvia)

CORO
El Conde Asdrúbal,
doliente y taciturno,
a su recámara
se retiró.
Quizás el más feroz
de todos los astros,
con desastres extraordinarios,
lo amenazó

(Salen)

GIOCONDO
¿Por qué huís? ¿Qué teméis?

CLARA
Temo enojarme
si os escucho!

GIOCONDO
Y yo,
de tan justos elogios,
no puedo abstenerme.

CLARA
Si justos son,
que os lo diga mi rubor.

MACROBIO
(avanzando y para sí)
¡Audaces!
Finjamos que no los vemos.

GIOCONDO
(a Clara)
Una boca acostumbrada
a mentir, jamás tuve.

MACROBIO
(en alta voz y fingiendo
no haber visto a los otros)
Entre estas umbrosas plantas
tan queridas a mi memoria,
retorna la historia,
o mejor dicho,
los famosos amores prohibidos
de Medoro y Angélica.

GIOCONDO
(a Clara, en voz baja)
Ese hombre metafóricamente
se está burlando de nosotros.

CLARA
(a Giocondo, en voz baja)
Sin duda... Me voy.

GIOCONDO
(a Clara, en voz baja)
¡Debéis ser discreta!
Quedaros.

MACROBIO
(Alzando la voz y mirando
hacia el centro de la escena)
¡El Conde!...

CLARA
(asustándose y creyendo que viene
el Conde Asdrúbal)
¿El Conde?

GIOCONDO
¿El Conde?

MACROBIO
(Para sí)
¡Ah, qué miedo!

(En voz alta)

¡El Conde Orlando!...

CLARA
(Para sí)
¡Qué alivio!

GIOCONDO
(Para sí)
¡Loado sea el cielo!

MACROBIO
Va caminando cerca de ellos,
y Angélica y Medoro,
sin percatarse, así hablan:

"Sobre estas plantas grabados
nuestros nombres están.
También ellas aprenderán
a palpitar de amor.

(Macrobio finge verlos por primera vez)

GIOCONDO
(a Macrobio, descubriéndose)
Yo sé, mi querido señor,
qué es lo que pretendéis insinuar.

CLARA
Su discurso es claro pero necio
y no me ofende.

MACROBIO
(a ambos, siempre con insinuación y sarcasmo)
¡Angélica y Medoro
cómo se cortejan!
¡Pobre Conde Orlando!
¡Enloquecerá, a fe mía!

CLARA, GIOCONDO
(a Macrobio)
Angélica y Medoro,
amores prohibidos,
son cosas que
vos mismo soñáis.

(Macrobio sale; Clara y Giocondo para irse)

BARONESA, FÚLVIA
(con ansiedad, los otros dos retrocediendo)
¡Oh, qué caso horrible!
¡Qué caso tan increíble!
¡El Conde Asdrúbal
todo lo ha perdido!

CLARA, GIOCONDO
(Con sorpresa)
¿Cómo? ¿Está...?

BARONESA
¡Ay,
si hubiese sido mi marido!

FÚLVIA
¡Por suerte
a mí no me ha desposado!

BARONESA, FÚLVIA
¡Oh, qué trastorno!
¡Estoy fuera de mí!

CLARA, GIOCONDO
Vamos, con calma,
explicaos mejor.

BARONESA, FÚLVIA
(en actitud de irse)
Regreso enseguida a aquí...

CLARA, GIOCONDO
(deteniéndolas)
¡Pero, por favor!
¿Decid de una vez qué sucede?

BARONESA, FÚLVIA
¡Mejor corro a enterarme
de cómo ha sucedido todo!

(salen)

Escena Decimosexta

(Macrobio de regreso, después Pacuvio desde
el lado opuesto que se cruza con Macrobio)

MACROBIO
¡No es cosa de risa
lo que sucede!
Acaba de llegar aquí
Lisímaco Castigamatti,
y muestra un pagaré
por valor de seis millones
que en Sinigalia,
de un tal Piloni
le fue endosado
hace cien años.

CLARA, GIOCONDO
De esta fábula
no entiendo nada.

PACUVIO
(Agitadísimo)
¡Ya no tenemos mesa,
ya no hay cocinero!

MACROBIO
El acreedor,
para darse importancia,
a su mesa
nos invitará.

CLARA
(Interrogando a los otros dos)
Pero ¿de qué país es?

GIOCONDO
¿La cláusula o condición?

CLARA, GIOCONDO
Pero ¿de dónde viene?

PACUVIO
Viene del Japón.

MACROBIO
(a Pacuvio)
Os equivocáis,
es del Canadá

PACUVIO
Es un turco
de la Bretaña.

MACROBIO
Antes bien un tedesco
nacido en Bevagna.

CLARA, GIOCONDO
¡Qué pedazos de asnos!
Dicen estupideces
y son más los despropósitos
que las palabras.
¡Verdaderamente
me causáis náuseas!

(salen aprisa)

Escena Decimoséptima

(Los mismos; después la Baronesa y doña Fúlvia;
Luego el Conde Asdrúbal disfrazado de árabe
acompañado de algunos sirvientes. Un Notario
con otras personas que simulan ser integrantes de
un tribunal, y Fabrizio que finge estar afligido)

PACUVIO
(en dirección a los que salieron)
¿A mí? ¡Caramba!

MACROBIO
¿A mí? ¡Por Baco!

MACROBIO, PACUVIO
(reprochándose mutuamente)
¡Por vuestra culpa
sufro semejante agravio!

PACUVIO
¡Yo sé lo que digo!

MACROBIO
¡No soy un repollo!

BARONESA, FÚLVIA
(de prisa)
¡He allí al amigo!

(a los otros dos)

¡No hagáis barullo,
o a todos al diablo
nos mandará!

MACROBIO, PACUVIO
(uno al otro)
El que esté equivocado
ahora se verá.

CONDE
(a Fabrizio, con acento árabe)
Él ser un Conde. Yo estar haciendo negocias.
¡Ti ser ladrón, y él un bribón!

BARONESA, FÚLVIA
MACROBIO, PACUVIO
¡Bien dice!

CONDE
(para sí)
¡Oh, qué canallas!

(mostrando un papel deteriorado por el tiempo)

Aquí estar la documento.

PACUVIO
(después de verlo)
¡Seis millones!

BARONESA, FÚLVIA, MACROBIO
¡Una bagatela!

CONDE
(a Fabrizio, en voz baja)
¡Qué bribones!

CONDE
(de igual modo que antes)
Si encuentra la contradocumento,
me haré a la vela rumbo a Morea.

FABRIZIO
(con gran tristeza)
No lo encontrará.

CONDE
En completa miseria
tu patrona quedará.

MACROBIO
Habla propiamente en lengua etrusca.

CONDE
Mi consumirá mucho bescado.

MACROBIO
Es evidente.

CONDE
Bacalà, Salmelloni, kalaimari…

MACROBIO
(Para sí)
Pero ¿qué dice?

BARONESA, FÚLVIA, PACUVIO
(Para sí)
No lo entiendo.

BARONESA, FÚLVIA
MACROBIO, PACUVIO
¡Mil Gracias!

CONDE
Baccalá.

FABRIZIO
(Para sí)
La broma sigue.

CONDE
(a Fabrizio)
No abrirás más la portona ,
o tu cabeza rodar.

BARONESA. FÚLVIA
MACROBIO, PACUVIO
(Para sí)
¿Qué significa esta broma?

CONDE
¡Que todo sea embargada!

BARONESA, FÚLVIA
MACROBIO, PACUVIO
¡Un poco de calma!

CONDE
¡Que seam embargado!

BARONESA y FÚLVIA
¿Y mis cosas?

CONDE
¡Confiscadas!

MACROBIO
¿Y mis manuscritos?

PACUVIO
¿Y mis dramas?

MACROBIO
¿Y mis prosas?

