ATTO
PRIMO
Scena
Prima
(Il
luogo della scena è la reggia di
Demofoonte nella Cheroneso di Tracia.
Orti
pensili, corrispondenti a vari
appartamenti
della reggia di
Demofoonte. Dircea e
Matusio)
DIRCEA
Credimi, o padre: il tuo soverchio affetto
Un mal dubbioso ancora
Rende sicuro. A domandar che solo
Il mio nome non vegga
l'urna fatale,
altra ragion non hai che il regio esempio.
MATUSIO
E
ti par poco? Io forse,
Perché suddito nacqui,
Son men padre del re?
D'Apollo il cenno
d'una vergine illustre
Vuol che su l'are sue si sparga il sangue
Ogni anno in questo dì; ma non esclude
Le vergini reali. Ei, che
si mostra
delle leggi divine
Sì rigido custode, agli altri insegni
Con l'esempio costanza. A sé
richiami
le allontanate ad arte
Sue regie figlie. I nomi loro esponga
Anch'egli al caso. All'agitar dell'urna,
Provi egli ancor d'un infelice padre
Come palpita il cor; come si trema
Quando al temuto vaso
La mano accosta il sacerdote, e quando
In sembianza funesta
L'estratto nome a pronunciar s'appresta;
E arrossisca una volta
Ch'abbia a toccar sempre la parte a lui
Di spettator nelle miserie altrui.
DIRCEA Ma sai
pur che a' sovrani
È suddita la legge.
MATUSIO Le umane
sì, non le divine.
DIRCEA E queste
a lor s'aspetta interpretar.
MATUSIO Non
quando parlan
chiaro gli dèi.
DIRCEA Mai
chiari a segno...
MATUSIO Non più,
Dircea; son risoluto.
DIRCEA
Ah! meglioPensaci, o genitor. L'ira
ne' grandi
Sollecita s'accende,
Tarda s'estingue. È temeraria impresa
L'irritare uno sdegno
Che ha congiunto il poter. Già il re pur
troppo
Bieco ti guarda. Ah! che sarà, se aggiunge
Ire novelle all'odio antico?
MATUSIO In vano
l'odio di lui tu mi rammenti e l'ira:
La ragion mi difende, il Ciel m'inspira.
O più
tremar non voglio
Fra tanti affanni e tanti;
O ancor chi preme il soglio
Ha da tremar con me.
Ambo siam padri amanti,
Ed il paterno affetto
Parla egualmente in petto
Del suddito e del re.
(parte)
Scena
Seconda
(Dircea e poi Timante)
DIRCEA Se il
mio principe almeno
Quindi lungi non fosse... Oh Ciel, che miro!
Ei viene a me!
TIMANTE Dolce
consorte...
DIRCEA Ah!
taci:
Potrebbe udirti alcun. Rammenta, o caro,
Che qui non resta in vita
Suddita sposa a regio figlio unita.
TIMANTE Non
temer, mia speranza. Alcun non ode.
Io ti difendo.
DIRCEA E quale
amico nume
ti rende a me?
TIMANTE Del
genitore un cenno
Mi richiama dal campo,
Né la cagion ne so. Ma tu, mia vita,
M'ami ancor? ti ritrovo
Qual ti lasciai? Pensasti a me?
DIRCEA Ma come
Chieder lo puoi? Puoi dubitarne?
TIMANTE Oh Dio!
Non dubito, ben mio: lo so che m'ami,
Ma da quel dolce labbro
Troppo (soffrilo in pace)
Sentirlo replicar, troppo mi piace.
Ed il picciolo Olinto, il caro pegno
De' nostri casti amori,
Che fa? cresce in bellezza?
A qual di noi somiglia?
DIRCEA Egli
incomincia
Già col tenero piede
Orme incerte a segnar. Tutta ha nel volto
Quella dolce fierezza,
Che tanto in te mi piacque. Allor che ride,
Par l'immagine tua. Lui rimirando,
Te rimirar mi sembra. Oh,
quante volte,
Credula troppo al dolce error del ciglio,
Mi strinsi al petto il genitor nel figlio!
TIMANTE Ah!
dov'è? Sposa amata,
Guidami a lui; fa ch'io lo vegga.
DIRCEA Affrena,
Signor, per ora il violento affetto.
In custodita parte
Egli vive celato; e andarne a lui
Non è sempre sicuro. Oh quanta pena
Costa il nostro segreto!
TIMANTE Ormai
son stanco
Di finger più, di tremar sempre: io voglio
Cercare oggi una via
D'uscir di tante angustie.
DIRCEA Oggi
sovrasta
Altra angustia maggiore. Il giorno è questo
Dell'annuo sagrifizio. Il nome mio
Sarà esposto alla sorte. Il re lo vuole;
Si oppone il padre; e della lor contesa
Temo più che del resto.
TIMANTE È noto
forse
Al padre tuo che sei mia sposa?
DIRCEA Il Cielo
nol voglia mai. Più non
vivrei.
TIMANTE
M'ascolta.
Proporrò che di nuovo
Si consulti l'oracolo. Acquistiamo
Tempo a pensar.
DIRCEA Questo è
già fatto.
TIMANTE E come
rispose?
DIRCEA Oscuro e
breve.
‘Con voi del Ciel si placherà lo sdegno,
Quando noto a se stesso
Fia l'innocente usurpator d'un regno.'
TIMANTE Che
tenebre son queste!
DIRCEA E se
dall'urna
Esce il mio nome, io che farò?
La morte mio spavento non è:
Dircea saprebbe per la patria morir.
Ma Febo chiede d'una vergine il sangue.
Io, moglie e madre,
Come accostarmi all'ara?
O parli o taccia, colpevole mi rendo:
Il Ciel, se taccio, il re, se parlo,
offendo.
TIMANTE Sposa,
ne' gran perigli
Gran coraggio bisogna. Al re conviene
Scoprir l'arcano.
DIRCEA E la
funesta legge che a morir mi condanna?
TIMANTE Un re la
scrisse:
Può rivocarla un re. Benché severo,
Demofoonte è padre, ed io son figlio.
Qual forza han questi nomi,
Io lo so, tu lo sai. Non
torno al fine
Senza merito a lui. La
Scizia oppressa,
Il soggiogato Fasi
Son mie conquiste; e qualche cosa il padre
Può fare anche per me. Se ciò non basta,
Saprò dinanzi a lui
Piangere, supplicar, piegarmi al suolo,
Abbracciargli le piante,
Domandargli pietà.
DIRCEA
Dubito... Oh Dio!
TIMANTE Non
dubitar, Dircea: lascia la cura
A me del tuo destin. Va! Per tua pace
Ti stia nell'alma impresso
Che a te penso, cor mio, più che
a me stesso.
DIRCEA In te
spero, o sposo amato;
Fido a te la sorte mia:
E per te, qualunque sia,
Sempre cara a me sarà.
Pur che a me nel morir mio
Il piacer non sia negato
Di vantar che tua son io,
Il morir mi piacerà.
(parte)
Scena
Terza
(Timante e
Demofoonte con séguito;
indi
Adrasto)
TIMANTE Sei pur
cieca, o Fortuna! Alla mia
sposa generosa
concedi
Beltà, virtù quasi divina, e poi
La fai nascer vassalla. Error sì grande
Correggerò ben io. Meco sul
trono La
Tracia un dì l'adorerà. Ma viene
Il real genitor. Più non s'asconda
Il mio segreto a lui.
DEMOFOONTE
Principe, figlio.
TIMANTE Padre,
signor.
(s'inginocchia e gli bacia la mano)
DEMOFOONTE Sorgi.
TIMANTE I reali
imperi
Eccomi ad eseguir.
DEMOFOONTE So che
non piace
al tuo genio guerriero
La pacifica reggia; e il cenno mio,
Che ti svelle dall'armi,
Forse t'incresce. I tuoi trionfi, o prence,
E perché mie conquiste e perché tuoi,
Sempre cari mi son; ma tu di loro
Mi sei più caro. I tuoi sudori ormai
Di riposo han bisogno. È del riposo
Figlio il valor. Sempre
vibrato, al fine
Inabile a ferir l'arco si rende.
Il meritar son le tue parti, e sono
Il premiarti le mie. Se il prence, il figlio
Degnamente le sue compì fin ora,
Il padre, il re le sue compisca ancora.
TIMANTE
(Fra sè)
Opportuno è il momento: ardir!
(Forte)
Conosco
tanto il bel cor del mio
Tenero genitor, che...
DEMOFOONTE No, non
puoi
Conoscerlo abbastanza. Io penso, o figlio,
A te più che non credi;
Io ti leggo nell'alma, e quel che taci,
Intendo ancor. Con la tua sposa al fianco
Vorresti ormai che ti vedesse il regno.
Di': non è ver?
TIMANTE (Fra sè)
Certo
ei scoperse il nodo
Che mi stringe a Dircea
DEMOFOONTE Parlar
non osi;
E a compiacerti appunto
Il tuo mi persuade
Rispettoso silenzio. Io, lo
confesso,
Dubitai su la scelta; anzi mi spiacque.
L'acconsentire al nodo
Mi pareva viltà. Gli odi del padre
Abborria nella figlia. Al fin prevalse
Il desio di vederti
Felice, o prence.
TIMANTE (Fra sè)
Il
dubitarne è vano.
DEMOFOONTE A
paragon di questo,
è lieve ogni riguardo.
TIMANTE Amato
padre,
Nuova vita or mi dài. Volo
alla sposa,
Per condurla al tuo piè.
DEMOFOONTE Ferma!
Cherinto,
Il tuo minor germano,
la condurrà.
TIMANTE Che
inaspettata è questa
felicità!
DEMOFOONTE V'è per
mio cenno al porto
Chi ne attende l'arrivo.
TIMANTE Al
porto!
DEMOFOONTE E,
quando vegga
apparir la sospirata nave,
Avvertiti sarem.
TIMANTE Qual
nave?
DEMOFOONTE Quella
che la real Creusa
Conduce alle tue nozze.
TIMANTE (Fra sè)
Oh dèi!
DEMOFOONTE Ti
sembra
Strano, lo so. Gli ereditari sdegni
De' suoi, degli avi nostri, un simil nodo
Non facevan sperar; ma in dote al fine
Ella ti porta un regno.
Unica prole è del cadente re.
TIMANTE
Signor... Credei...
(Fra sè)
Oh error
funesto!
DEMOFOONTE Una
consorte altrove,
Che suddita non sia, per te non trovo.
TIMANTE O
suddita o sovrana,
Che importa, o padre?
DEMOFOONTE Ah! no:
troppo degli avi
Ne arrossirebbon l'ombre. È lor la legge
Che condanna a morir sposa vassalla
Unita al real germe; e, fin ch'io viva,
Saronne il più severo
Rigido esecutor.
TIMANTE Ma
questa legge...
ADRASTO Signor,
giungono in porto
le frigie navi.
DEMOFOONTE Ad
incontrar la sposa vola, o Timante.
(Adrasto si ritira)
TIMANTE Io?
DEMOFOONTE Sì. Con
te verrei,
Ma un funesto dover mi chiama al tempio.
TIMANTE Ferma!
Senti, signor.
DEMOFOONTE Parla:
che brami?
TIMANTE
Confessarti...
(Fra sè)
Che fo?
(Forte)
Chiederti...
(Fra sè)
Oh Dio,
che angustia è questa!
(Forte)
Il
sacrifizio, o padre... La
legge... La consorte...
(Fra sè)
Oh legge! oh sposa! Oh sacrifizio! oh
sorte!
DEMOFOONTE Prence,
ormai non ci resta
Più luogo a pentimento. È stretto il nodo:
Io l'ho promesso. Il conservar la fede
Obbligo necessario è di chi regna;
E la necessità gran cose insegna.
Per lei
fra l'armi dorme il guerriero;
Per lei fra l'onde canta il nocchiero;
Per lei la morte terror non ha.
Fin le più timide belve fugaci
Valor dimostrano, si fanno audaci,
Quand'è il combattere necessità.
(parte)
Scena
Quarta
(Timante solo)
TIMANTE Ma che
vi fece, o stelle,
La povera Dircea, che tante unite
Sventure contro lei? Voi, che
inspiraste
I casti affetti alle nostr'alme; voi,
Che al pudico imeneo foste presenti,
Difendetelo, o numi: io mi confondo.
M'oppresse il colpo a segno,
Che il cor mancommi, e si smarrì l'ingegno.
Sperai
vicino il lido,
Credei calmato il vento;
Ma trasportar mi sento
Fra le tempeste ancor;
E da uno scoglio infido
Mentre salvar mi voglio,
Urto in un altro scoglio
Del primo assai peggior.
(parte)
Scena
Quinta
(Porto di mare,
festivamente adornato per
l'arrivo della principessa di Frigia.
Vista
di molte navi, dalla più magnifica delle
quali, al
suono di vari stromenti barbari,
preceduti da numeroso corteggio,
sbarcano a
terra,
Creusa e Cherinto)
CREUSA Ma che
t'affanna, o prence?
Perché mesto così? Pensi, sospiri,
Taci, mi guardi, e, se a parlar t'astringo,
Con rimproveri amici,
Molto a dir ti prepari, e nulla dici.
Dove andò quel sereno
Allegro tuo sembiante? ove i festivi
Detti ingegnosi? In Tracia tu non sei
Qual eri in Frigia. Al talamo le spose
In sì lugubre aspetto
s'accompagnan fra voi? Per le
mie nozze
qual augurio è mai questo?
CHERINTO Se nulla
di funesto
Presagisce il mio duol, tutto si sfoghi,
O bella principessa, Tutto sopra di me.