CONDE
¡Confiscadas!

BARONESA, FÚLVIA
MACROBIO, PACUVIO
¿Y nosotros?

CONDE
¡Secuestrados!

BARONESA, FÚLVIA
MACROBIO, PACUVIO
¡Oh no, eso no!

FABRIZIO
(al Conde, siempre con fingida insistencia)
¡Obedeceré!

MACROBIO
(al Conde)
Yo escribiré una nota en mi periódico,
famoso en el mundo entero,
pidiendo un aplazamiento.

CONDE
¡Menos amenazos!
Aún te dejara respirar
un poco de mejor.

BARONESA, FÚLVIA
MACROBIO, PACUVIO
¡Embargad si queréis al Conde!
¡Su boca, su nariz, qué sé yo!...
Paro caramba, aquello que es mío
lo debéis respetar.

CONDE
Todo será a mi manera,
pero deber confiscarse.

FABRIZIO
(Para sí)
Que tienen el corazón perverso y malvado,
ya no se puede dudar.

Escena Decimoctava

(Patio interno en la casa del Conde. Clara sola;
luego el Conde y Giocondo no vistos por ella,
así como ella no es vista por ellos; después
Macrobio, Pacuvio, la Baronesa y doña Fúlvia)

CLARA
No sirve a la vil política
quien exhibe un corazón fiel.
Cuando la suerte es crítica
el honor no cambia de rumbo,
y después de todo, ¿quién me dice
que la suerte no pueda cambiar?

(En ese momento aparece el Conde vestido con
sus propias ropas, simulando gran aflicción, y
Giocondo que de buena fe lo conforta)

CONDE
¡Dejad a un infeliz
próximo a naufragar!

GIOCONDO
(entre ellos)
A la virtud no le es lícito, o permitido,
abandonar a los desventurados.

CLARA, CONDE, GIOCONDO
(El conde y Giocondo algo retrasados entre ellos,
y Clara para sí misma)
En la piedra del parangón,
bajo las circunstancias adversas,
mejor que en los días felices,
es donde se comprueba la verdadera amistad.

MACROBIO, PACUVIO
(Con aire de desprecio)
¡Marquesita!...

BARONESA, FÚLVIA
¡Condesita!

(El Conde y Giocondo observan separadamente)

BARONESA, FÚLVIA
MACROBIO, PACUVIO
Me consuelo y ante vos me postro.
¡Ahora el Conde es todo vuestro!

CLARA
(con desenvoltura y brío)
¡Tanto mejor!

BARONESA, FÚLVIA
MACROBIO, PACUVIO
(como antes)
Ya se sabe...

GIOCONDO
(al Conde, en voz baja)
¿Los veis? ¿Los escucháis?

CONDE
(a Giocondo, en voz baja)
Se requiere calma.

CLARA
(como antes)
¡Mofaos si os place!

MACROBIO, PACUVIO
(como antes)
¡Qué suerte!

CLARA
(igual que antes)
Estoy en el baile,
y bien o mal bailaré.

CONDE
(adelantándose con Giocondo y descubriéndose)
Queridos amigos, ahora que el destino
me privó de todos mis bienes,
¿cuál de vosotros me dará
esperanzas de ayuda y auxilio?

(Cada uno hace su oferta)

MACROBIO
Un artículo en el periódico.

PACUVIO
Una triste elegía.

BARONESA, FÚLVIA
(encogiéndose de hombros)
No sabría...

GIOCONDO
(con franqueza y de corazón)
¡Mi casa es vuestra!

CLARA
(con vivacidad y dulzura)
Mi mano, mi renta y mi corazón.

MACROBIO, PACUVIO
(entre ellos, alejándose del Conde)
¡Huyamos, huyamos!...

BARONESA, FÚLVIA
(igualmente)
¡Oh, qué feo momento!

GIOCONDO
(al Conde)
¡Observad!

MACROBIO, PACUVIO
(como antes)
¡Es una cosa seria!

CLARA, CONDE, GIOCONDO
(entre ellos)
¡Donde reina la miseria
todo es fastidio y horror!

BARONESA, FÚLVIA
MACROBIO, PACUVIO
(Entre ellos)
En la miseria es donde se distingue
a un fastidioso petulante.

Escena Final

(Fabrizio, alegre, con un viejo papel en la
mano; coro de huéspedes y jardineros del
Conde igualmente felices, y los antedichos)

FABRICIO, CORO
¡Viva, viva!

FABRIZIO
¡Estaba en un rincón
de un armario abandonado,
cubierto de polvo!

CONDE
(interrumpiéndolo con impaciencia)
¿Los has encontrado?

FABRIZIO
¡Lo he encontrado!...

(Sorpresa general)

CONDE
(como antes)
¿El contradocumento?

FABRICIO, CORO
¡Lea, lea!

CONDE
(abrazando a Fabrizio)
¡Ay, bendito seas!

CLARA, GIOCONDO
(con real cordialidad)
¡Oh, qué alegría!

BARONESA, FÚLVIA
MACROBIO, PACUVIO
(rodeando al Conde con afectada complacencia)
¡Oh, qué dichoso!

CLARA, GIOCONDO
(Entre ellos acercándose a los otros)
¡Cómo cambian de parecer!

BARONESA, FÚLVIA
¡Mi corazón lo había predicho!

CONDE
En momentos tan felices...

(fingiendo que se desmaya)

¡Ah, me desmayo!... ¡Ah! ¿Dónde estoy?

MACROBIO, PACUVIO
(tratando de sostenerlo)
En brazos de los amigos.

BARONESA, FÚLVIA
(acercándose también ellas)
¡Pobrecito!

CLARA, GIOCONDO
(empujándolos y sosteniendo al Conde)
¡Eh, alejaos!

TODOS
Aquel que duerme
y en sueños cree ver aquello que no ve,
si es un inesperado estrépito le corta el sueño,
quedando indeciso,
frente al contraste de la realidad,
con la imagen soñada...
Entre la calma y la tormenta
corre, vuela y luego se detiene...
De tal forma estoy yo con mi cerebro
entre el yunque y el martillo...

CLARA, CONDE, GIOCONDO
FABRIZIO, CORO
Aturdida/o,

BARONESA, FÚLVIA
MACROBIO, PACUVIO
Consternada/o

CLARA, CONDE, GIOCONDO
FABRIZIO, CORO
Agitada/o

BARONESA, FÚLVIA
MACROBIO, PACUVIO
Horrorizada/o

TODOS
Condenada/o a palpitar
por el pasado y por el presente,
no sé como, alternadamente...

CLARA, CONDE, GIOCONDO
FABRICIO, CORO
... de alegría y temor
yo me siento transportar.

BARONESA, FÚLVIA
MACROBIO, PACUVIO
Por la rabia y por la vergüenza,
yo me siento lacerar.



ACTO SEGUNDO


(Patio interno, como en el primer acto)

Escena Primera

(La Baronesa, doña Fúlvia y coro de invitados
del Conde; después Macrobio y el Conde; luego
Giocondo y Pacuvio desde el lado opuesto)

CORO
El extranjero, con su violín en la bolsa,
avergonzado partió con gran premura.

BARONESA, FÚLVIA
Por su culpa he sufrido un gran disgusto
pero me tomaré una justa venganza.
Quizás al Conde, a Clara y a Giocondo
este asunto mucho les tendrá que costar.

CORO
¿Vamos, qué importancia tiene?
Son cosas del mundo, sólo fue una burla.

MACROBIO
(al Conde, en actitud de excusarse)
Yo del embargo ya veía
la incompetencia.
No lo dije por insolencia,
sino con intención de bromear.

CONDE
(a Macrobio, sonriendo y con desprecio)
Yo ya sé por vieja costumbre
cultivar la indiferencia,
toda excusa en consecuencia
os podéis ahorrar.

PACUVIO
(a Giocondo, excusándose)
Fue una licencia poética,
no lo hice por petulancia.
La semejanza dramática
me parecía recitar.

GIOCONDO
(con sumo desprecio)
Fue una solemne impertinencia
pero no merece darle importancia.
La ignorancia ya os excusa.
Sin preocuparnos, no hablemos más del asunto.

BARONESA, FÚLVIA
(cada una para sí misma, la Baronesa
mirando a Macrobio y Fúlvia a Pacuvio)
Pedirle perdón
sería verdaderamente inconveniente.
Este vil testimonio
yo no lo puedo tolerar.

CORO
(para sí)
Bajo una humilde apariencia
esos dos están llenos de petulancia.
Uno y otro, cuando se dé la ocasión,
volverán a ensoberbecerse.

(El coro se retira)

GIOCONDO
(Para sí)
No obstante, cada uno de ellos prometió
a su dama batirse en duelo.

CONDE
(Entre ellos y sonriendo)
Y en cambio
se han excusado.

GIOCONDO
(Para sí)
¡Oh, qué cobardes!

BARONESA
(a Macrobio, en voz baja)
¡Oh, qué lindo!
¿Queréis desafiarlo
y le pedís excusas?

MACROBIO
(a la Baronesa, en voz baja)
Es la verdad.

BARONESA
(En voz baja)
Entre nosotros no se acostumbra...

(entre tanto Giocondo y el Conde
conversan entre ellos)

MACROBIO
(Para sí)
Es una novísima moda
llegada de Catay, que cuanto antes
la publicaré en mi periódico.

PACUVIO
(a doña Fúlvia en voz baja)
En suma, ¿lo queréis saber?
La excusa es simulada.
El desafío sigue adelante,
pero él me pidió que le perdone la vida.

FÚLVIA
(a Pacuvio con sorpresa y en voz baja)
¿Quién?

PACUVIO
(En voz baja)
Giocondo, pero calla.

FÚLVIA
(con intención de ponerlo en evidencia)
Por el contrario...

PACUVIO
(En voz baja, a Fúlvia oponiéndose)
¡No, callaos!
Por su dignidad me ha rogado
no decir una palabra.
Y se lo he prometido, más aún, ¡lo he jurado!

GIOCONDO
(En voz baja, al Conde)
Gran debate hay entre ellos.

CONDE
(a Giocondo)
Yo, con estos bufones
me divierto.

GIOCONDO
(En voz baja)
Pues yo me aburro.

BARONESA
(a Macrobio en voz baja)
¿Y bien?

MACROBIO
(a la Baronesa, en voz baja)
Sin más,
yo lo retaré a duelo.

PACUVIO
(a doña Fúlvia, en voz baja)
Lo podría haber atravesado
como a un bobo,
pero soy por naturaleza
demasiado compasivo y sensual.

FÚLVIA
(a Pacuvio, en voz baja)
¡Si es así, estoy conforme!

PACUVIO
(En voz baja
Es así, tal cual.

CONDE
¡Vayamos de cacería
al bosque cercano!

MACROBIO
¡El ejercicio ayuda
a despertar el apetito!

GIOCONDO
Los cazadores, creo yo,
partirán de inmediato.

CONDE
(a un sirviente que sale enseguida)
¡Eh, ve rápido
a avisarle a la Marquesita!
Y ahora, si alguno de vosotros
quiere dar pruebas de destreza
¡que tome el fusil!

PACUVIO
(Se marcha aprisa)
No quiero ponerme a prueba.

FÚLVIA
Yo me quedaré
en casa para
algunos quehaceres.

CONDE
Como os guste. ¡Vamos!

(Sale acompañado de Giocondo)

Escena Segunda

(Macrobio y la Baronesa dispuestos a salir,
pero doña Fúlvia la retiene)

FÚLVIA
(hablándole al oído)
Baronesa, escuchad...

BARONESA
¿Es posible?

FÚLVIA
(yéndose con ímpetu)
Sin duda. ¡Adiós!

BARONESA
(a Macrobio)
¿Qué es lo que oí
para vergüenza vuestra y mía?
Ella ha sido vengada, y yo...

MACROBIO
¿Qué decís?

BARONESA
Acabo de saber
que derrotado el Caballero,
rogó a Pacuvio que le perdonara.

MACROBIO
¡Bu, bu... qué mentira!

BARONESA
Lo afirma Pacuvio.

MACROBIO
¿Y no podría Pacuvio
traicionar a la verdad?

BARONESA
Los pretextos sobran.

MACROBIO
¿Yo pretextar? Me asombráis.

BARONESA
O desafiáis al Conde,
o no esperéis que os mire más a la cara.
¡Mi honor lo exige así!

MACROBIO
Después de la cacería.

(Salen)

Escena Tercera

(En el bosque. Pacuvio con fusil, y cazadores)

CORO
(a Pacuvio)
De cacería ¡oh, señor mío!
poeta excelentísimo,
si sois un cazador
disparad, y se verá.

(Pacuvio intenta colgar grotescamente el fusil a
la espalda, ora a la derecha ora a la izquierda)

¡Bravo!... Mejor, ¡bravísimo!

(irónicamente)

Gran presa logrará.
Los pájaros ya se fueron al diablo
vivitos y coleando.

(el coro sale)

PACUVIO
(a los cazadores)
Sí, sí, ya veremos.
Con un hijo de Pindo y de Elicona,
cuando dispara de verdad, no se bromea.

(Se escuchan algunas ráfagas de viento
precursoras de un temporal)

¡Ay!... ¿Quién se mueve?
Yo no quería... pero esto...
Espero que este bosque
no esté lleno de animales salvajes.

(Mientras el viento va incrementando su fuerza
poco a poco, y oscureciéndose lentamente el
bosque, algunos disparos de fusil resuenan a
lo lejos, y pasan volando diversas aves. Pacuvio
las mira sin disparar su arma: Advierte luego
que no ha cargado el fusil; en el momento que
lo hace, los pájaros desaparecen, excepto uno
contra el cual apunta sin efectuar el disparo.
Finalmente le arroja el sombrero y sale corriendo
tras él perdiéndose de vista)

(Estalla el temporal y el bosque se oscurece
agitado por el viento e iluminado por relámpagos.
Aparece nuevamente Pacuvio, asustado,
apretando contra su pecho algunas hojas de
papel. Pacuvio huye indeciso y aturdido, mientras
el temporal amaina)

PACUVIO
¡Ay, debo salvarme!...
El viento me ha arrebatado el fusil... ¡auxilio!...
¡Ah! ¿Dónde salvarme y salvar mis escritos?...
¡Socorro! ¡Eh! Relámpago sonoro,
respeta, al menos, los sagrados laureles!

(Huye)

Escena Cuarta

(Giocondo solo)

GIOCONDO
¡Oh, cómo nos separó la impetuosa tormenta!...
Clara llamó repetidas veces al Conde en vano,
y más ajeno parece mi peligro...
Ahora todo es calma,
y sólo reina en mi pecho la eterna tormenta.
Ya imagino a mi amada
en brazos del amigo y rival...
Con el pelo suelto, pálida... anhelante...
Y a él verlo me parece,
apretándola contra su pecho...
La conforta.. y la acaricia.
La dulce mirada en ella,
por el llanto y el temor,
se hace aún más bella.

Esas pupilas amadas
yo guardo en el corazón,
pero una mirada serena
no tienen para mí.

¡Ay, Amor,
ojalá mi eterna lealtad
de ti mereciera
una gracia!
Haz al menos que yo olvide
a tan grande belleza.

Tú fuiste el origen
de mi dolor,
Tu cruel obra
corrige, Amor.

(se apresta a partir)

Escena Quinta

(La Marquesa Clara y Giocondo; luego
Macrobio, el Conde y la Baronesa)

CLARA
(llamándolo)
¡Eh!... ¡Giocondo!... ¡Giocondo!