Poco i
miei mali
accresceran le stelle. Io de'
viventi
già sono il più infelice.
CREUSA E questo
arcano non
può svelarsi a me? Vaglion
sì poco
Il mio soccorso, i miei consigli?
CHERINTO E vuoi
Ch'io parli? Ubbidirò. Dal primo istante...
Quel giorno... Oh Dio! No, non
ho cor! Perdona;
Meglio è tacer: meriterei, parlando,
Forse lo sdegno tuo.
CREUSA Lo merta
assai
Già la tua diffidenza. È ver che al fine
Io son donna; e sarebbe
Mal sicuro il segreto. Andiamo, andiamo.
Taci pur: n'hai ragion.
CHERINTO Fermati!
Oh numi!
Parlerò: non sdegnarti. Io non ho pace;
Tu me la togli: il tuo bel volto adoro;
So che l'adoro in vano,
E mi sento morir. Questo è l'arcano.
CREUSA Come?
Che ardir!
CHERINTO Nol
dissi che
sdegnar ti farei?
CREUSA Sperai,
Cherinto,
più rispetto da te.
CHERINTO Colpa
d'amore.
CREUSA (volendo partire) Taci,
taci: non più.
CHERINTO Ma, già
che a forza tu volesti, o Creusa,
Il delitto ascoltar, senti la scusa.
CREUSA Che dir
potrai?
CHERINTO Che di
pietà son degno,
Se ardo per te; che se l'amarti è colpa,
Demofoonte è il reo. Doveva il padre,
Per condurti a Timante,
Altri sceglier che me. Se
l'esca avvampa,
Stupir non dee chi l'avvicina al fuoco.
Tu bella sei; cieco io non son. Ti vidi,
T'ammirai, mi piacesti. A te vicino
Ogni dì mi trovai. Comodo e scusa
Il nome di congiunto
Mi diè per vagheggiarti; e me
quel nome,
Non che gli altri, ingannò. L'amor,
che sempre
Sospirar mi facea d'esserti accanto,
Mi pareva dovere; e mille volte
A te spiegar credei
Gli affetti del german, spiegando i miei.
CREUSA
(Fra sè) Ah! me
n'avvidi.
(Forte)
Un tale ardir mi giunge
Nuovo così, che istupidisco.
CHERINTO E pure
talor mi lusingai che l'alme nostre
S'intendesser fra loro
Senza parlar. Certi sospiri intesi;
Un non so che di languido osservai
Spesso negli occhi tuoi, che mi parea
Molto più che amicizia.
CREUSA Orsù!
Cherinto,
della mia tolleranza
Cominci ad abusar. Mai più d'amore
Guarda di non parlarmi.
CHERINTO Io non
comprendo...
CREUSA Mi
spiegherò. Se in avvenir più saggio
Non sei di quel che fosti infino ad ora,
Non comparirmi innanzi. Intendi
ancora?
CHERINTO
T'intendo, ingrata!
Vuoi ch'io mi uccida:
Sarai contenta,
m'ucciderò.
Ma ti rammenta
Che a un'alma fida
L'averti amata
troppo costò.
(vuol partire)
CREUSA Dove?
Ferma!
CHERINTO No, no!
troppo t'offende
la mia presenza.
(in atto di partire)
CREUSA Odi,
Cherinto.
CHERINTO Eh!
Troppo abuserei,
restando,
Della tua tolleranza.
(come sopra)
CREUSA E chi
fin ora
t'impose di partir?
CHERINTO
Comprendo assai
anche quel che non dici.
CREUSA Ah,
prence! Ah, quanto
Mal mi conosci! Io da quel punto... (Oh
numi!)
CHERINTO Termina
i detti tuoi.
CREUSA Da quel
punto...
(Fra sè)
Ah, che fo!
(Forte)
Parti,
se vuoi.
CHERINTO Barbara!
partirò; ma forse... Oh stelle!
Ecco il german.
Scena
Sesta
(Timante frettoloso,
e detti)
TIMANTE Dimmi,
Cherinto: è questa
La
frigia principessa?
CHERINTO Appunto.
TIMANTE Io
deggio seco
parlar. Per un momento solo
Da noi ti scosta.
CHERINTO
Ubbidirò.
(Fra sè)
Che
pena!
CREUSA Sposo,
signor.
TIMANTE Donna
real, noi siamo
In gran periglio entrambi. Il tuo decoro,
La vita mia tu sola
puoi difender, se vuoi.
CREUSA Che
avvenne?
TIMANTE I nostri
Genitori fra noi strinsero un nodo,
Che forse a te dispiace,
Ch'io non richiesi. I pregi tuoi reali
Sarian degni d'un nume,
Non che di me; ma il mio destin non vuole
Ch'io possa esserti sposo. Un vi si oppone
Invincibil riparo. Il padre mio
Nol sa, né posso dirlo. A te conviene
Prevenire un rifiuto. In vece mia,
Va, rifiutami tu. Di'
ch'io ti spiaccio; aggrava, io tel perdono,
I demeriti miei; sprezzami, e salva
Per questa via, che il mio dover t'addìta,
L'onor tuo, la mia pace e la mia vita.
CREUSA Come!
TIMANTE Teco io
non posso
trattenermi di più
(a Cherinto, partendo)
Prence,
alla reggia sia tua cura il condurla.
CREUSA Ah!
dimmi almeno...
TIMANTE Dissi
tutto il cor mio,
Né più dirti saprei: pensaci. Addio!
(parte)
Scena
Settima
(Creusa e Cherinto)
CREUSA Numi! a
Creusa, alla reale erede
Dello scettro di Frigia un tale oltraggio!
Cherinto, hai cor?
CHERINTO L'avrei
se tu non mel toglievi.
CREUSA Ah!
l'onor mio
Vendica tu, se m'ami. Il cor, la mano,
Il talamo, lo scettro,
Quanto possiedo, è tuo: limite alcuno
Non pongo al premio.
CHERINTO E che
vorresti?
CREUSA Il
sangue dell'audace
Timante.
CHERINTO Del mio
german?
CREUSA Che!
impallidisci? Ah vile!
Va! troverò chi voglia
Meritar l'amor mio.
CHERINTO Ma,
principessa...
CREUSA Non più!
Lo so, siete d'accordo entrambi,
Scellerati, a tradirmi.
CHERINTO Io!
Come! E credi
Così, dunque, il mio amor poco sincero?
CREUSA Del tuo
amor mi vergogno, o falso
o vero.
Non curo
l'affetto
D'un timido amante,
Che serba nel petto
Sì poco valor.
Che trema, se deve
Far uso del brando,
Ch'è audace sol quando
Si parla d'amor.
(Parte)
Scena
Ottava
(Cherinto solo)
CHERINTO Oh dèi!
perché tanto furor? che mai
Le avrà detto il german? Voler ch'io stesso
Nelle fraterne vene... Ah! che
in pensarlo
Gelo d'orror. Ma con qual fasto il disse!
Con qual fierezza! E pur, quel fasto e
quella
Sua fierezza m'alletta: in essa
io trovo
un non so che di grande,
Che, in mezzo al suo furore,
Stupir mi fa, mi fa languir d'amore.
Il suo
leggiadro viso
Non perde mai beltà:
Bello nella pietà,
Bello è nell'ira.
Quand'apre i labbri al riso,
Parmi la dea del mar;
E Pallade mi par,
Quando s'adira.
(parte)
Scena
Nona
(Matusio esce
furioso con Dircea per
mano)
DIRCEA Dove,
dove, o signor?
MATUSIO Nel più
deserto
Sen della Libia, alle foreste ircane,
Fra le scitiche rupi, o in qualche ignota,
Se alcuna il mar ne serra,
Separata dal mondo ultima terra.
DIRCEA Aimè!
MATUSIO Sudate,
o padri,
Nella cura de' figli. Ecco il
rispetto,
Che il dritto di natura,
Che prometter si può la vostra cura.
DIRCEA (Fra sè)
Ah!
scoprì l'imeneo.
Son morta.
(Forte)
Oh Dio!
Signor, pietà!
MATUSIO Non v'è
pietà, né fede:
Tutto è perduto!
DIRCEA Ecco al
tuo piè...
MATUSIO Che fai?
DIRCEA Io
voglio pianger tanto...
MATUSIO Il tuo
caso domanda altro che pianto.
DIRCEA Sappi...
MATUSIO
Attendimi. Un legno
Volo a cercar, che ne trasporti altrove.
(parte)
Scena
Decima
(Dircea, poi
Timante)
DIRCEA Dove,
misera! Ah! dove
Vuol condurmi a morir? Figlio innocente,
Adorato consorte, oh dèi, che pena
Partir senza vedervi!
TIMANTE Al fin
ti trovo,
Dircea, mia vita.
DIRCEA Ah! caro
sposo, addio,
E addio per sempre. Al tuo
paterno amore
Raccomando il mio figlio:
Abbraccialo per me, bacialo, e tutta
Narragli, quando sia
Capace di pietà, la sorte mia.
TIMANTE Sposa,
che dici? Ah! nelle vene il sangue
Gelar mi
fai.
DIRCEA Certo
scoperse il padre
Il nostro arcano. Ebbro è di sdegno, e vuole
Quindi lungi condurmi. Io lo conosco:
Per me non v'è più speme.
TIMANTE Eh!
Rassicura
l o smarrito tuo cor, sposa
diletta;
al mio fianco tu sei.
Scena
Undicesima
(Matusio torna
frettoloso, e detti)
MATUSIO Dircea,
t'affretta!
TIMANTE Dircea
non partirà.
MATUSIO Chi
l'impedisce?
TIMANTE Io.
MATUSIO Come!
DIRCEA Aimè!
MATUSIO
Difenderò col ferro
La paterna ragion.
(snuda la spada)
TIMANTE (fa lo stesso)
Col ferro anch'io
la mia difenderò.
DIRCEA (si frappone)
Prence, che fai?
Fermati, o genitore!
MATUSIO Empio!
Impedirmi che al crudel sacrifizio una
innocente vergine io tolga?
DIRCEA Oh dèi!
TIMANTE Ma
dunque...
DIRCEA (piano a Timante, fingendo
trattenerlo) Ah
taci.
Nulla sa: m'ingannai.
MATUSIO Volerla
oppressa!
DIRCEA (Fra sè)
Io quasi
per timor tradii me stessa.
TIMANTE Signor,
perdona: ecco l'error. Ti vidi
Verso lei, che piangea, correr sdegnato;
Tempo a pensar non ebbi; opra pietosa
Il salvarla credei dal tuo furore.
MATUSIO Dunque
la nostra fuga
Non impedir. La vittima, se resta,
Oggi sarà Dircea.
DIRCEA Stelle!
TIMANTE
Dall'urna forse
il suo nome uscì?
MATUSIO No; ma
l'ingiusto
tuo padre vuol
quell'innocente uccisa
senza il voto del caso.
TIMANTE E perché
tanto sdegno con lei?
MATUSIO Per
punir me, che volli
Impedir che alla sorte
Fosse esposta Dircea; perché produssi
L'esempio suo; perché l'amor paterno
Mi fe' scordar d'esser vassallo.
DIRCEA
(Fra sè) Oh Dio!
Ogni cosa congiura a danno mio.
TIMANTE
Matusio,
non temer: barbaro tanto
Il re non è. Negl'impeti improvvisi
Tutti abbaglia il furor; ma la ragione
Poi ne emenda i trascorsi.
Scena
Dodicesima
(Adrasto con
guardie, e detti)
ADRASTO Olà!
ministri,
custodite Dircea.
(le guardie la circondano)
MATUSIO Nol
dissi, o prence?
TIMANTE Come?
DIRCEA Misera
me!
TIMANTE Per qual
cagione
è Dircea prigioniera?
ADRASTO Il re
l'impone.
(a Dircea)
Vieni!
DIRCEA Ah!
dove?
ADRASTO Fra
poco, sventurata!
il saprai.
DIRCEA
Principe, padre,
soccorretemi voi;
Movetevi a pietà.
TIMANTE No, non
fia vero...
(in atto d'assalire)
MATUSIO Non
soffrirò...
ADRASTO Se
v'appressate, in seno
Questo ferro le immergo.
(impugnando uno stile)
TIMANTE
(si fermano) Empio!
MATUSIO Inumano!
ADRASTO Il
comando sovrano
mi giustifica assai.
DIRCEA
Dunque...
ADRASTO
T'affretta:
Sono vane, o Dircea, le tue querele.
DIRCEA (incamminandosi) Vengo.
TIMANTE, MATUSIO Ah!
barbaro!
(in atto di assalire)
ADRASTO (in atto di ferire)
Olà!
TIMANTE E MATUSIO (arrestandosi)
Ferma, crudele!
DIRCEA Padre,
perdona... Oh pene!
Prence, rammenta... Oh Dio!
(Fra sè)
Già che morir degg'io,
Potessi almen parlar!
(Forte)
Misera! in che peccai?
Come son giunta mai
De' numi a questo segno
Lo sdegno a meritar?
(parte con Adrasto)
Scena
Decimoterza
(Timante e Matusio)
TIMANTE
Consigliatemi, o dèi.
MATUSIO Né
s'apre il suolo!
Né un fulmine punisce
Tanta empietà, tanta ingiustizia! E poi
Mi si dirà che Giove
Abbia cura di noi!
TIMANTE
Facciamo, amico,
Miglior uso del tempo. Appresso a lei
Tu vanne, e vedi ov'è condotta. Il padre
Io volo intanto a raddolcir.