GIOCONDO
(con sorpresa)
¿Oh!... ¿Sola?
¿Y dónde quedó el Conde?

CLARA
Tan pronto como el cielo se puso sereno,
él se adentró en el bosque
con algunos de los suyos,
me dejó como escolta a dos servidores a los que,
cuando os vi a vos, los despedí.

(aludiendo al temporal)

¡Pero qué miedo!

GIOCONDO
(con cierto pesar)
El Conde la habría protegido, Clara,
yo en cambio,
privado de todo consuelo
ante el viento austral o el suave Céfiro...

CLARA
¡Siempre volvéis a atormentaros!
¿No podéis olvidaros?...

GIOCONDO
(interrumpiéndola con arrobamiento)
¿Olvidarme de ti?

CLARA
Si deseáis la paz...

GIOCONDO
(de igual manera)
¿La paz? ¿Y cómo?
Haciéndome guerra eterna
tres enemigos tengo en el pecho:
tu fortuna, mi amor y la amistad.
Aquella perdida, a ésta traicionar no puedo
y entretanto el Amor pretende en vano
el honor de la victoria.

CLARA
Renunciar a la fortuna no sería
una obra difícil para un corazón generoso;
pero, Giocondo,
renunciar no debes a la amistad,
como yo no puedo renunciar al amor.

GIOCONDO
(con mucha pasión)
Si tan siquiera un rayo
remoto de esperanza...

CLARA
Es en vano.

GIOCONDO
Pero el Conde
nunca se decide.

CLARA
¡Ay, deja
que yo me ilusione!

GIOCONDO
A veces el tiempo
cambia los afectos humanos.

CLARA
Es verdad,
no puedo negarlo.

GIOCONDO
Quizás tu podrías algún día
recobrar tu libertad.

CLARA
(Para sí)
Me da pena.

(A Giocondo)

Entonces cálmate y espera.
Espera, si quieres, pero calla.
Yo te prometo amor,
si un día de su atadura
a mi corazón libero.

(Mientras tanto aparece Macrobio y llama al
Conde a quien ve desde lejos. Del otro lado
se les reúne la Baronesa)

GIOCONDO
Ante tus dulces palabras,
no sé donde me encuentro.

BARONESA
(en voz alta, señalando a Clara y a Giocondo)
Macrob...

MACROBIO
Pero calla... ¡torpe!

(al conde, para burlarse de él)

¿Dígame? ¿Qué está haciendo ésa?

(irónicamente y con énfasis)

Es la primera entre las viudas
que se jacta de su fidelidad.

CONDE
(A la Baronesa y a Macrobio sin ser
advertido por los otros dos)
¡Bravísimo! ¡Bravísimo!
Mujer y siempre mujer,
dejémoslos cortejarse
con total libertad.

BARONESA
(a Macrobio, en voz baja)
El asunto parece serio,
pero da gusto de verdad.

GIOCONDO
(a Clara)
¿Me prometéis amor?

MACROBIO
(al Conde, siempre con el mismo tono)
¡Amor!

CONDE
¡Pobrecito!

CLARA
(a Giocondo)
Consultaré a mi corazón.

MACROBIO
(de la misma manera)
¡Al corazón!

CONDE
(demostrando suficiencia)
Va muy bien.

(Para sí)

Que haga lo que quiera,
yo sé juzgar a las mujeres.

(Aparece a lo lejos el coro de cazadores)

MACROBIO
(Para sí)
Los cuernos le dan dolor de cabeza,
y no lo quiere demostrar.

GIOCONDO
(a Clara, en voz baja)
Para mí comienza ahora
a brillar el sol.

CLARA
(a Giocondo, en voz baja)
Son simples palabras para hacer que al menos
no pierdas la esperanza.

BARONESA
(Para sí)
Pero estos no son cuentos,
son cosas que cambian.

CONDE
(a Clara con ímpetu, descubriéndose)
Mujer de sentimientos equívocos
llena de astucias y artimañas,
¿todavía podéis acusarme
de que soy demasiado desconfiado?

CLARA, BARONESA, CONDE
GIOCONDO, MACROBIO
(la Baronesa, Macrobio y el Conde aludiendo
a los otros dos, y estos a sí mismos)
¡Como insólito fragor
de un rayo inesperado!

Escena Sexta

(Coro de cazadores que se aproximan)

CORO
En medio del temporal
la caza anduvo mal.

(Señalando a Clara y a Giocondo)

Al menos el Conde a dos pajaritos
aquí pudo cazar.

MACROBIO
¡Este caso en mi periódico
lo publicaré , lo juro!

CLARA
(a los cazadores)
¿Cómo? ¿Qué decís de mí?
¿Qué insulto me hacéis?

CORO
(a Clara)
Antes estabais en la cumbre,
ahora os encontráis en el llano.

CLARA, BARONESA, CONDE
GIOCONDO, MACROBIO
Menos horrible que la tormenta
este golpe no me parece,
sin pelos en la cabeza
yo me siento sublevar.

CLARA, BARONESA, CONDE
GIOCONDO, MACROBIO, CORO
De igual modo que frente a las olas
con el fuerte viento y los rayos rugiendo,
este extraño asunto hiela los sentidos
del intrépido timonel.

(todos salen en confusión)

Escena Séptima

(Mismo sitio que en el primer acto. Doña Fúlvia
y Fabrizio, luego Pacuvio ansioso)

FÚLVIA
Puedo decir que acerté
quedándome en casa.

FABRIZIO
Fue realmente
un tremendo temporal.

PACUVIO
(a Fabrizio)
¡Corre, acelera!

FABRIZIO
¿A dónde? ¿Qué pasó?

PACUVIO
Para resguardar mis escritos
entré en la cocina, y allí,
mientras recitaba una escena agridulce
el cocinero cayó de bruces.

FABRIZIO
Queréis decir que se desmayó.

PACUVIO
Eso mismo
y allí está desmayado en un rincón.

FABRIZIO
Habrá sido por el monóxido de carbono.

(sale corriendo)

PACUVIO
¡Ah, doña Fúlvia!
Si no fuera por el temporal,
habría efectuado una matanza
de fauna salvaje.

(extrae de su bolso un pajarito muerto)

No puedo mostrar
otra cosa más que este
pequeño signo de mi bravura.

FÚLVIA
(dándole la espalda y saliendo)
¡No sé qué decir!

PACUVIO
(Para sí)
Se murió de miedo.

(sale también él)

Escena Octava

(El Conde Asdrúbal y Giocondo)

CONDE
Todo lo que Clara y vos
hace poco me dijisteis,
estoy totalmente convencido.

GIOCONDO
Ella es inocente.
El culpable soy yo,
si culpa puede llamarse.

CONDE
Vuestro afecto por ella
ya me era conocido,
y también vuestra virtud.

GIOCONDO
Pero
¿cuándo os decidiréis?

CONDE
¡El matrimonio es una gran decisión,
una decisión trascendental!

GIOCONDO
Hace tiempo que lo pensáis...

CONDE
Ya lo resolveré.
Ahora, pensemos en divertirnos con Macrobio
que debe desafiarme a duelo.

GIOCONDO
Como os gustéis.

CONDE
¡Vamos!

GIOCONDO
(Para sí)
¡Que ideas tan extrañas!

(ambos en actitud de marcharse)

Escena Novena

(La Marquesa Clara, muy feliz, con una
carta abierta en su mano y los anteriores)

CLARA
(exultante de alegría)
¡Amigos, oh!
¡El corazón de una hermana salta de alegría, oíd!:
El Capitán Lucindo, mi querido Lucindo,
mi hermano gemelo...

CONDE
(en actitud de broma)
¿Retornó de los Campos Elíseos?

CLARA
Aquél que muerto más de uno creía,
¡vive!
y estas son, después de siete años de silencio,
sus preciosas líneas:

(sorpresa del Conde y de Giocondo)

(Clara para sí)

Perdona espíritu de mi hermano
si por necesidad,
en mis planes
invoco tu nombre.

CONDE
Pero ¿dónde
estuvo hasta ahora?

GIOCONDO
¿Por qué no escribió?

CONDE
¿Estuvo prisionero?

CLARA
No lo sé; de todo personalmente me informará.
Ocho año apenas teníamos ambos,
cuando el destino nos separó,
por ello su semblante
ahora no tengo presente.

CONDE
Sin embargo
mirándoos al espejo...

GIOCONDO
Su semblante lo lleváis en vos misma.

CONDE
Si es cierto que erais...gemelos.

CLARA
¡Sí, ciertamente
que éramos iguales,
como dos gotas de agua!

¡Oh, cuántas veces engañamos
los ojos de nuestra madre,
al intercambiarnos la ropa
jugando!
¡Y un dulce error de nombres,
no así de afectos, salió de los labios
de nuestro padre!

CONDE
Me consuelo.

GIOCONDO
A vuestro lado
comparto vuestra felicidad.

CLARA
(al Conde)
Si me permitís corro a la ciudad,
donde me espera mi hermano.

CONDE
¡Que venga
él mismo aquí!

CLARA
Él ha escrito: "mi estadía
en Italia será muy breve pues
no deseo abandonar el ejército"

CONDE
Que aquí venga,
y permanezca todo el tiempo que desee.

CLARA
Eso es demasiado.

CONDE
¿Demasiado? A los militares
siempre he amado.

CLARA
Entonces, yo misma le comunicaré
vuestra invitación.

CONDE
Si rehusase,
me haría una ofensa.

CLARA
(Para sí)
Así lo había previsto,
todo ya está listo.

(Todos van a retirarse cuando entra Pacuvio)

Escena Décima

(Pacuvio excitado y los anteriores)

PACUVIO
(mostrando una carta)
¡Gran noticia! Se encuentra aquí,
en la ciudad, desde ayer,
el maestro Petecchia, el celebérrimo...

CONDE
¿Creéis vosotros que hoy en día
hay muchos maestros de valía?

PACUVIO
¡Más de cien, sin duda!
Y todos buenísimos,
y todos conocidos por mí.

CLARA
(con actitud de mofa)
Ahora comprendo.
El maestro Petecchia...

GIOCONDO
¡Es verdad, o sea "fiebre podrida", el tacaño!

CONDE
(a Giocondo)
A propósito,
aquí me parece que cabría
ese soneto vuestro, en el que pretendéis,
si no me equivoco,
haber tenido un sueño.
Recitadlo por favor.

GIOCONDO
¡Por favor, dispensadme!

CLARA
¡Vamos, caballero!

GIOCONDO
No lo recuerdo... disculpadme.

CLARA
¡Acabemos! Ayudada por Fabrizio,
confieso que os lo robé en una ocasión.,

GIOCONDO
(turbándose)
¿Cómo? ¿El soneto?

CLARA
Sí, lo obtuve, y me lo sé de memoria.

CONDE
Entonces...

CLARA
Será para mí un honor
darle el gusto al Conde.

GIOCONDO
(a Clara)
¡Ah, no, os lo ruego!

CONDE
(a Giocondo)
Aunque sea a disgusto vuestro.

PACUVIO
(Para sí)
¡Cuántas payasadas!

CLARA
He aquí el soneto:

¡Soñé con Cimarosa, ay, visión amarga!
Su frío cadáver bajaba a la adriática tierra
donde los grandes maestros de Ausonia
lo rodearon en señal de homenaje y duelo.

Entonces cayeron sobre el fúnebre ataúd
no sé qué cantidad de músicos pigmeos,
y desgarrar sus miembros y depredar a su gusto
fue para ellos un sólo deseo y objetivo.

No quedaba ya más que su cabeza.
¡Y cuando una mano insidiosa a agarrarla
se atrevía, la cabeza se levantó, cosa admirable!

Y la boca dorada, donde otrora el canto
con gracia surgía, murmuró desdeñosa:
«¡Atrás, canallas, que la cabeza es mía!»

CLARA
¿Qué opináis, Pacuvio?

PACUVIO
(Con aire de importancia)
No está mal.

GIOCONDO
(a Pacuvio, con burla)
¡Gracias por vuestra bondad!

CONDE
(del mismo modo)
Este soneto alude y agrede directamente
a vuestros más
de cien maestros.

PACUVIO
(Para sí)
No vale ni una hache.

(Clara, el Conde y Giocondo salen por un lado;
Pacuvio por el otro y se encuentra con Fúlvia)

Escena Undécima

(Doña Fúlvia y Pacuvio)

PACUVIO
(retrocediendo con ella)
¡Oh! Señora, a propósito:
yo creía que un secreto confiado a vos,
no erais capaz de traicionarlo jamás.
Ahora, con vuestro permiso,
os diré que tengo la bien fundada sospecha
que lo habéis divulgado a propósito.

FÚLVIA
¿Divulgado? Sólo a la Baronesa
se lo he dicho en confidencia,
y si ella confidencialmente
se lo dijo a Macrobio, y en confidencia...

PACUVIO
Si Macrobio lo publicase en su periódico
sería una confidencia general.

FÚLVIA
Es verdad.

PACUVIO
(alterándose)
¡Pobre de mí! Mi palabra...

(Para sí)

Mejor dicho mi pellejo.

(A Fúlvia)

la amistad, el decoro...

FÚLVIA
¡Vamos, esas son cosas sin importancia!
Si público fue el ultraje,
sea público el castigo.
Así, quien me insultó,
más sabio será en el futuro.

Que yo castigué al orgulloso
sea notorio a todo el mundo,
pues la venganza es vana
cuando nadie se entera.

(Sale)

PACUVIO
¡Jáctate pues, tu venganza es real
como lo es mi triunfo.
Pero si Giocondo se entera, ¿Cómo me salvo?
¡Ah, si veo que otra salvación no me queda,
con otra mentira remediaré esta!

(sale)

Escena Duodécima

(Macrobio, luego Giocondo, después el Conde y
dos sirvientes, cada uno de los cuales viene
armado con una espada)

MACROBIO
¿Yo, batirme en duelo?
¿Yo, que en mi vida he llevado
pistola, ni espada, ni estoque?
¿Por el honor de nadie?
¿Yo, que una sola vez me peleé a puñetazos,
no sé si bien o mal, por el honor de mi periódico?
¿Yo?

GIOCONDO
(en actitud agresiva)
¡Macrobio!

MACROBIO
Señor.

GIOCONDO
(dándole una pistola)
¡Tómala!

MACROBIO
(asustándose)
Muchas gracias.
¿Qué más tengo que hacer?

GIOCONDO
Dispararla sobre mí cuando sea tu turno,
como yo, con esta otra,

(le muestra otra arma)

dispararé sobre ti.

MACROBIO
(Para sí)
La fábula del lobo.

(A Giocondo)

Pero no veo el por qué...

GIOCONDO
Porque habéis divulgado
que Pacuvio me perdonó la vida.

MACROBIO
Lo dije sin pensarlo.

GIOCONDO
¡Peor aún! Vamos, pues...

MACROBIO
Si os calmáis, yo siempre
hablaré bien de vos en mi periódico.

GIOCONDO
¡Dios poderoso! Esa sería una razón de más peso
para matarte de inmediato.
¡A batirnos!

MACROBIO
Ya voy... esperad...

(Para sí)

El Conde está fuera de casa...
otra solución no hay... ganemos tiempo...

(Mientras Macrobio reflexiona, Giocondo
hace señas a alguien que se supone está
fuera de escena)

GIOCONDO
(a Macrobio)
¿Concluimos, sí o no, este asunto?