MATUSIO Non
spero...
TIMANTE Oh Dio!
Va: troverassi
Altra via di salvarla, ove non ceda
Del genitor lo sdegno.
MATUSIO Oh di
padre miglior figlio ben degno!
(l'abbraccia e parte)
TIMANTE Se
ardire e speranza
Dal Ciel non mi viene,
Mi manca costanza
Per tanto dolor.
La dolce compagna
Vedersi rapire,
Udir che si lagna,
Condotta a morire,
Son smanie, son pene
Che opprimono un cor.
(parte)
ATTO SECONDO
Scena
Prima
(Gabinetti. Demofoonte e
Creusa)
DEMOFOONTE Chiedi
pure, o Creusa. In questo giorno
Tutto farò per te; ma non parlarmi
A favor di Dircea. Voglio
che il padre
Morir la vegga. Il temerario offese
Troppo il real decoro. In faccia mia
Sediziose voci
Sparger nel volgo!
A' miei decreti opporsi!
Paragonarsi a me! Regnar non voglio,
Se tal vergogna ho da soffrir nel soglio.
CREUSA Io non
vengo per altri
a pregarti, signor. Conosco
assai quel
che potrei sperar. Le mie
preghiere
son per me stessa.
DEMOFOONTE E che
vorresti?
CREUSA In
Frigia
Subito ritornar. Manca il tuo cenno
Perché possan dal porto
Le navi uscir. Questo io domando; e credo
Che negarlo non puoi, se pur qui, dove
Venni a parte del trono,
(Fra sè)
Non è strano il timor.
(A Demofoonte)
schiava
io non sono.
DEMOFOONTE Che
dici, o principessa! Ah, quai sospetti!
Che pungente parlar! Partir
da noi!
E lo sposo? E le nozze?
CREUSA Eh! per
Timante
Creusa è poco. Una beltà mortale
Non lo speri ottener. Per lui... Ma questa
La mia cura non è. Partir vogl'io:
Posso, o signor?
DEMOFOONTE Tu sei
L'arbitra di te stessa. In Tracia a forza
Ritenerti io non vuo'. Ma non sperai
Tale ingiuria da te.
CREUSA Non so
di noi chi
ha ragion di lagnarsi: e il
prence... Al fine bramo partir.
DEMOFOONTE Ma lo
vedesti?
CREUSA Il vidi.
DEMOFOONTE Ti
parlò?
CREUSA Così
meco parlato
non avesse!
DEMOFOONTE E che ti
disse?
CREUSA Signor,
basta così.
DEMOFOONTE Creusa,
intendo.
Ruvido troppo, alle parole, agli atti,
Ti parve il prence. Ei freddamente forse
T'accolse, ti parlò. Scuso il
tuo sdegno:
A te, che sei di Frigia
A' molli avvezza e teneri costumi,
Aspra rassembra e dura
L'aria d'un Trace.
E, se Timante è tale,
Meraviglia non è: nacque fra l'armi,
Fra l'armi s'educò. Teneri
affetti
Per lui son nomi ignoti.
A te si serba la gloria d'erudirlo
Ne' misteri d'Amor. Poco, o Creusa,
Ti costerà. Che non insegna un volto
Sì pien di grazie, e due vivaci lumi,
Che parlan come i tuoi?
S'apprende in breve sotto la disciplina
Di sì dotti maestri ogni dottrina.
CREUSA Al
rossor d'un rifiuto una mia pari
Non s'espone però.
DEMOFOONTE Rifiuto!
E come lo
potresti temer?
CREUSA Chi sa?
DEMOFOONTE La mano,
Pur che tu non la sdegni, in questo giorno
Il figlio a te darà: la mia ne impegno
Fede reale. E se l'audace ardisse
Di repugnar, da mille furie invaso,
Saprei... Ma no! troppo è lontano il caso.
CREUSA
(Fra sè) Sì, sì!
Timante all'imeneo s'astringa,
Per poter rifiutarlo.
(A Demofoonte)
E bene, accetto,
Signor, la tua promessa. Or fia tua cura
Che poi...
DEMOFOONTE Basta
così. Vivi sicura.
CREUSA Tu sai
chi son; tu sai
Quel che al mio onor conviene:
Pensaci; e, s'altro avviene,
Non ti lagnar di me.
Tu re, tu padre sei,
Ed obbliar non déi
Come comanda un padre,
Come punisce un re.
(parte)
Scèna Seconda
(Demofoonte e poi Timante)
DEMOFOONTE Che
alterezza ha costei! Quasi... Ma tutto
Al grado, al sesso ed all'età si doni.
Pur convien che Timante
Troppo mal l'abbia accolta. È forza
ch'io lo
avverta, lo riprenda, acciò,
più saggio
Le ripugnanze sue vinca in appresso.
(alle guardie)
Timante
a me...
Ma vien Timante istesso.
TIMANTE Mio re,
mio genitor, grazia, perdono,
Pietà!
DEMOFOONTE Per chi?
TIMANTE Per
l'infelice figlia
dell'afflitto Matusio.
DEMOFOONTE Ho già
deciso
Del suo destin. Non si rivoca un cenno
Che uscì da regio labbro. È d'un
errore
Conseguenza il pentirsi; e il re
non erra.
TIMANTE Se si
adorano in terra, è perché sono
Placabili gli dèi. D'ogni
altro è il Fato
Nume il più grande; e, sol perché non muta
Un decreto giammai, non trovi esempio
Di chi voglia innalzargli un'ara, un tempio.
DEMOFOONTE Tu non
sai che del trono
è custode il timor.
TIMANTE Poco
sicuro.
DEMOFOONTE Di lui
figlio è il rispetto.
TIMANTE E porta
seco tutti
i dubbi del padre.
DEMOFOONTE A poco a
poco diventa
amor.
TIMANTE Ma
simulato.
DEMOFOONTE Il tempo
T'insegnerà quel ch'or non sai. Per ora
D'altro abbiamo a parlar. Dimmi: a Creusa
Che mai facesti? In questo dì tua sposa
Esser deve, e l'irrìti?
TIMANTE Ho tal
per lei
repugnanza nel cor, che non
mi sento
valor di superarla.
DEMOFOONTE E pur
conviene...
TIMANTE Ne
parleremo. Or per
Dircea, signore,
Sono al tuo piè. Quell'innocente vita
Dona a' prieghi d'un figlio.
DEMOFOONTE E pur di
lei
Torni a parlar. Se l'amor mio t'è caro,
Questa impresa abbandona.
TIMANTE Ah!
padre amato,
Non ti posso ubbidir. Deh! se
giammai
il tuo paterno affetto
Son giunto a meritar; se, adorno il seno
D'onorate ferite, alle tue braccia
Ritornai vincitor; se i miei trionfi,
Del tuo sublime esempio
Non tardi frutti, han mai saputo alcuna
Esprimerti dal ciglio
Lagrima di piacer; libera, assolvi
La povera Dircea. Misera! Io solo
Parlo per lei; l'abbandonò ciascuno;
Non ha speme che in me. Sarebbe,
oh Dio!
Troppa inumanità, senza delitto,
Nel fior degli anni suoi, su l'are
atroci
Vederla agonizzar; vederle a rivi
Sgorgar tiepido il sangue
Dal molle sen; del moribondo labbro
Udir gli ultimi accenti; i moti estremi
Degli occhi suoi... Ma tu mi guardi, o
padre!
Tu impallidisci! Ah! lo conosco: è questo
Un moto di pietà.
(s'inginocchia)
Deh! non
pentirti:
Secondalo, o signor. No, finché il cenno
Onde viva Dircea, padre, non dài,
Io dal tuo piè non partirò giammai.
DEMOFOONTE Principe
(oh sommi dèi), sorgi. E che
deggio creder
di te? Quel
nominar con tanta
Tenerezza Dircea, queste eccessive
Violenti premure
che voglion dir? L'ami tu forse?
TIMANTE In vano
farei studio a celarlo.
DEMOFOONTE Ah!
questa è dunque
Delle freddezze tue verso Creusa
La nascosta sorgente. E che pretendi
Da questo amor? che per tua sposa forse
Una vassalla io ti conceda? o pensi
Che un imeneo nascosto... Ah! se potessi
Immaginarmi sol...
TIMANTE Qual
dubbio mai
Ti cade in mente! A tutti i numi il giuro,
Non sposerò Dircea; nol bramo: io chiedo
Che viva solo. E se pur
vuoi che mora,
Morrà, non lusingarti, il figlio ancora.
DEMOFOONTE
(Fra sè) Per
vincerlo, si ceda.
(A Timante)
E ben, tu 'l vuoi:
Vivrà la tua diletta;
La dono a te.
TIMANTE Mio caro
padre...
(vuol baciargli la mano)
DEMOFOONTE Aspetta.
Merita
la paterna
Condescendenza una mercé.
TIMANTE La vita,
il sangue mio...
DEMOFOONTE No, caro
figlio: io bramo
Meno da te. Nella
real Creusa
rispetta la mia scelta. A queste
nozze non
ti mostrar sì avverso.
TIMANTE Oh Dio!
DEMOFOONTE Lo
veggo,
Ti costan pena: or questa pena accresca
Merito all'ubbidienza. Ebb'io pietade
Della tua debolezza: abbi tu cura
Dell'onor mio. Che si
diria, Timante,
Del padre tuo, se per tua colpa astretto
Le promesse a tradir... Ma tanto
ingrato
So che non sei. Vieni alla sposa. Al tempio
Conduciamola adesso; adesso in faccia
Agl'invocati dèi
Adempi, o figlio, i tuoi doveri e i miei.
TIMANTE
Signor... non posso.
DEMOFOONTE Io fin
ad ora, o prence,
Da padre ti parlai: non obbligarmi
A parlarti da re.
TIMANTE Del re,
del padre
Venerabili i cenni
Egualmente mi son; ma, tu lo sai,
Amor forza non soffre.
DEMOFOONTE Amor
governa
Le nozze de' privati. Hanno i tuoi pari
Nume maggior che li congiunge: e questo
Sempre è il pubblico ben.
TIMANTE Se il
bene altrui
Tal prezzo ha da costar...
DEMOFOONTE Prence,
son stanco
di garrir teco. Altra
ragion non rendo. Io così voglio.
TIMANTE Ed io
non posso.
DEMOFOONTE Audace!
Non sai...
TIMANTE Lo so:
vorrai punirmi.
DEMOFOONTE E voglio
Che in Dircea s'incominci il tuo castigo.
TIMANTE Ah, no!
DEMOFOONTE Parti.
TIMANTE Ma
senti.
DEMOFOONTE Intesi
assai.
Dircea voglio che mora.
TIMANTE E
morendo Dircea...
DEMOFOONTE Né parti
ancora?
TIMANTE Sì,
partirò; ma poi
(turbato)
Non ti
lagnar...
DEMOFOONTE Che?
temerario! (oh dèi!)
minacci!
TIMANTE Io non
distinguo
Se priego o se minaccio. A poco a poco
La ragion m'abbandona. A un
passo estremo
Non costringermi, o padre. Io mi protesto:
Farei... chi sa...
DEMOFOONTE Di'; che
faresti, ingrato?
TIMANTE Tutto
quel che farebbe un disperato.
Prudente
mi chiedi?
Mi brami innocente?
Lo senti, lo vedi,
Dipende da te.
Di lei, per cui peno,
Se penso al periglio,
Tal smania ho nel seno,
Tal benda ho sul ciglio,
Che l'alma di freno
Capace non è.
(parte)
Scena Terza
(Demofoonte solo)
DEMOFOONTE Dunque
m'insulta ognun? L'ardita nuora,
Il suddito superbo, il figlio audace,
Tutti scuotono il freno? Ah! non è tempo
Di soffrir più. Custodi,
olà! Dircea
Si tragga al sagrifizio
Senz'altro indugio. Ella è cagion de' falli
Del padre suo, del figlio mio. Né, quando
Fosse innocente ancora,
Viver dovrebbe. È necessario al regno
L'imeneo con Creusa; e mai Timante
Nol compirà, fin che Dircea non muore.
Quando al pubblico giova,
È consiglio prudente
La perdita d'un solo, anche innocente.
Se
tronca un ramo, un fiore
L'agricoltor così,
Vuol che la pianta un dì
Cresca più bella.
Tutta sarebbe errore
Lasciarla inaridir,
Per troppo custodir parte di quella.
(parte)
Sscena Quarta
(Portici. Matusio e Timante)
MATUSIO È
l'unica speranza...
TIMANTE Sì, caro
amico, è nella fuga. In vece
Di placarsi a' miei prieghi,
Il re più s'irritò. Fuggir conviene,
E fuggire a momenti. Un agil
legno
Sollecito provvedi; in quello aduna
Quanto potrai di prezioso e caro;
E dove fra gli scogli
Alla destra del porto il mar s'interna,
M'attendi ascoso: io con Dircea fra poco
A te verrò.
MATUSIO Ma de'
custodi suoi...
TIMANTE Deluderò
la cura. Ignota via
V'è chi m'apre all'albergo, ov'ella
è chiusa.
Va, ché il tempo è infedele a chi ne abusa.
MATUSIO È
soccorso d'incognita mano
Quella brama, che l'alma t'accende:
Qualche nume pietoso ti fa.
Dall'esempio d'un padre inumano
Non s'apprende sì bella pietà.