MACROBIO
¿Queréis saber por qué no puedo batirme?...
Me considero un hombre
de honor y...

GIOCONDO
No sé si en eso habrá algún error...

MACROBIO
... y no puedo aceptar el desafío,
porque un compromiso semejante
he asumido con el Conde.
Lo he desafiado a duelo.

GIOCONDO
(observándolo)
¡Precisamente por ahí llega!

MACROBIO
¡Maldita suerte!

CONDE
¡Hola, Macrobio!
Puesto que tú no tienes el coraje de desafiarme,
¡soy yo quien te desafío!

GIOCONDO
(a Macrobio, fingiendo sorpresa)
¿Pero, cómo?
Entonces...

MACROBIO
(sumamente embarazado)
Le diré…

GIOCONDO
Conde, disculpadme,
pero yo estaba primero.

CONDE
No lo acepto. De cualquier manera
él debe batirse conmigo.

GIOCONDO
¿Esperáis que renuncie
a mis derechos?

MACROBIO
(Para sí)
¡Oh, qué bárbaro!
¡Se pelean por matarme!

(al Conde)

Una palabra...

CONDE
(dándole la espalda)
No desistiré.

MACROBIO
(a Giocondo)
Oíd...

GIOCONDO
(ignorándolo)
No quiero saber nada.

MACROBIO
Yo arreglaré vuestro pleito.
Primero entre ustedes dos,
con las armas se decidirá el asunto,

(queriendo transformar todo en broma)

y con aquél que resulte muerto,
después me batiré yo.

GIOCONDO
(al conde, señalando a Macrobio)
¡Antes debo arrancar ese corazón malparido
de su pecho!

CONDE
(a Giocondo, señalando a Macrobio)
¡Cuando lo haya mandado a pasear
a los Campos Elíseos!

CONDE, GIOCONDO
Una vez muerto,
ya veremos nosotros quién tenía razón.

CONDE
(decidido, a Macrobio)
¡Vamos!

MACROBIO
(A Giocondo, para deshacerse del Conde)
¿Y vos que decís?

GIOCONDO
(Resueltamente, a Macrobio)
¡Vamos ya!

MACROBIO
(al Conde, como antes)
¿Y vos lo toleráis?

CONDE
(tomándolo del brazo)
¡Vamos presto!...

MACROBIO
(Al Conde, señalando a Giocondo)
¡Este está temblando!

GIOCONDO
(tomándolo también del brazo)
¡Basta ya!...

MACROBIO
(a Giocondo, señalando al Conde)
¡Este otro grita!

CONDE, GIOCONDO
(uno al otro, después de una pausa)
¡Está bien, que las armas decidan
a quién de los dos debe enfrentarse antes!

MACROBIO
(Para sí, apartándose)
¡Comienzo a respirar!

(A una señal del Conde, se acercan los dos
sirvientes, uno hacia el Conde y el otro hacia
Giocondo, entregándoles sus respectivas espadas)

CONDE, GIOCONDO
(saludando con las armas)
Comencemos por el saludo habitual.

(En voz baja, entre ellos)

Con este duelo inesperado
el maldito se cree ya liberado,
y no sabe que por diversión
lo haremos todavía temblar.

MACROBIO
(Para sí)
Esas espadas están muy afiladas,
y bien podrían causar un oportuno daño.
Con sólo un par de ellas en el pecho,
se terminarán todos mis problemas.

CONDE
(después de haber hecho ademán de iniciar el
duelo, apoya la punta de la espada en tierra)
Con permiso...

GIOCONDO
(haciendo lo mismo)
Lo mismo digo.

MACROBIO
(titubeando)
¿Qué quieren decir? ¿Qué sucede?

CONDE
(a Giocondo, señalando a Macrobio)
El dueño de la casa
debe ceder el puesto a su invitado,
por lo tanto vos debéis batiros primero con él,
y luego me tocará el turno a mí.

MACROBIO
¡No es verdad, no es verdad,
protesto, a fe mía!

GIOCONDO
¡Es verdad, es verdad
sin dudas me corresponde a mí!

MACROBIO
(al Conde, en actitud suplicante)
Pero ¿no hay una forma
de arreglar este asunto?

CONDE
(simulando meditar)
Por ejemplo... se podría....

GIOCONDO
(invitando a Macrobio)
¡Rápido, a batirnos! ¿A Qué tanto pensar?

MACROBIO
(a Giocondo)
¡Vamos, reflexionar!

CONDE
(meditando del mismo modo)
Si el adversario se rindiera a nosotros,
se podría negociar.

GIOCONDO
(simulando reflexionar)
¿Negociar?

MACROBIO
(Aplaudiendo al conde con sumo entusiasmo)
¡Bravísimo!

GIOCONDO
¡Por mí, estoy de acuerdo!
Deseo facilitar las cosas.

CONDE
En brevísimos términos
el pleito se arreglará.

MACROBIO
¡Solución archiperfecta!
Para mí mejor no la hay.

CONDE
(a Giocondo, señalando a Macrobio)
Como primera condición,
acordaremos que él es un cobarde.

MACROBIO
¡Acordado!

GIOCONDO
Y un hombre venal.

MACROBIO
¡Acordado; no hay problema!

CONDE
Un galanteador ridículo.

MACROBIO
¡Acordado el artículo tercero!

GIOCONDO
La flor y nata de los ignorantes.

MACROBIO
¡Más despacio!...

CONDE
(con energía)
¡Sigamos!

GIOCONDO
¡Sigamos!

MACROBIO
Aclaremos: en verso o en prosa.

CONDE, GIOCONDO
(con vehemencia)
¡Se entiende que de ambas maneras!

MACROBIO
No obstante...

CONDE, GIOCONDO
(amenazándolo)
¿Qué queréis decir?

MACROBIO
Que un artículo tan honesto
no puedo recusar.

CONDE, GIOCONDO
Estas son los las condiciones.
¡No se aceptan réplicas!

(El Conde y Giocondo devuelven las espadas
a los sirvientes)

CONDE, GIOCONDO, MACROBIO
Entre tantos desafíos
la plaza ya está rendida.
Jamás se ha visto
más noble empresa.
Puesto que estamos de acuerdo,
cantemos y bailemos.
¡Que la alegría sobre el rostro
vuelva a brillar!

(salen)

Escena Decimotercera

(Interior de la villa; diversas viviendas entre las
cuales está la del Conde con su puerta abierta. A
un costado una pequeña elevación)

(Pacuvio desde la casa del Conde; después doña
Fúlvia; luego la Baronesa y Macrobio)

PACUVIO
Quien no niega, se ahoga,
y no había ¡por Baco!
otra forma de salir del atolladero.
"Herida de acero afilado
cura el mismo acero"
Metastasio me robó esta idea exacta, exactísima.
En efecto, una mentira que doña Fúlvia publicó,
y que me redujo a este estado tan indigno,
con otra mentira la he combatido.

FÚLVIA
¡Mentiroso, impostor!

(Pacuvio mira a su alrededor buscando a
quien van dirigidas las palabras de Fúlvia)

¿Qué buscas?

PACUVIO
Peor ¿con quién hablas?

FÚLVIA
¡Contigo!

PACUVIO
¿Conmigo? ¿Sabes quién soy?

FÚLVIA
Pacuvio.

PACUVIO
¿Yo, Pacuvio, un mentiroso?
Que me desuellen
si una sola mentira
he dicho en la vida.

MACROBIO
(recorriendo la escena y enjugándose el sudor,
como si regresase de una gran empresa)
¡No, Baronesa, no estoy herido¡
¡Oh, si hubieseis visto!

BARONESA
¡Decid, rápido!

MACROBIO
(del mismo modo)
¡Un hecho formidable!

BARONESA
(con impaciencia)
¿Y bien?

MACROBIO
(siempre caminando)
Estoy vivo...
¡porque estoy vivo!