(parte)
Scena Quinta
(Timante e poi Dircea, in bianca
veste e
coronata di fiori
tra le
guardie ed i
ministri del tempio)
TIMANTE Gran
passo è la mia fuga. Ella mi rende
E povero e privato. Il regno e tutte
Le paterne ricchezze Io
perderò. Ma la
consorte e il figlio Voglion
di più. Proprio
valor non hanno
Gli altri beni in se stessi, e li fa grandi
La nostra opinion. Ma i dolci affetti
E di padre e di sposo hanno i lor fonti
Nell'ordine del tutto. Essi non
sono Originati
in noi dalla
forza dell'uso o dalle prime
Idee, di cui bambini altri ci pasce:
Già ne ha i semi nell'alma ognun che nasce.
Fuggasi pur!... Ma chi
s'appressa? È forse
Il re: veggo i custodi. Ah! no; vi sono
Ancor sacri ministri, e in bianche spoglie
Fra lor... misero me! la sposa. Oh Dio!
Fermatevi! Dircea, che avvenne?
DIRCEA Al fine
Ecco l'ora fatale, ecco l'estremo
Istante ch'io ti veggo. Ah, prence! ah,
questo
È pur l'amaro passo!
TIMANTE E come!
il padre...
DIRCEA Mi vuol
morta a momenti.
TIMANTE (volendo snudar la spada)
Infin ch'io vivo...
DIRCEA Signor,
che fai? Sol, contro tanti, in vano
Difendi me: perdi te stesso.
TIMANTE È vero.
Miglior via prenderò.
(volendo partire)
DIRCEA Dove?
TIMANTE A
raccorre quanti amici potrò.
Va pure. al tempio sarò prima di te.
(come sopra)
DIRCEA No.
Pensa... Oh Dio!
TIMANTE Non v'è
più che pensar. La mia pietade
Già diventa furor. Tremi
qualunque
Oppormisi vorrà: se fosse il padre,
Non risparmio delitti. Il
ferro, il fuoco
vuo' che abbatta, consumi
La reggia, il tempio, i sacerdoti, i numi.
(parte)
Scena Sesta
(Dircea, poi Creusa)
DIRCEA Fermati!
Ah! non m'ascolta. Eterni dèi,
Custoditelo voi. S'ei pur si perde,
Chi avrà cura del figlio? In questo stato
Mi mancava il tormento
Di tremar per lo sposo. Avessi almeno
A chi chieder soccorso... Ah,
principessa!
Ah, Creusa, pietà! Non puoi negarla;
La chiede al tuo bel core
Nell'ultime miserie una che
muore.
CREUSA Chi sei?
che brami?
DIRCEA Il caso
mio già noto
pur troppo ti sarà. Dircea
son io;
vado a morir; non ho
delitto. Imploro
Pietà, ma non per me. Salva, proteggi
Il povero Timante. Egli si
perde
Per
desio di salvarmi. In te ritrovi,
Se i prieghi di chi muor vani non sono,
Disperato, assistenza, e, reo, perdono.
CREUSA E tu, a
morir vicina,
Come puoi pensar tanto al suo riposo?
DIRCEA Oh Dio!
più non cercar.
Sarà tuo sposo. Se tutti
i mali miei
Io ti potessi dir,
Divider ti farei
Per tenerezza il cor.
In questo amaro pasto
Sì giusto è il mio martìr,
Che, se tu fossi un sasso,
Ne piangeresti ancor.
(parte fra le guardie ed i ministri,
che la guidano al tempio)
Scena Settima
Creusa e poi Cherinto
CREUSA Che
incanto è la beltà! Se tale
effetto
Fa
costei nel mio cor, degno di scusa
È Timante, che l'ama. Appena il pianto
Io potei trattener. Questi
infelici
s'aman da vero. E la
cagion son io
di sì fiera tragedia? Ah no:
si trovi
Qualche via d'evitarla. Appunto ho d'uopo
Di te, Cherinto.
CHERINTO Il mio
germano esangue
domandar mi vorrai.
CREUSA No:
quella brama
Con l'ira nacque e s'ammorzò con l'ira.
Or desio di salvarlo. Al sagrifizio
Già Dircea s'incammina;
Timante è disperato: i suoi furori
Tu corri a regolar; grazia per lei
Ad implorare io vado.
CHERINTO Oh degna
cura d'un'anima
reale! E chi
potrebbe
non amarti, o Creusa? Ah! se
non fossi
sì tiranna con me...
CREUSA Ma donde
il sai
Ch'io son tiranna? E questo cor diverso
Da quel che tu credesti.
Anch'io... Ma va.
Troppo saper vorresti.
CHERINTO No, non
chiedo, amate stelle,
Se nemiche ancor mi siete:
Non è poco, o luci belle,
Ch'io ne possa dubitar.
Chi non ebbe ore mai liete,
Chi agli affanni ha l'alma avvezza,
Crede acquisto una dubbiezza,
Ch'è principio allo sperar.
(parte)
Scena
Ottava
(Creusa sola)
CREUSA Se
immaginar potessi,
Cherinto, idolo mio, quanto mi costa
Questo finto rigor, che sì t'affanna,
Ah! forse allor non ti parrei tiranna.
È ver che di Timante
Ancor sposa non son: facile è il cambio;
Può dipender da me. Ma, destinata
Al regio erede, ho da servir vassalla
Dove venni a regnar? No, non
consente
che sì debole io sia
Il fasto, la virtù, la gloria mia.
Felice
età dell'oro,
Bella innocenza antica,
Quando al piacer nemica
Non era la virtù!
Dal fasto e dal decoro
Noi ci troviamo oppressi,
E ci formiam noi stessi
La nostra servitù.
(parte)
Scena
Nona
(Atrio
del tempio d'Apollo. Magnifica, ma breve
scala, per cui si ascende al tempio
medesimo,
la
parte interna del quale è tutta scoperta
agli
spettatori, se non quanto ne interrompono
la
vista le colonne che sostengono la gran
tribuna. Veggonsi l'are cadute, il fuoco
estinto,
i
sacri vasi rovesciati, i fiori, le bende,
le
scuri e gli altri stromenti del sagrifizio
sparsi
per
le scale e sul piano; i sacerdoti in fuga,
i
custodi reali inseguiti
dagli
amici di Timante;
e per
tutto confusione e tumulto.
Timante, che, incalzando disperatamente
per
la scala alcune guardie, si perde fra le
scene. Dircea, che, dalla cima della scala
medesima, spaventata lo richiama.
Siegue breve mischia, col vantaggio degli
amici
di Timante; e, dileguati i combattenti,
Dircea, che rivede Timante, corre a
trattenerlo, scendendo dal tempio)
DIRCEA Santi
numi del cielo,
Difendetelo voi! Timante, ascolta;
Timante! ah! per pietà...
TIMANTE (tornando affannato con ispada
alla mano) Vieni,
mia vita,
vieni: sei salva!
DIRCEA Ah, che
facesti!
TIMANTE Io feci
quel che dovea.
DIRCEA Misera
me! Consorte,
Oh Dio! tu sei ferito. Oh Dio! tu sei
Tutto asperso di sangue.
TIMANTE Eh! no,
Dircea, non ti smarrir. Dalle
mie vene uscito questo sangue non è: dal seno
altrui lo
trasse il mio furor.
DIRCEA Ma
guarda...
TIMANTE Ah!
sposa,
non più dubbi: fuggiamo.
(la prende per mano)
DIRCEA E
Olinto? e il figlio?
Dove resta? senz'esso
Vogliam partir?
TIMANTE
Ritornerò per lui
quando in salvo sarai.
(partendo alla sinistra)
DIRCEA Fermati!
Io veggo
Tornar per questa parte
i custodi reali.
TIMANTE È ver;
fuggiamo
(verso la destra)
Dunque per l'altra via. Ma quindi ancora
Stuol d'armati s'avanza.
DIRCEA Aimè!
TIMANTE (guardando intorno)
Gli
amici tutti
m'abbandonar.
DIRCEA Miseri
noi!
Or che farem?
TIMANTE Col
ferro una
via t'aprirò. Sieguimi!
(lascia Dircea, e, colla spada alla
mano, s'incammina alla sinistra)
Scena
Decima
(Demofoonte, dal destro lato, con ispada
alla
mano; guardie per tutte le parti; e
detti)
DEMOFOONTE Indegno!
Non fuggirmi! t'arresta!
TIMANTE Ah!
padre, ah! dove
vieni ancor tu?
DEMOFOONTE Perfido
figlio!
TIMANTE (vede crescere il numero della
guardie, e si pone innanzi alla sposa)
Alcuno
non s'appressi a Dircea!
DIRCEA
Principe, ah! cedi: Pensa a te.
DEMOFOONTE No,
custodi,
Non si stringa il ribelle: al suo
furore si
lasci il fren. Vediamo
fin dove giungerà.
(a Timante)
Via! su!
compisci
L'opera illustre. In
questo petto immergi
quel ferro, o traditor! Tremar
non debbe
Nel trafiggere un padre
Chi fin dentro a' lor tempii insulta i numi.
TIMANTE Oh Dio!
DEMOFOONTE Chi ti
trattien? Forse il vedermi
La destra armata? Ecco
l'acciaro a terra.
Brami di più? Senza difesa io t'offro
Il tuo maggior nemico. Or l'odio ascoso
Puoi soddisfar: puniscimi d'averti
Prodotto al mondo. A
meritar fra gli empi
Il primo onor poco ti manca: ormai
Il più facesti. Altro a compir non resta
Che, del paterno sangue
Fumante ancor, la scellerata mano
Porgere alla tua bella.
TIMANTE Ah!
basta; ah! padre,
Taci, non più! Con quei crudeli accenti
L'anima mi trafiggi.
(s'inginocchia)
Il figlio reo,
il colpevole acciaro Ecco al
tuo piè. Quest'infelice vita
Riprenditi, se vuoi; ma non parlarmi
Mai più così. So ch'io
trascorsi, e sento
Che ardir non ho per domandar mercede;
Ma un tal castigo ogni delitto eccede.
DIRCEA
(Fra sè)
In che stato è per me!
DEMOFOONTE
(Fra sè) S'io
non avessi
Della perfidia sua prove sì grandi,
Mi sedurrebbe. Eh! non s'ascolti.
(A Timante)
A' lacci
quella destra ribelle
Porgi, o fellon.
TIMANTE Custodi,
(s'alza e
va egli stesso a farsi
incatenare)
Dove son le catene?
Ecco la man: non le ricusa il figlio,
Del giusto padre al venerato impero.
DIRCEA
(Fra sè) Pur troppo il mio timor
predisse il vero!
DEMOFOONTE
All'oltraggiato nume
La vittima si renda, e, me presente,
Si sveni, o sacerdoti.
TIMANTE Ah!
ch'io non posso
difenderti, ben mio!
DIRCEA Quante
volte in un dì morir degg'io!
TIMANTE Mio re,
mio genitor...
DEMOFOONTE Lasciami
in pace.
TIMANTE Pietà!
DEMOFOONTE La
chiedi in van.
TIMANTE Ma ch'io
mi vegga
Svenar Dircea su gli occhi,
Non sarà ver. Si
differisca almeno
Il suo morir. Sacri ministri, udite:
Sentimi, o padre. Esser non può Dircea
La vittima richiesta. Il sacrifizio
Sacrilego saria.
DEMOFOONTE Per qual
ragione?
TIMANTE Di': che
domanda il nume?
DEMOFOONTE D'una
vergine il sangue.
TIMANTE E ben
Dircea non
può condursi a morte:
Ella è moglie, ella è madre, è mia
consorte.
DEMOFOONTE Come!
DIRCEA
(Fra sè) Io tremo per lui!
DEMOFOONTE Numi
possenti,
Che ascolto mai! L'incominciato rito
Sospendete, o ministri. Ostia novella
Sceglier convien. Perfido figlio! e queste
Son le belle speranze
Ch'io nutrivo di te? Così
rispetti
le umane leggi e le divine? In
questa guisa
tu sei della vecchiezza mia
Il felice sostegno? Ah!...
DIRCEA Non
sdegnarti,
Signor, con lui: son io la rea; son queste
Infelici sembianze. Io fui, che troppo
Mi studiai di piacergli; io lo sedussi
Con lusinghe ad amarmi; io lo sforzai
Al vietato imeneo con le frequenti
Lagrime insidiose.
TIMANTE Ah! non
è vero:
Non crederle, signor. Diversa affatto
È l'istoria dolente. È colpa mia
La sua condescendenza. Ogni opra, ogni arte
Ho posta in uso. Ella da sé lontano
Mi scacciò mille volte; e mille volte
Feci ritorno a lei. Pregai, promisi,
Costrinsi, minacciai. Ridotto al fine
Mi vide al caso estremo: in faccia a lei
Questa man disperata il ferro strinse,
Volli ferirmi; e la pietà la vinse.
DIRCEA E pur...
DEMOFOONTE Tacete!
(Fra sè)
Un non so che mi serpe
Di tenero nel cor, che in mezzo all'ira,
Vorrebbe indebolirmi. Ah! troppo grandi
Sono i lor falli; e debitor son io
D'un grand'esempio al mondo
Di virtù, di giustizia.
(Forte)
Olà! costoro in carcere distinto
Si serbino al castigo.
TIMANTE Almen
congiunti...
DIRCEA
Congiunti almen nelle sventure estreme...
DEMOFOONTE Sarete,
anime ree, sarete insieme.
Perfidi!
già che in vita
V'accompagnò la sorte,
Perfidi! no, la morte
Non vi scompagnerà.
Unito fu l'errore;
Sarà la pena unita:
Il giusto mio rigore
Non vi distinguerà.
(parte)
Scèna
Undicesima
(Dircea e Timante)
DIRCEA Sposo!