BARONESA
(como antes)
En resumen...

MACROBIO
(refiriéndose a Pacuvio)
He aquí al mentiroso,
causa de todos mis males.

FÚLVIA
(a Pacuvio)
¡Vaya, que bien os va!

PACUVIO
(a Macrobio)
¡Me asombro!

MACROBIO
(Como antes, sin atender a Pacuvio)
¡Qué situación inefable!

BARONESA
(con suma impaciencia)
Pero ¿cómo
la terminasteis?

MACROBIO
¿Cómo?... ¡A mi manera!

BARONESA
¿Esto es?

MACROBIO
¿Esto es?... ¡Qué interrogatorio tan molesto!
¡Si digo a mi manera, el resto se entiende.!

Escena Decimocuarta

(Fabrizio, que desciende de un montecito
y los anteriores. Varios habitantes de la
villa aparecen, curiosos)

FABRIZIO
¡Allí está!

(Macrobio, como antes, continúa moviéndose
de un lado a otro)

FÚLVIA
¿Quién?

FABRIZIO
Lucindo.

BARONESA
¿El capitán?

PACUVIO
¿El hermano gemelo?...

FABRIZIO
¡Sí, el de la Marquesita!

MACROBIO
A mí me gustaría,
aunque sea un militar,
verlo en mi situación.

(En tanto Pacuvio, con un pliego de
papel desplegado va gesticulando)

FÚLVIA
La rara semejanza
entre él y su hermana
tengo curiosidad por ver.

(Macrobio continúa con su mímica)

BARONESA
Si se parece a ella, no será gran cosa.

FABRIZIO
(Para sí)
¡Que chismosas!

(En voz alta)

Voy por orden del Conde,
a su encuentro.

(Fabrizio parte)

FÚLVIA
¿Qué hacéis Pacuvio?

PACUVIO
Hablo
con Demetrio Evergetes.

BARONESA
(a Pacuvio)
¡Silencio, ahí llega el capitán!

FÚLVIA
(al mismo)
¡Callaos!

BARONESA
¡Apartémonos!

MACROBIO
Parece que es otro Marte.

(se aparta sin salir de la escena)

Escena Decimoquinta

(Los anteriores apartados; la Marquesa Clara
con uniforme militar, un teniente, un sargento y
soldados; Fabrizio de regreso, campesinos y
servidores del Conde. Marcha militar)

CLARA
(a los soldados alineados)
Si las itálicas comarcas
que en edad infantil abandoné,
pisan mis pies;
si vi nuevamente el cielo natal;
si enjugo el llanto
de las cansadas pupilas
de mi amada hermana.
Valerosos compañeros,
¡vuestro es el mérito!

Si por vosotros vuelvo a contemplar
las queridas playas de la patria,
agradecido a vosotros, por tan hermosa
jornada, mi corazón sabrá conservar.

SOLDADOS
El ejemplo de tus peligros
a nosotros nos sirve de estímulo.
¡Ni las bombas, ni los cañones,
nos pueden detener!

CLARA
¡Loada sea el ansia de gloria,
que a las almas no impide amar!
¡Y ahora, todos, repetid conmigo!:
"Triunfen Marte y el Amor"

(para sí)

Bajo esta intrépida –
y viril apariencia,
siento resurgir –
mi esperanza.
Entre los dulces latidos –
se inflama mi corazón.

SOLDADOS
EsTe rostro amable,
vivaz y noble
que resplandece magnánimo,
nos inflama el corazón!

(Clara entra con su séquito en la casa del
Conde, acompañada de Fabrizio y los sirvientes.
Los campesinos se dispersan)

Escena Decimosexta

(La Baronesa y Macrobio; Pacuvio y
doña Fúlvia, que se adelantan)

BARONESA
¿Qué me decís, Macrobio?
Yo no le encuentro una gran semejanza.

MACROBIO
Yo he advertido,
que no hay diferencia en el rostro.

BARONESA
¡Diablos! ¿Sois ciego?
El capitán es mucho más bello que ella.

FÚLVIA
(a Pacuvio)
Parece que ni siquiera fueran hermanos.

PACUVIO
Sin embargo...

FÚLVIA
No hay comparación.
Baronesa, es verdad, ni se le parece.

BARONESA
Lo mismo digo
también yo.

FÚLVIA
(a Pacuvio)
¿Oísteis?

BARONESA
(a Macrobio)
Mirad, ¿tengo o no tengo razón?

MACROBIO
Sí señora.

FÚLVIA
(a Pacuvio)
¿Estáis convencido?

PACUVIO
Será así.

BARONESA
(Para sí)
Quiero presentarme a él,
antes de que regrese el Conde.

(a Macrobio)

Con permiso.

MACROBIO
Como gustéis.

(La baronesa entra a la casa del Conde)

FÚLVIA
(mirando a la Baronesa)
Ya entiendo...

(A Pacuvio)

¡Adiós, Pacuvio!

PACUVIO
Servidor suyo.

FÚLVIA
(Para sí)
También a mi me gusta el militar,
y no me dejaré ganar de mano.

(entra también en la casa del Conde)

Escena Decimoséptima

(Macrobio y Pacuvio)

PACUVIO
Nuestras damas, amigo mío,
nos han dejado plantados.

MACROBIO
El uniforme tiene mucho más peso
que un artículo o un soneto.

PACUVIO
No creeréis que...

MACROBIO
Si el Capitán
supiese lo del duelo...

PACUVIO
¡Oh, decidme, ahora que estamos solos!
¿Cómo fue?

MACROBIO
Esas son cosas de las que no hay que hablar.
Sólo os diré que el Conde y el caballero
Giocondo, en esta oportunidad,
tuvieron tal prueba de mi temperamento,
que ya no volverán a batirse.

(entra en la casa del Conde)

PACUVIO
Si me creo semejante cuento,
y decir mentiras sin ruborizarme me es posible,
que me sea quitado
el antiguo privilegio
de dar fe de lo que yo mismo digo.

(también él entra en la casa del Conde)

Escena Decimoctava

(En la galería. Clara vestida de militar,
el Conde Asdrúbal y el Cavallero Giocondo)

CONDE
(en actitud suplicante)
Disculpadme, Capitán...

CLARA
(en actitud agresiva)
¡Lo sé todo!

CONDE
Que yo sepa, al menos ella...

CLARA
¡No, a mi hermana
ya no la volveréis a ver!

(a Giocondo)

Caballero, a vos
ofrezco la diestra.

GIOCONDO
¡Yo la rechazo!
Antes que amante, fui su amigo.

CLARA
Admiro vuestra noble amistad.
Lejos de estos lugares,
para ella funestos,
a Clara llevaré.

CONDE
(con sorpresa y ansiedad)
¿Vos?

CLARA
(con firmeza)
¡Sí!

CONDE
(nervioso, en voz baja a Giocondo)
¡No me hallo a mí mismo!

CLARA
(Para sí)
Por su inquietud
preveo mi éxito.

CONDE
(a Clara, casi llorando)
¿Y se irá Clara
para no regresar nunca más?

CLARA
De haberos amado se avergonzará,
cuando la razón y el tiempo
le devuelvan la anhelada calma.

CONDE
(apoyándose en Giocondo)
¡Oh, Dios!... ¡Cómo sobre mi alma
se desploma un imprevisto hielo!
No creía que la amaba tanto.

CLARA
No le valió a ella,
ni el llanto, ni siquiera la tolerancia,
ni la fidelidad en medio de la desdicha.

CONDE
¡Ah, sí, ahora me doy cuenta,
para mayor pena mía,
de todas sus virtudes!

(a Clara, suplicando)

Por favor...

CLARA
(con énfasis)
¡No!

CONDE
¡Cruel!... Si estuviese Clara aquí...
Si me viera... ¡Oh!...

CLARA
(Para sí)
¡Apenas lo resisto!

CONDE
¡Oh, la naturaleza os hizo
bajo igual semblante,
pero tan distintos de corazón!

GIOCONDO
(a Clara)
¡Vamos, que finalmente os convenza
su arrepentimiento y su vergüenza!...

CLARA
(siempre con el mismo énfasis)
¡No!

CONDE
(a Giocondo)
¡Calla!...
Déjame, amigo, con el destino
que yo mismo me he forjado.
Que al menos por ti sepa Clara que la adoro,
que mi desdén y mi intolerancia condeno,
y que por ella, muero de ansiedad.

(a Clara)

¡Ah, si en vuestro pecho no se despierta
la compasión por mí,
dejad al menos que pueda esperar piedad
por parte de mi amor.

(a Giocondo)

¡Querido amigo, ah! Vos lo veis...
¡Ah! ¿Qué será de mí?

(a Clara)

Si no os apiadáis de mi dolor,
es que sois un monstruo cruel.

(a uno y otro)

Ya no veré más a Clara
¿Será cierto?...¡Oh, infeliz de mí!

(a Clara mirándola a los ojos)

En vos veo la semejanza con ella,
y divido vuestro rostro en dos;
una parte me enamora y la otra me causa horror.

Sólo puedo desear la muerte,
otra esperanza no me queda.
¡Oh Dios, esta es la hora final
de mi felicidad!

(sale furiosamente seguido de Giocondo)

CLARA
¡Cuánto me duele hacerle sufrir!
¡Cuánto sufrimiento y pena! ¡Pobre Conde!
¡Amarlo, saber que me ama, y maltratarlo!
Es verdad pero,
aún sería peor para nuestro mutuo afecto
si yo no hubiera concretado
este doloroso engaño.

Última Escena

(La Baronesa, después doña Fúlvia y Clara
finalmente todos, cada uno a su tiempo)

BARONESA
¡Al fin os encuentro sola!
Estaba impaciente esperando el momento...

FÚLVIA
(corriendo horrorizada)
¡Si no hubiera estado presente
el caballero Giocondo,
el Conde se hubiera suicidado!

CLARA
(sumamente exaltada)
¡Qué decís!
¿Y ahora, cómo se encuentra?

FÚLVIA
Está escribiendo.

CLARA
(Para sí)
¡Qué alivio!

BARONESA
(a doña Fúlvia)
¿Y por qué?...

FÚLVIA
Él dice que el señor capitán
lo ha rechazado.

FABRIZIO
(llega apresurado)
¡Ah, señor capitán!...

CLARA
¿Que ha sucedido?

FABRIZIO
¡Leed y después firmad!
"A Lucindo, para entregar a su hermana Clara".
Hacedlo o al patrón se le incendiará el cerebro.

BARONESA
¡Cáspita! El caso es serio.

CLARA
(Para sí)
¡Oh, feliz de mí!
Firmaré con mi nombre y él se sorprenderá.
 "Clara"

FABRIZIO
Gracias

BARONESA
(a Fúlvia, en voz baja)
¿Qué noticia será?

FÚLVIA
(a la Baronesa, en voz baja)
Creo que es
una carta de matrimonio.

CLARA
Señoras,
les pido mil excusas.

BARONESA
(en actitud galante)
Y yo más de mil os pido a vos,
si por casualidad
soy demasiado inoportuna.

FÚLVIA
(de igual manera)
En vuestra compañía
las horas pasan volando.

BARONESA
(de la misma manera que antes)
Parecen apenas instantes...

CLARA
Son muy gentiles.

(Para sí)

Y también groseras.

FÚLVIA
(siempre de igual forma)
¡Oh, gracias!

BARONESA
(igualmente)
Sois muy gentil.

CLARA
(Para sí)
Cuando sepan
quién soy realmente...

FABRIZIO
(al Conde que sale de la casa)
¿A la Marquesita? ¡Linda broma!
Ni siquiera la he visto.

CONDE
(mostrando el folio en su mano)
¡Y yo te digo
que ésta es su firma!

PACUVIO
(observando el papel)
Sí, no hay duda.

CONDE
La conozco muy bien.

GIOCONDO
(mirando también el papel)
No cabe duda.

MACROBIO
(a Fabrizio, mirando también él)
Te has equivocado.

FABRIZIO
¡Ahora lo veremos!
Que el capitán Lucindo responda por mí.

CLARA
¡Hablaré!
Fabrizio no se ha equivocado.
Os lo aclararé todo.
Conde, espero que estéis dispuesto a perdonarme.

CONDE
Sí lo estoy.

CLARA
Estrechad vuestra mano
como garantía.

CONDE
¡Aquí la tenéis!
Ahora que recuperé a Clara, todo os perdono.

CLARA
Lucindo no regresó.
¡Soy yo, Clara!

(Estupor generalizado)

CONDE GIOCONDO
¿Vos, Clara?

BARONESA, FÚLVIA
¡Qué engaño!

MACROBIO, PACUVIO
¡Qué sorpresa!

FABRICIO, CORO
¡Qué prodigio!

TODOS
¿Quién podía imaginar
tan noble audacia?

CLARA
Las flechas del amor agucé
al transformarme en mi hermano.
Ante la sorpresa general
mi alma brilla en el pecho.

BARONESA, FÚLVIA
¡Qué tormenta sorpresiva!
Nosotras habríamos hecho una apuesta.
¡Ah, desgraciadamente ha sido ella, ella,
la que nos supo engañar!

PACUVIO
Doña Fúlvia.

MACROBIO
Baronesa...

MACROBIO, PACUVIO
Ha llegado el temporal.
Se ha apagado mi llama
y aquí terminan mis desatinos.

CONDE, GIOCONDO
Por el estupor y por la alegría
mi alma no fue nunca agobiada.
Pero hoy ha vencido la alegría
y tengo motivos para festejar.

FABRICIO, CORO
(al Conde)
Por el estupor y por la alegría
vuestra alma no fue nunca agobiada.
Pero hoy ha vencido la alegría
y tenéis motivos para festejar.

CONDE
(a Clara)
Querida mía,
os pido perdón.

CLARA
(al Conde)
También yo
os pido perdón.

GIOCONDO
(con energía, a Clara y al Conde)
Yo no veo la razón
de estar mutuamente suplicando perdón.

CONDE
(a Giocondo)
¡Cuánto os debo, amigo!

GIOCONDO
(de igual manera)
Lo mismo digo yo,
dejémonos de cumplidos.

MACROBIO, PACUVIO
¡Vayamos a comer,
pues antes que la lengua
es necesario ejercitar el diente!

MACROBIO, PACUVIO, GIOCONDO
Y sobre todas las cosas,
pensemos cómo festejar
estas portentosas nupcias
con pompa y alegría.

BARONESA, FÚLVIA
(la Baronesa a Macrobio y doña Fúlvia
a Pacuvio)
Presenciar que ellos se casan
y nosotros aquí, mirándolos...

MACROBIO, PACUVIO
(interrumpiéndolas)
Señora, os he comprendido
y soy partícipe de vuestro sentimientos,
pero para hablaros sinceramente
quiero pensarlo un poco.

MACROBIO
(viendo que la Baronesa se entristece, le tiende
la mano)
¡Vamos, ánimo, no he dicho nada!
¡Os quiero ver feliz!

CONDE
Hasta ahora,
yo era avaro en afecto con las mujeres,
pero hoy he aprendido
a respetarlas.

TODOS
De júbilo siento
resplandecer el corazón.
No sé reprimir
este sentimiento
que hace brincar el alma
dentro de mi pecho.

La Piedra del Parangón
oportunamente se debe usar.
Quien ama y no resuelve,
se convierte en un personaje
ridículo y fastidioso
para los demás.



Traducido y Digitalizado por:
José Luis Roviaro 2010