TIMANTE
Consorte!
DIRCEA E tu per
me ti perdi?
TIMANTE E tu
mori per me?
DIRCEA Chi avrà
più cura
del nostro Olinto?
TIMANTE Ah, qual
momento!
DIRCEA Ah
quale... Ma che! Vogliamo, o prence,
Così vilmente indebolirci? Eh! sia
Di noi degno il dolor. Un colpo
solo
Questo nodo crudel divida e franga.
Separiamci da forti, e non si pianga.
TIMANTE Sì,
generosa! approvo
L'intrepido pensier. Più non si sparga
Un sospiro fra noi.
DIRCEA Disposta
io sono.
TIMANTE Risoluto
son io.
DIRCEA
Coraggio!
TIMANTE Addio,
Dircea!
DIRCEA
Principe, addio!
(si dividono con intrepidezza;
ma, giunti alla scena, tornano
a
riguardarsi)
TIMANTE Sposa!
DIRCEA Timante!
A DUE
Oh dèi!
DIRCEA Perché
non parti?
TIMANTE Perché
torni a mirarmi?
DIRCEA Io volli
solo veder
come
resisti a' tuoi martìri.
TIMANTE Ma tu
piangi frattanto!
DIRCEA E tu
sospiri!
TIMANTE Oh Dio!
quanto è diverso
L'immaginar dall'eseguire!
DIRCEA Oh,
quanto
Più forte mi credei! S'asconda almeno
Questa mia debolezza agli occhi tuoi.
TIMANTE Ah!
fermati, ben mio. Senti!
DIRCEA Che
vuoi?
TIMANTE La
destra ti chiedo,
mio dolce sostegno,
Per ultimo pegno d'amore e di fé.
DIRCEA Ah!
questo fu il segno del nostro contento;
Ma sento che adesso l'istesso non è.
TIMANTE Mia
vita, ben mio!
DIRCEA Addio,
sposo amato.
A DUE Che
barbaro addio!
Che fato crudel!
Che attendono i rei
Dagli astri funesti,
Se i premi son questi
D'un'alma fedel?
(partono, condotti separatamente
dalle guardie in carceri distinte)
ATTO
TERZO
Scèna
Prima
(Cortile interno
del carcere, in cui è
custodito Timante.
Timante e Adrasto)
TIMANTE Taci!
E
speri ch'io voglia,
Quando muore Dircea, serbarmi in vita,
Stringendo un'altra sposa? E con qual fronte
Sì vil consiglio osi propor?
ADRASTO
L'istessa
Tua Dircea lo propone. Ella ti parla
Così per bocca mia. Dice che è questo
L'ultimo don che ti domanda.
TIMANTE Appunto
Perch'ella il vuol, non deggio farlo.
ADRASTO E
pure...
TIMANTE Basta
così!
ADRASTO Pensa,
signor...
TIMANTE Non
voglio,
Adrasto, altri consigli.
ADRASTO Io per
salvarti
pietoso m'affatico...
TIMANTE Chi di
viver mi parla, è mio nemico.
ADRASTO Non odi
consiglio?
Soccorso non vuoi?
È giusto se poi
non trovi pietà.
Chi vede il periglio, né cerca salvarsi,
Ragion di lagnarsi
del fato non ha.
(parte)
Scèna Seconda
(Timante e poi Cherinto)
TIMANTE Perché
bramar la vita? e quale in lei
Piacer si trova? Ogni
fortuna è pena;
È miseria ogni età. Tremiam, fanciulli,
D'un guardo al minacciar; siam
giuoco, adulti,
Di Fortuna e d'Amor; gemiam,
canuti,
Sotto il peso degli anni. Or ne
tormenta
La brama d'ottenere; or ne trafigge
Di perdere il timor. Eterna guerra
Hanno i rei con se stessi; i giusti l'hanno
Con l'invidia e la frode. Ombre, deliri,
Sogni, follie son nostre cure; e quando
Il vergognoso errore
A scoprir s'incomincia, allor si muore.
Ah! si mora una volta...
CHERINTO Amato
prence,
vieni al mio sen.
(l'abbraccia)
TIMANTE Così
sereno in volto
Mi dài gli estremi amplessi? E queste sono
Le lagrime fraterne
Dovute al mio morir?
CHERINTO Che
amplessi estremi?
Che lagrime? che morte? Il più felice
Tu sei d'ogni mortal. Placato
il padre
È già con te; tutto obbliò. Ti rende
La tenerezza sua, la sposa, il figlio,
La libertà, la vita.
TIMANTE A poco a
poco,
Cherinto, per pietà! Troppe son queste,
Troppe gioie in un punto. Io verrei meno
Già di piacer, se ti credessi appieno.
CHERINTO Non
dubitar, Timante.
TIMANTE E come
il padre
Cambiò pensier? Quando partì dal tempio,
Me con Dircea voleva estinto.
CHERINTO Il disse
E l'eseguia; che inutilmente ognuno
S'affannò per placarlo. Io cominciavo,
Principe, a disperar, quando comparve
Creusa in tuo soccorso.
TIMANTE In mio
soccorso
Creusa, che oltraggiai?
CHERINTO Creusa.
Ah! Tutti
di quell'anima bella
Tu non conosci i pregi. E che non disse,
Che non fe' per salvarti? I merti tuoi
Come ingrandì! Come scemò l'orrore
Del fallo tuo! Per
quante strade e quante
Il cor gli ricercò! Parlar per voi
Fece l'utile, il giusto,
La gloria, la pietà. Se stessa offesa
Gli propose in esempio,
E lo fece arrossir. Quand'io m'avvidi
Che il genitor già vacillava, allora
Volo (il Ciel m'inspirò), cerco Dircea:
Con Olinto la trovo. Entrambi appresso
Frettoloso mi traggo; e al regio ciglio
Presento in quello stato e madre e figlio.
Questo tenero assalto
Terminò la vittoria. O sia che l'ira
Per soverchio avvampar fosse già stanca,
O che allor tutte in lui
Le sue ragioni esercitasse il sangue,
Il re cedé, si raddolcì, dal suolo
La nuora sollevò, si strinse al petto
L'innocente bambin, gli sdegni suoi
Calmò, s'intenerì, pianse con noi.
TIMANTE Oh mio
dolce germano!
Oh caro padre mio! Cherinto, andiamo,
Andiamo a lui!
CHERINTO No: il
fortunato avviso
Recarti ei vuol. Si sdegnerà, se vede
Ch'io lo prevenni.
TIMANTE E tanto
amore, e tanta
Tenerezza ha per me, che fino ad ora
La meritai sì poco? Oh, come chiari
La sua bontà rende i miei falli! Adesso
Li veggo, e n'ho rossor. Potessi almeno
Di lui col re di Frigia
Disimpegnar la fé. Cherinto, ah! salva
L'onor suo, tu che puoi. La man
di sposo
Offri a Creusa in vece mia. Difendi
Da una pena infinita
Gli ultimi dì della paterna vita.
CHERINTO Che mi
proponi, o prence! Ah! per
Creusa,
Sappilo al fin, non ho riposo; io l'amo
Quanto amar si può mai. Ma...
TIMANTE Che?
CHERINTO Non
spero
Ch'ella m'accetti. Al successor reale
Sai che fu destinata: io non son tale.
TIMANTE Altro
inciampo non v'è?
CHERINTO Grande
abbastanza
questo mi par.
TIMANTE Va; la
paterna fede
Disimpegna, o german: tu sei l'erede.
CHERINTO Io?
TIMANTE Sì. Già
lo saresti,
s'io non vivea per te. Ti
rendo, o prence,
parte sol del tuo dono,
Quando ti cedo ogni ragione al trono.
CHERINTO E il
genitore...
TIMANTE E il
genitore almeno
Non vedremo arrossir. Povero padre!
Posso far men per lui? Che cosa è un regno
A paragon di tanti
Beni ch'egli mi rende?
CHERINTO Ah!
perde assai
chi lascia una corona.
TIMANTE Sempre è
più quel che resta a chi la dona.
CHERINTO Nel tuo
dono io veggo assai
Che del don maggior tu sei:
Nessun trono invidierei
Come invidio il tuo gran cor.
Mille moti in un momento
Tu mi fai svegliar nel petto,
Di vergogna, di rispetto,
Di contento e di stupor.
(parte)
Scèna
Terza
(Timante e poi Matusio
con
un foglio in mano)
TIMANTE Oh
figlio! oh sposa! oh care
Parti dell'alma mia! dunque fra poco
V'abbraccerò sicuro? È dunque vero
Che fino all'ore estreme,
Senza più palpitar, vivremo insieme?
Numi, che gioia è questa! A prova
io sento
Che ha più forza un piacer d'ogni tormento.
MATUSIO Prence!
signor!
TIMANTE Sei tu,
Matusio? Ah!
scusa
Se in vano al mar tu m'attendesti.
MATUSIO Assai
Ti scusa il luogo in cui ti trovo.
TIMANTE E come
potesti mai qui penetrar?
MATUSIO Cherinto
m'agevolò l'ingresso.
TIMANTE Ei
t'avrà dette
le mie felicità.
MATUSIO No:
frettoloso
non so dove correa.
TIMANTE Gran
cose, amico,
Gran cose ti dirò.
MATUSIO Forse
più grandi
da me ne ascolterai.
TIMANTE Sappi
che in terra
Il più lieto or son io.
MATUSIO Sappi
che or ora
scopersi un gran segreto.
TIMANTE E quale?
MATUSIO Ascolta:
Se la novella è strana.
Dircea non è mia figlia: è tua germana.
TIMANTE Mia
germana Dircea!
(turbato)
Eh! tu scherzi con me.
MATUSIO Non
scherzo, o prence.
La cuna, il sangue, il genitor, la madre
Hai comuni con lei.
TIMANTE Taci!
Che dici?
(Fra sè)
Ah, nol permetta il Ciel!
MATUSIO Fede
sicura questo foglio ne fa.
TIMANTE (con impazienza)
Che foglio è quello?
Porgilo a me.
MATUSIO Sentimi
pria. Morendo,
Chiuso mel diè la mia consorte; e volle
Giuramento da me che, tolto il caso
Che a Dircea sovrastasse alcun periglio,
Aperto non l'avrei.
TIMANTE
Quand'ella adunque
Oggi dal re fu destinata a morte,
Perché non lo facesti?
MATUSIO Eran
tant'anni
Scorsi di già, ch'io l'obbliai.
TIMANTE Ma come
or ti sovvien?
MATUSIO Quando a
fuggir m'accinsi,
Fra le cose più care
Il ritrovai, che trassi meco al mare.
TIMANTE (con impazienza) Lascia
al fin ch'io lo vegga.
MATUSIO Aspetta.
TIMANTE Oh
stelle!
MATUSIO Rammenti
già che alla real tua madre
Fu amica sì fedel la mia consorte,
Che in vita l'adorò, seguilla in morte?
TIMANTE Lo so.
MATUSIO Questo
ravvisi
reale impronto?
TIMANTE Sì.
MATUSIO Vedi
ch'è il foglio
Di propria man della regina impresso?
TIMANTE (con impazienza) Sì; non
straziarmi più.
MATUSIO (gli porge il foglio)
Leggilo adesso.
TIMANTE (Fra sè)
Mi trema il cor.
(legge) ‘
“Non di
Matusio è figlia,
Ma del tronco reale
Germe è Dircea. Demofoonte è il padre;
Nacque da me. Come cambiò fortuna
Altro foglio dirà. Quello si cerchi
Nel domestico tempio, a piè del nume,
Là dove altri non osa
Accostarsi che il re. Prova sicura
Eccone intanto: una regina il giura.
Argia.”
MATUSIO Tu
tremi, o prence!
Questo è più che stupor. Perché ti copri
Di pallor sì funesto?
TIMANTE
(Fra sè)
Onnipotenti dèi, che
colpo è questo!
MATUSIO Narrami
adesso almeno
le tue felicità.
TIMANTE Matusio,
ah! parti.
MATUSIO Ma che
t'affligge! Una
germana acquisti,
Ed è questa per te cagion di duolo?
TIMANTE
Lasciami, per pietà! lasciami solo!
(si getta a sedere)
MATUSIO Quanto
le menti umane
Son mai varie fra lor! Lo stesso evento
A chi reca diletto, a chi tormento.
Anche né
mal verace,
Né vero ben si dà:
Prendono qualità
Da' nostri affetti.
Secondo in guerra o in pace
Trovano il nostro cor,
Cambiano di color
Tutti gli oggetti.
(parte)
Scèna Quarta
(Timante solo)
TIMANTE Misero
me! Qual gelido torrente
Mi ruina sul cor! Qual nero aspetto
Prende la sorte mia! Tante sventure
Comprendo al fin.
Perseguitava il Cielo
Un vietato imeneo. Le chiome in fronte
Mi sento sollevar. Suocero e padre
M'è dunque il re? figlio e nipote Olinto?
Dircea moglie e germana? Ah, qual funesta
Confusion d'opposti nomi è questa!
Fuggi, fuggi, Timante! Agli
occhi altrui
Non esporti mai più. Ciascuno a dito
Ti mostrerà. Del genitor cadente
Tu sarai la vergogna; e quanto, oh Dio,
Si parlerà di te! Tracia
infelice,
ecco l'Edipo tuo. D'Argo e
di Tebe
Le Furie in me tu rinnovar vedrai.
Ah, non t'avessi mai
Conosciuta, Dircea! Moti del
sangue
Eran quei ch'io credevo
Violenze d'amor. Che infausto giorno
Fu quel che pria ti vidi! I nostri
affetti
che orribili memorie
Saran per noi! Che
mostruoso oggetto
A me stesso io divengo! Odio la luce;
Ogni aura mi spaventa; al piè tremante
Parmi che manchi il suol; strider mi sento
Cento folgori intorno; e leggo,
oh Dio!
Scolpito in ogni sasso il fallo mio.
Scèna Quinta
(Creusa,
Demofoonte, Adrasto con
Olinto per mano, e Dircea, l'un dopo
l'altro, da
parti opposte, e detto)
CREUSA Timante!
TIMANTE Ah!
principessa; ah! perché mai
Morir non mi lasciasti?
DEMOFOONTE Amato
figlio!
TIMANTE Ah! no,
con questo nome
Non chiamarmi mai più.
CREUSA Forse
non sai...
TIMANTE Troppo,
troppo ho saputo!
DEMOFOONTE Un caro
amplesso,
Pegno del mio perdon... Come!
t'involi
Dalle paterne braccia?
TIMANTE Ardir
non ho di rimirarti in faccia.
CREUSA Ma
perché?
DEMOFOONTE Ma che
avvenne?
ADRASTO Ecco il
tuo figlio:
consolati, signor.
TIMANTE Dagli
occhi, Adrasto,
toglimi quel bambin.
DIRCEA Sposo
adorato!
TIMANTE Parti,
parti, Dircea!
DIRCEA Da te mi
scacci in
dì così giocondo?
TIMANTE Dove,
misero me! dove
m'ascondo?
DIRCEA Ferma!
DEMOFOONTE Senti!
CREUSA
T'arresta!
TIMANTE Ah! voi
credete
Consolarmi, crudeli, e m'uccidete.
DEMOFOONTE Ma da
chi fuggi?
TIMANTE Io fuggo dagli
uomini, dai numi,
Da voi tutti e da me.
DIRCEA Ma dove
andrai?
TIMANTE Ove non
splenda il sole,
Ove non sian viventi, ove sepolta
La memoria di me sempre rimanga.
DEMOFOONTE E il
padre?
ADRASTO E il
figlio?
DIRCEA E la tua
sposa?
TIMANTE Oh Dio!
Non parlate così. Padre, consorte,
Figlio, german son dolci nomi agli altri;
Ma per me sono orrori.
CREUSA E la
cagione?
TIMANTE Non
curate saperla:
Scordatevi di me.
DIRCEA Deh! per
quei primi
Fortunati momenti in cui ti piacqui...
TIMANTE Taci,
Dircea.
DIRCEA Per que'
soavi nodi...
TIMANTE Ma taci,
per pietà! Tu mi trafiggi
L'anima, e non lo sai.
DIRCEA Già che
si poco
Curi la sposa, almen ti muova il figlio.
Guardalo: è quell'istesso
Che altre volte ti mosse;
Guardalo: è sangue tuo.
TIMANTE Così nol
fosse!
DIRCEA Ma in
che peccò? perché
lo sdegni? a lui
Perché nieghi uno sguardo? Osserva,
osserva
Le pargolette palme
Come solleva a te: quanto vuol dirti
Con quel riso innocente!
TIMANTE Ah! se
sapessi,
Infelice bambin, quel che saprai
Per tua vergogna un giorno,
Lieto così non mi verresti intorno.
Misero
pargoletto,
Il tuo destin non sai.
Ah! non gli dite mai
Qual era il genitor.
Come in un punto, oh Dio,
Tutto cambiò d'aspetto!
Voi foste il mio diletto,
Voi siete il mio terror.
(parte)
Scèna Sesta
(Demofoonte, Dircea, Creusa, Adrasto, e
Olinto)
DEMOFOONTE
Sieguilo, Adrasto.
(Adrasto
parte, dopo aver consegnato
Olinto
ad un servo, che lo conduce
fuori di scena)
Ah! chi di voi mi spiega
Se il mio Timante è disperato o stolto?
Ma voi smarrite in volto:
Mi guardate e tacete! Almen sapessi
Qual ruina sovrasta,
Qual riparo apprestar. Numi del Cielo,
Datemi voi consiglio;
Fate almen ch'io conosca il mio periglio.
Odo il
suono de' queruli accenti,
Veggo il fumo che intorbida il giorno,
Strider sento le fiamme d'intorno,
Né comprendo l'incendio dov'è.
La mia tema fa il dubbio maggiore,
Nel mio dubbio s'accresce il timore,
Tal ch'io perdo per troppo spavento
Qualche scampo che
v'era per me.
(parte)
Scèna Settima
(Dircea e Creusa)
CREUSA E tu,
Dircea, che fai? Di te si
tratta;
Si tratta del tuo sposo. Appresso a lui
Corri, cerca saper... Ma tu non m'odi?
Tu le attonite luci
Non sollevi dal suol? Dal tuo letargo
Svegliati al fin. Sempre il peggior
consiglio È il non
prenderne alcun. Se altro non sai
Sfoga il duol che nascondi;
Piangi, lagnati almen, parla, rispondi!
DIRCEA Che mai
risponderti,
Che dir potrei?
Vorrei difendermi,
Fuggir vorrei;
Né so qual fulmine
mi fa tremar.
Divenni stupida
Nel colpo atroce;
Non ho più lagrime,
non ho più voce;
Non posso piangere,
Non so parlar.
(parte)
Scèna Ottava
(Creusa sola)
CREUSA Qual
terra è questa! Io perché venni a parte
Delle miserie altrui? Quante
in un giorno,
Quante il caso ne aduna! Ire crudeli
Tra figlio e genitor, vittime umane,
Contaminati tempii,
Infelici imenei. Mancava solo
Che tremar si dovesse
Senza saper perché. Ma troppo, o sorte,
È violento il tuo furor: conviene
Che passi o scemi. In così rea fortuna
Parte è di speme il non averne alcuna.
Non dura
una sventura
Quando a tal segno avanza:
Principio è di speranza
L'eccesso del timor.
Tutto si muta in breve;
E il nostro stato è tale,
Che, se mutar si deve,
Sempre sarà miglior.
(parte)
Scèna Nona
(Luogo
magnifico nella reggia,
festivamente adornato per le nozze
di Creusa. Timante e Cherinto)
TIMANTE Dove,
crudel! dove mi guidi? Ah! queste
Liete pompe festive
Son pene a un disperato.
CHERINTO Io non
conosco
Più il mio german. Che debolezza è questa
Troppo indegna di te? Senza saperlo,
Errasti al fin. Sei sventurato, è vero,
Ma non sei reo. Qualunque male è lieve,
Dove colpa non è.
TIMANTE
Dall'opre il mondo
Regola i suoi giudizi; e la ragione,
Quando l'opra condanna, indarno assolve.
Son reo pur troppo; e se fin or nol fui,
Lo divengo vivendo. Io non
mi posso
dimenticar Dircea. Sento
che l'amo; so che non deggio. In così
brevi istanti
Come franger quel nodo,
Che un vero amor, che un imeneo,
che un
figlio strinser
così? che le
sventure istesse
Resero più tenace? e tanta fede?
E sì dolci memorie?
E sì lungo costume? Oh Dio! Cherinto,
Lasciami per pietà! Lascia ch'io mora,
Finché sono innocente.
Scèna Decima
(Adrasto e poi Matusio, indi
Dircea con
Olinto; e
detti)
ADRASTO Il re
per tutto
Ti ricerca, o Timante. Or con Matusio
Dal domestico tempio uscir lo vidi.
Ambo son lieti in volto,
Né chiedon che di te.
TIMANTE Fuggasi:
io temo
Troppo l'incontro del paterno ciglio.
MATUSIO (abbracciandolo) Figlio
mio! caro figlio!
TIMANTE A me tal
nome!
Come? perché?
MATUSIO Perché
mio figlio sei, perché
son padre tuo.
TIMANTE Tu
sogni... Oh stelle!
Torna Dircea!
DIRCEA No, non
fuggirmi, o sposo;
Tua germana io non son.
TIMANTE Voi
m'ingannate
Per rimettere in calma il mio pensiero.
Scèna Undicesima
(Demofoonte con séguito, e detti)
DEMOFOONTE Non
t'ingannan, Timante: è vero, è vero.
TIMANTE Se mi
tradiste adesso, sarebbe crudeltà.
DEMOFOONTE Ti
rassicura;
No, mio figlio non sei. Tu con Dircea
Fosti cambiato in fasce. lla è
mia prole,
tu di Matusio. Alla di
lui consorte
La mia ti chiese in dono. Utile al regno
Il cambio allor credé; ma, quando poi
Nacque Cherinto, al
proprio figlio il trono
D'aver tolto s'avvide, e a me l'arcano
Non ardì palesar, che
troppo amante
Già di te mi conobbe. All'ore
estreme
Ridotta al fin, tutto in
due fogli il caso
Scritto lasciò. L'un diè all'amica, e quello
Matusio ti mostrò: l'altro nascose,
Ed è questo che vedi.
TIMANTE E perché
tutto nel
primo non spiegò?
DEMOFOONTE Solo a
Dircea
Lasciò in quello una prova
Del regio suo natal. Bastò per questo
Giurar ch'era sua figlia. Il gran segreto
Della vera tua sorte era un arcano
Da non fidar che a me, perch'io potessi,
A seconda de' casi,
Palesarlo o tacerlo. A tale oggetto
Celò quest'altro foglio in parte solo
Accessibile a me.
TIMANTE Sì
strani eventi
mi fanno dubitar.
DEMOFOONTE Troppo
son certe
Le prove, i segni. Eccoti il foglio, in cui
Di quanto ti narrai la serie è accolta.
TIMANTE
Non
deludermi, o sorte, un'altra volta.
(prende il foglio e legge fra sé)
Scèna Ultima
(Creusa e detti)
CREUSA Signor,
veraci sono
Le felici novelle, onde la reggia
Tutta si riempì?
DEMOFOONTE Sì,
principessa,
Ecco lo sposo tuo. L'erede, il figlio
Io ti promisi; ed in Cherinto io t'offro
Ed il figlio e l'erede.
CHERINTO Il
cambio forse
spiace a Creusa.
CREUSA A quel
che il Ciel destina
In van farei riparo.
CHERINTO Ancora
non vuoi dir ch'io ti son caro?
CREUSA L'opra
stessa il dirà.
TIMANTE Dunque
son io quell'innocente
usurpator di cui
l'oracolo parlò?
DEMOFOONTE Sì. Vedi
come
Ogni nube sparì. Libero è il regno
Dall'annuo sagrificio. Al vero erede
La corona ritorna. Io le promesse
Mantengo al re di Frigia,
Senza usar crudeltà. Cherinto acquista
La sua Creusa; ella uno scettro. Abbracci
Sicuro tu la tua Dircea. Non resta
Una cagion di duolo;
E scioglie tanti nodi un foglio solo.
TIMANTE Oh caro
foglio! oh me felice! Oh numi!
Da qual orrido peso
Mi sento alleggerir! Figlio, consorte,
Tornate a questo sen: posso abbracciarvi
Senza tremar.
DIRCEA Che
fortunato istante!
CREUSA Che
teneri trasporti!
TIMANTE (s'inginocchia)
A' piedi tuoi
eccomi un'altra volta,
Mio giustissimo re. Scusa gli eccessi
D'un disperato amor. Sarò, lo giuro,
Sarò miglior vassallo
Che figlio non ti fui.
DEMOFOONTE Sorgi.
Tu sei
Mio figlio ancor. Chiamami padre: io voglio
Esserlo fin che vivo. Era fin ora
Obbligo il nostro amor; ma quindi innanzi
Elezion sarà: nodo più forte,
Fabbricato da noi, non dalla sorte.
CORO Par
maggiore ogni diletto,
Se in un'anima si spande
Quand'oppressa è dal timor.
Qual piacer sarà perfetto,
Se convien, per esser grande,
Che cominci dal dolor?
Licenza
Che le
sventure, i falli,
Le crudeltà, le violenze altrui
Servano in dì sì grande
Di spettacol festivo agli occhi tui,
Non è strano, o Signor. Gli
opposti oggetti
Rende più chiari il paragon. Distingue
Meglio ciascun di noi
Nel mal, che gli altri oppresse, il ben
ch'ei gode: E il ben, che noi godiam, tutto è tua lode.
A morte una innocente
Mandi il Trace inumano; ognun ripensa
Alla giustizia tua. Frema e
s'irrìti
De' miseri al pregar; rammenta ognuno
La tua pietà. Barbaro sia col figlio;
Ciascun qual sei conosce
Tenero padre a noi. Qualunque eccesso
Rappresentin le scene, in te ne scopre
La contraria virtù. L'ombra
in tal guisa
Ingegnoso pennello al chiaro alterna:
Così artefice industre,
Qualor lucida gemma in oro accoglie,
Fosco color le sottopone; e quella,
Presso al contrario suo, splende più bella.
Aspira a
facil vanto
Chi l'ombre, onde maggior
Si renda il tuo splendor,
Trovar desia.
Luce l'antica età
Chiara così non ha,
Che alla tua luce accanto,
Ombra non sia.
|
ACTO
PRIMERO
Escena
Primera
(Palacio de Demofonte en Tracia.
Jardines colgantes, que
corresponden
a los
distintos ambientes
del palacio
de
Demofonte. Dircea
y
Matusio)
DIRCEA
Créeme
padre,
tu
excesivo cariño
seguro nos traerá un nuevo mal.
El
solicitar que sólo mi nombre
sea excluido de la
fatal urna,
es dejar al descubierto la arbitrariedad
del rey.
MATUSIO
¿Y te
parece poco? ¿Quizás,
porque súbdito nací,
soy menos padre que el rey?
El mandato de Apolo impone
que la sangre de una
virgen
se derrame cada
año sobre su altar.
¡Y
no
excluye
a las vírgenes
reales! Él,
que se
presenta
como el rígido custodio
de la ley divina,
a los otros
enseñe
con su
ejemplo. Que
mande
llamar
a sus reales hijas
para que sus
nombres también
baraje el azar.
Que al
agitarse la urna
sienta, como todo padre
infeliz, cómo palpita su corazón;
cómo se tiembla cuando a la temida urna el sacerdote acerca
su
mano
y,
cómo el semblante se muestra
afligido cuando éste se apresta a
pronunciar el nombre de la víctima.
¿No
se ruboriza
al
desempeñar
siempre
el papel
de
espectador de las miserias ajenas? DIRCEA
Pero
tú sabes que un
soberano
no
está
subordinado
a
la ley.
MATUSIO Las leyes humanas
puede,
pero
no las divinas.
DIRCEA
Pero a él le corresponde
interpretarlas.
MATUSIO No,
cuando
hablan claro los dioses. DIRCEA
Nunca
una señal clara...
MATUSIO
¡Basta ya,
Dircea,
estoy decidido! DIRCEA
¡Ah,
piénsalo
bien,
padre! La
ira que se enciende en
los poderosos, tarda en
extinguirse. Es
una empresa temeraria
irritar
a
quien ostenta el poder.
Ya el
rey te mira
con recelo. ¡Ah!
¿Que puede pasar si añade una renovada ira a su
antiguo odio?
MATUSIO
En vano me recuerdas su
odio y su
ira. La
razón está de mi lado
y
el cielo me inspira.
No quiero
seguir
temblando entre
tantos y tantos
problemas.
Aunque me
presione el
trono,
ha de
temblar conmigo.
Ambos
somos padres amantes y
el cariño paternal habla
igualmente en el pecho
del
súbdito y del rey.
(sale) Escena
Segunda
(Dircea
y luego
Timante) DIRCEA
Si mi
príncipe, al menos,
no estuviese
tan lejos de aquí...
¡Oh
cielos, qué veo,
ahí
viene!
TIMANTE
¡Dulce
esposa!...
DIRCEA
¡Ah,
calla,
podría
escucharte
alguien! Recuerda,
querido, que
mi vida corre peligro
al haberme desposado en secreto
con el hijo del rey.
TIMANTE
No temas,
mi esperanza.
Nadie
nos escucha. Yo te
defiendo. DIRCEA
¿Y qué
dios propicio te
envía a mí?
TIMANTE
Mi padre ha ordenado
mi regreso
del campo
de batalla.
Desconozco el motivo.
Pero,
dime
vida
mía, ¿Me amas?
¿Piensas
en
mí? DIRCEA
Pero, ¿cómo
lo preguntas? ¿Lo dudas
acaso?
TIMANTE
¡Oh,
dioses!
No lo dudo,
mi amor:
Sé que me
amas, pero
de esos dulces labios mucho,
mucho me complace
escucharlo. Y
el pequeño Olinto,
la
querida
prenda de
nuestro amor,
¿que
hace? ¿crece
cada día más bello? ¿A quién
de nosotros se asemeja? DIRCEA
Ya
comienza,
con su
tierno pie,
a marcar
inciertas huellas.
En su rostro tiene grabado
el
dulce orgullo que tanto me gusta de ti.
Cuando se ríe, parece
tu propia imagen. Al
mirarlo, me parece
estar
mirándote.
¡Oh,
cuántas veces, confiada
en el error de mis ojos, lo he
estrechado contra mi pecho, creyendo que el
hijo era el padre!
TIMANTE
¡Ah!
¿Dónde está?
Amada esposa,
¡llévame hasta él!
DIRCEA
Refrena,
señor,
por el momento,
el
impetuoso afecto.
Él vive protegido en un
oculto lugar; ir
hasta allí no siempre
es seguro. ¡Oh,
cuánto dolor nos
cuesta nuestro secreto!
TIMANTE
Estoy cansado de seguir fingiendo, de estar
siempre temblando.
Quiero
buscar hoy una manera
de salir
de tanta aflicción.
DIRCEA
Hoy nos invade
otra
angustia mayor. Es el día
del sacrificio anual.
El rey lo ha proclamado. Mi nombre
será sometido a la
suerte.
El rey
se opone mi
padre; y
de este enfrentamiento temo más que de todo el
resto.
TIMANTE
¿Tal vez mi padre ya
sepa que eres mi esposa? DIRCEA
¡Que el cielo no lo quiera
así! No podría
seguir viviendo.
TIMANTE
Escúchame.
Propondré que
de nuevo
se
consulte al oráculo. Ganemos tiempo
para pensar. DIRCEA
Eso
ya
le ha sido propuesto.
TIMANTE
¿Y qué respondió? DIRCEA
Oscura
y breve fue la respuesta.
“El cielo
aplacará su ira hacia vosotros cuando compruebe que un
inocente usurpador se ha sentado en el trono”.
TIMANTE
¿Qué
misteriosas
palabras? DIRCEA
Y si de
la urna surge
mi nombre,
¿qué
haré? La muerte
no me asusta.
Dircea
sabría morir por su
patria,
pero
Febo reclama la sangre de una virgen.
¡Y
yo soy esposa y madre! ¿Cómo
podría acercarme al altar? Hable o
calle, soy culpable. Si callo,
ofendo al cielo;
si hablo,
ofendo al
rey.
TIMANTE
Esposa mía , ante los
grandes peligros se necesita coraje.
Al rey conviene revelarle el secreto. DIRCEA
¿Y la ley
fatal que
me condena
a morir?
TIMANTE
Un rey la
escribió,
un rey puede revocarla.
Aunque
severo,
Demofonte es padre,
y yo su
hijo. La fuerza
de
estos nombres, (padre e hijo) yo
y tú
la conocemos
bién.
No me
presento sin
ningún mérito ante él. La tierra
de los escitas conquistada
y
los
fasios esclavizados son
mis
logros.
Es justo que mi
padre
haga
algo por mí.
Si
eso no
fuera
suficiente,
sabré ante
él,
llorando, suplicar
abrazado
a
sus pies,
pedir
clemencia.
DIRCEA
¡Qué duda!...
¡Oh,
dioses!
TIMANTE
No lo dudes,
Dircea.
Deja en mis manos
el
cuidado de tu
destino. ¡Ve!
Que quede grabado en tu alma
que pienso en ti,
corazón mío,
más que
en mí mismo. DIRCEA
Confío en ti,
¡oh,
amado esposo!
pongo en tus manos mi destino, y por ti,
sea cual fuere, siempre
me será apreciado.
Pero
si llegara la hora de mi muerte,
que no me
sea negado
el placer de
proclamar
que soy tuya, así la muerte me será
placentera. (Sale)
Escena
Tercera
(Timante,
Demofonte
con séquito;
luego
Adrasto)
TIMANTE
¿Estás acaso
ciego, oh destino? A
mi
esposa,
generosamente le concedes belleza,
virtud
casi divina,
y luego
la haces nacer plebeya.
¡Un error
tan grande yo
corregiré!
Junto a
mi, en el trono, algún día
la adorará toda Tracia.
Pero
aquí viene mi noble padre.
Descubramos
mi
secreto ante él.
DEMOFONTE
¡Príncipe,
hijo!
TIMANTE
¡Padre,
señor!
(se arrodilla
y le besa la mano)
DEMOFONTE
Levántate.
TIMANTE
Aquí estoy para seguir
tus mandatos
reales.
DEMOFONTE
Sé que
no es grato a
tu espíritu guerrero
el
pacífico palacio; y
mis órdenes, que
te alejan de las armas, quizás te
fastidian.
Tus
triunfos
y conquistas ¡oh,
príncipe!
siempre me son gratos;
pero tú eres
más
querido para mí que
todos ellos. Tu
esfuerzo ahora
necesita descanso. El valor
es hijo del reposo. Si
el arco
siempre
se mantiene
tenso,
finalmente se vuelve
inútil para
disparar la flecha. Los méritos son tuyos, la
recompensa es mía.
Si el príncipe, el
hijo, dignamente
ejecutó su parte,
ya es
hora que el padre, el rey, ejecute también la
suya.
TIMANTE
(Para sí)
Apropiado
es el momento; ¡valor!
(En voz alta)
Conozco tanto el buen corazón de mi amado padre
que...
DEMOFONTE
No,
no puedes conocerlo lo
suficiente. Yo pienso,
¡oh,
hijo mío!
en ti más de lo que tú
crees. Leo en tu
alma, y
lo que tú callas,
lo sé
Con una
esposa a tu lado, quisieras
que
te viera
el reino.
Dime,
no es verdad? ¿
TIMANTE
(Para sí)
¡Ha
descubierto
el vínculo
que me
une a Dircea!
DEMOFONTE
¿No
osas hablar?
Tu respetuoso silencio a complacerte
me persuade.
Lo
confieso, dudé sobre la elección; en principio me disgustaba. Consentir
el casamiento me
parecía una vileza.
El
odio
del padre
me hace
aborrecer a la hija.
Finalmente
prevaleció
el deseo
de verte feliz,
¡oh,
príncipe!
TIMANTE
(Para sí)
Es en vano dudar.
DEMOFONTE
Comparado con eso, todo es
fácil.
TIMANTE
Padre
amado,
nueva vida me das.
Vuelo
junto a mi esposa, para
traerla a tus pies.
DEMOFONTE
¡Detente!
Cherinto, tu hermano menor,
la traerá
aquí.
TIMANTE
¡Qué inesperada
felicidad!
DEMOFONTE
Ya, por orden mía, hay gente en el puerto esperando su
llegada.
TIMANTE
¿En el puerto?
DEMOFONTE
Nada más
vean aparecer la ansiada nave, seremos
avisados.
TIMANTE
¿Qué
nave?
DEMOFONTE
La que conduce a la noble
Creusa para su
boda contigo.
TIMANTE
(Para sí)
¡Oh,
dioses!
DEMOFONTE
¿Te parece
extraño?, lo sé. El
desprecio
de nuestros antepasados,
no permitían
esperar
una boda como
ésta;
pero en su
dote
ella te
aportará un reino. Es la única hija de
ese
decadente rey.
TIMANTE
Señor...
yo
creía...
(Para sí)
¡Qué
error fatal!
DEMOFONTE
Es la mejor esposa que he podido encontrar
que no sea una plebeya.
TIMANTE
¿Que sea
plebeya
o
noble, a quién
le importa,
padre?
DEMOFONTE
¡Ah,
no,
se avergonzarían hasta las sombras
de nuestros
antepasados!
Es
de ellos la ley que condena a muerte a la mujer
plebeya
que se una
al
heredero
Mientras yo viva, seré el más severo ejecutor
de esa ley.
TIMANTE
Pero esa ley...
ADRASTO
¡Señor, ha llegado al
puerto la nave
frigia!
DEMOFONTE
¡Corre a
recibir a tu prometida,
Timante!
(Adrasto se
retira)
TIMANTE
¿Yo?
DEMOFONTE
Sí.
Quisiera acompañarte,
pero un
funesto deber me reclama en el
templo.
TIMANTE
¡Detente! Oye, Señor…
DEMOFONTE
Habla,
¿qué deseas?
TIMANTE
Confesarte...
(Para sí)
¿Qué
hago?
(En voz alta)
Pedirte...
(Para sí)
¡Oh,
dioses, qué
angustia!
(En voz alta)
El
sacrificio, oh padre...
la ley...
la
esposa...
(Para sí)
¡Oh,
ley! ¡Oh,
esposa!
¡Oh,
sacrificio!
¡Oh,
destino!
DEMOFONTE
Príncipe, no hay
lugar
para el
arrepentimiento.
Está acordada la boda.
Lo he
prometido.
Cumplir con su palabra es
la
obligación de aquél que reina
Además, la necesidad nos apremia.
Por ella,
armado
duerme el guerrero; por ella,
entre las olas
canta
el timonel; por ella,
la muerte no causa terror.
En
definitiva,
las más tímidas bestias
en fuga
demuestran valor y se vuelven audaces cuando
la necesidad las obliga a
luchar.
(Sale)
Escena
Cuarta
(Timante a solas)
TIMANTE
Pero
¿en
qué
os ha
ofendido
¡oh,
dioses! la pobre
Dircea, para que tanta
desventura
lancéis contra de
ella?
Vosotros que
inspirásteis
los
castos afectos
en
nuestras almas;
y
presenciásteis nuestro honesto
himeneo, ¡defendedlo,
oh
dioses! Tanto me
oprime este
golpe fatal,
que
me falta valor
y se extravía mi
ingenio. Cerca de
la orilla esperaba confiado, creyendo que
el viento se había
calmado;
cuando de
improviso
me
siento
transportado, aún en medio de la
tormenta,
a la cima
de un arrecife
traicionero;
y
mientras
trato de salvarme, tropiezo
con otro escollo mucho
peor que el primero.
(Sale)
Escena Quinta
(Puerto
de mar,
festivamente engalanado
para
la llegada de la
princesa Creusa.
A la
vista muchas
naves; de la más
magnífica de ellas,
con el sonido de
varios instrumentos
primitivos, precedidos por un
numeroso
séquito,
desembarcan Creusa y
Cherinto. CREUSA
Pero
¿qué
te preocupa,
príncipe? ¿Por qué
estás tan triste?
Piensas,
suspiras,
callas,
me miras,
y,
si
afablemente te
obligo a hablar,
pareces decir mucho
y
nada dices.
¿Dónde
fue a parar tu alegre semblante? ¿Dónde
tus festivas frases ingeniosas? En
Tracia
no eres
como en Frigia. ¿Al altar
nupcial acompañas a la futura esposa
con tan lúgubre aspecto? ¿Qué augurio es éste para
mi boda?
CHERINTO
Mi dolor no
presagia nada bueno.
Todo
recae
¡oh,
bella princesa! todo
recae sobre mí.
Mis
males
son tan
numerosos como
las
estrellas. Soy el más infeliz de los
seres vivientes.
CREUSA
¿Y
ese secreto no puedes
revelármelo?
¿Valen tan
poco mi consuelo y mi consejo?
CHERINTO
¿Quieres que hable?
Obedeceré. Desde el
primer momento...
Desde
aquel
día... ¡Oh,
dioses!
¡No,
no tengo coraje!
Perdóname. Es mejor
guardar silencio,
pues quizás,
hablando,
mereceré
tu
indignación.
CREUSA
Haces bien en
desconfiar,
puesto que en definitiva
soy una
mujer
y sería
un secreto
mal
guardado.
Tienes
razón
en callar.
¡Vamos!
¡Vayámonos!
CHERINTO
¡Detente! ¡Oh
dioses,
hablaré!
No tengo paz
pues tú me la arrebatas.
¡Adoro
tu hermoso rostro!
Sé
que lo adoro en vano
y
me siento morir.
Este es el secreto. CREUSA
¿Cómo? ¡Qué
osadía!
CHERINTO
¿No te adelanté que te
indignarías? CREUSA
Cherinto, esperaba
más
respeto de ti.
CHERINTO
Es culpa del amor. CREUSA
(Queriendo
marcharse)
¡Calla,
calla, no hables más!
CHERINTO
Pero
ahora que por la
fuerza
¡oh,
Creusa! quisiste
escuchar la falta, oye también
la excusa. CREUSA
¿Qué podrías decir?
CHERINTO
Qué soy digno de piedad,
pues
si
ardo de amor por ti;
que si amarte es un
crimen, Demofonte
es el culpable. Él debió
elegir a otro y no a mi, para
conducirte junto a Timante. Si
la yesca se incendia, no debe
sorprenderse quien la acercó al fuego.
Eres
hermosa
y
yo no
estoy
ciego. Te vi
y me enamoré. Cerca de ti,
me
encontré a mí mismo. Una excusa adecuada
para contemplarte arrobado
me dio
el rol de hermano del futuro
esposo.
Los
suspiros que el amor
siempre me causaba al
estar cerca tuyo,
se
debieron a que
al tratar de explicarte
de mil formas
cómo era el afecto de mi
hermano, estaba explicando el mío
propio.
CREUSA
(Para sí)
¡Ah,
cómo
me altera!
(En voz alta)
Tal
osadía me sorprende de tal manera
que me siento
atontada.
CHERINTO
E incluso,
a veces,
me
ilusionaba con que
nuestras almas se
entendieran sin hablar. Que
ciertos suspiros fueran
comprendidos. Una
desconocida languidez en tu mirada, a menudo
me parecía
mucho más
que una simple amistad.
CREUSA
¡Basta!
Cherinto, empiezas a abusar de
mi tolerancia.
¡Nunca
más me hables de amor!
CHERINTO
No entiendo... CREUSA
Te lo explicaré.
Si en el futuro,
no eres más sabio de
lo que hasta ahora has sido,
no
vuelvas a presentarte ante mí.
¿Entiendes ahora?
CHERINTO
¡Te entiendo,
ingrata! Quieres
que me
mate. Serás
feliz, me mataré.
Pero
recuerda que a un alma fiel, el
haberte amado, mucho le costó.
(Está
por
marcharse) CREUSA
¿Dónde vas? ¡Detente!
CHERINTO
¡No,
no! Mucho te ofende mi
presencia.
(En actitud
de salir)
CREUSA
Oye,
Cherinto.
CHERINTO
¡Eh! Mucho abusaría de tu
tolerancia,
quedándome.
(como antes) CREUSA
¿Y
qué
motivo te obliga a partir?
CHERINTO
Entiendo
muy bien aún lo
que no dices. CREUSA
¡Ay,
príncipe! ¡Ay, qué
mal me conoces! Yo
en este momento...
¡Oh, dioses!
CHERINTO
Termina la frase. CREUSA
En este momento...
(Para sí)
¡Ah, qué
hago!
(En voz alta)
Vete
si quieres.
CHERINTO
¡Cruel!
Me voy;
pero tal vez... ¡Oh,
cielos! Aquí
llega
mi hermano.
Escena
Sexta
(Timante
llega presuroso)
TIMANTE
Dime,
Cherinto: ¿Es
ésta
la princesa
frigia?
CHERINTO
Exactamente.
TIMANTE
Debo hablar
con ella.
Aléjate, déjanos a solas.
CHERINTO
Obedezco.
(Para sí)
¡Qué dolor! CREUSA
Esposo,
señor.
TIMANTE
Noble dama, ambos estamos en
gran peligro. Tu
decoro y a
mi vida
solamente tú puedes
defenderlos. CREUSA
¿Qué
sucede?
TIMANTE
Nuestros padres
nos unieron en un
matrimonio, que
quizás a ti te disgusta, y que yo
no pedí. Tus
nobles méritos son
verdaderamente
dignos
de un dios,
no de
mí.
El
destino no quiere que yo sea tu esposo.
Existe un obstáculo
insalvable. Mi
padre no lo
conoce,
ni puedo contárselo.
A ti te
conviene evitar un rechazo de mi parte.
En
lugar de que yo lo haga,
ve, recházame tú. Di que no
te gusto; exagera,
todo lo perdonaré, exalta
mis deméritos,
despréciame, y
así
evita
que
yo tenga que
perturbar tu honor,
mi paz
y mi vida. CREUSA
¡Cómo!
TIMANTE
No puedo
demorarme..
(a Cherinto,
marchándose)
Príncipe,
queda a tu cargo llevarla al
palacio. CREUSA
¡Ah!
dime al menos...
TIMANTE
Te dije lo que siento, que más
podía decirte.
Piensa en ello.
¡Adiós!
(Sale) Escena
Séptima
(Creusa
y
Cherinto) CREUSA
¡Dioses! ¿Semejante ultraje se le hace a Creusa,
heredera
del
cetro de
Frigia?
Cherinto,
¿eres
valiente?
CHERINTO
Lo sería, si tú
no
me hubieras quitado el coraje.
CREUSA
¡Ah,
venga
mi honor,
si es que me amas! Mi
corazón, mi mano, mi
virginidad, el cetro,
todo lo que poseo, es
tuyo.
No pongo
ningún
límite a
tu
recompensa.
CHERINTO
Y
¿qué
debo hacer? CREUSA
¡La sangre
del osado Timante!
CHERINTO
¿De mi
hermano? CREUSA
¿Te pones
pálido? ¡Ah,
vil cobarde! ¡Vete!
Ya encontraré a
otro que quiera
optar a mi
amor.
CHERINTO Pero,
princesa... CREUSA
¡Basta ya! Desgraciados, lo sé,
ambos
os
habéis
puesto de acuerdo para
ultrajarme.
CHERINTO
¡Yo!
¿Acaso
crees que mi
amor es poco sincero?
CREUSA
De tu amor, verdadero o falso, me avergüenzo. No me
interesa el afecto de
un amante
tímido que
atesora
en su pecho tan poco
valor. Que
tiembla
si debe hacer
uso de la espada, que
sólo
es
osado cuando habla de amor.
(Sale)
Escena
Octava
(Cherinto a solas)
CHERINTO
¡Oh,
dioses! ¿Por qué tanto
furor? ¿Qué le
habrá dicho mi hermano? Quiere
que yo mismo mate a mi hermano... ¡Ah,
de sólo pensarlo me hiela el
horror!
Pero
¡con cuánta autoridad lo dijo!
¡Con
cuanto orgullo!
Y, sin embargo, esa
actitud, y ese
orgullo me atraen: en ella
encuentro una indecible
grandeza, que,
en medio de
su furor,
me sorprende y me hace
languidecer de amor.
Su
hermoso rostro nunca
perdió la belleza.
Bella en la
piedad, bella
en la ira.
Cuando
sus labios sonríen, parece la
diosa del mar;
y
me parece ver a Pallas
Atenea, cuando
monta en cólera.
(Sale)
Escena Novena
(Matusio furioso, llega con
Dircea
de la mano) DIRCEA
¿Adónde,
adónde, señor?
MATUSIO
Al lugar más desierto de
Libia, a los
bosques de Ircania entre las
montañas escitas,
o en
algún desconocido sitio
rodeado de mar, separado
del mundo, en el confín de la
tierra. DIRCEA
¡Ay de mí!
MATUSIO
Esfuércense
¡oh,
padres!
en
el cuidado de los
hijos. Este es
el respeto que el
derecho natural
puede
prometer a sus cuidados. DIRCEA
(Para
sí)
¡Ah! Se ha
descubierto el
casamiento.
¡Muerta
soy!
(A Matusio)
¡Oh,
dioses! ¡Señor,
ten piedad!
MATUSIO
No hay piedad, ni
confianza.
¡Todo está
perdido! DIRCEA
Aquí, a tus
pies...
MATUSIO ¿Qué
estás haciendo? DIRCEA
Quiero
llorar...
MATUSIO Tu
situación requiere algo más que llorar.
DIRCEA
Lo
sabes...
MATUSIO
Espérame.
Una nave voy a buscar que nos
lleve lejos de
aquí.
(parte)
Escena
Décima
(Dircea,
luego Timante) DIRCEA
¿A
dónde?
¡Ay,
mísera
de mí! ¡Ah!
¿Dónde me lleva
a morir? Hijo
inocente,
adorado esposo... ¡Oh
dioses,
qué pena partir sin
verlos!
TIMANTE
¡Por fin te encuentro,
Dircea,
mi vida! DIRCEA
¡Ah,
querido esposo, adiós
y
adiós para siempre! A tu
paternal amor
encomiendo a mi hijo; abrázalo
de mi parte,
dale un beso
y
cuéntale todo,
un día se compadecerá de mi destino.
TIMANTE
¿Qué dices?
¡Ah!
¡Mi
sangre se
congela en las
venas! DIRCEA
Mi padre
descubrió
nuestro
secreto.
Ebrio de
ira,
quiere
llevarme lejos de aquí.
Bien lo
conozco, para mí
no
queda esperanza.
TIMANTE
¡Ah!
Tranquiliza tu extraviado corazón, amada
esposa; estás
a mi lado.
Escena
Décimoprimera
(Matusio, que regresa,
y
los anteriores)
MATUSIO
¡Dircea, date prisa!
TIMANTE
¡No,
Dircea no se irá.
MATUSIO
¿Quién lo
impide?
TIMANTE
Yo.
MATUSIO
¡Qué! DIRCEA
¡Ay!
MATUSIO
¡Defenderé
el derecho paterno con mi espada!
(desenvaina la
espada)
TIMANTE
(Hace lo
mismo)
¡También
yo,
a espada, la
defenderé! DIRCEA
(se interpone entre
ambos)
¡Príncipe! ¿Qué haces?
¡Detente, oh
padre!
MATUSIO
¡Impío! ¿Vas a impedirme
que
salve a
una
inocente virgen
del
cruel
sacrificio? DIRCEA
¡Oh,
dioses!
TIMANTE
Pero, entonces... DIRCEA
(por lo bajo, a Timante,
fingiendo
contenerlo)
¡Oh,
cállate,
no sabe nada!
¡Me equivoqué!
MATUSIO
¡Quieren detenerla! DIRCEA
(Para
sí)
Por temor, casi me traiciono
a mí misma.
TIMANTE
Señor, perdóneme ha
sido un error. Indignado
corrí hacia ella,
pues
lloraba.
No tuve tiempo
de pensar.
Creí que era una obra piadosa salvarla
de su furia.
MATUSIO
Entonces, no impidas
nuestra fuga. Si ella
se queda,
hoy la
víctima
será
Dircea. DIRCEA
¡Cielos!
TIMANTE
Pero
¿su
nombre
salió ya de la urna?
MATUSIO
No,
pero el injusto
rey
quiere
matar a esta
inocente aún sin
utilizar
la urna.
TIMANTE
¿Y por qué
tanta ira
contra ella?
MATUSIO
Para
castigarme a mí, es que quiere que
Dircea sea expuesta a la suerte.
Porque yo
denuncie su propio mal ejemplo.
Porque el
amor paternal me hizo olvidar que soy un
plebeyo.
DIRCEA
(Para sí)
¡Oh
dioses,
todo conspira
contra mí!
TIMANTE
Matusio no temas, el rey no es tan cruel.
En el repentino ímpetu del furor todo lo yerra;
pero entrando en razón,
enmienda los hechos los hechos sucedidos.
Escena Décimosegunda
(Adrasto con guardias, y los anteriores)
ADRASTO
¡Aquí! ¡Soldados,
detened
a Dircea!
(Los guardias la
rodean)
MATUSIO
¿No te lo dije,
príncipe?
TIMANTE
¿Qué? DIRCEA
¡Ay,
mísera de mí!
TIMANTE
¿Por qué razón apresáis
a Dircea?
ADRASTO
¡El rey
lo ordena!
(a
Dircea)
¡Vamos!
DIRCEA
¡Ah!
¿Dónde?
ADRASTO
En poco tiempo,
desventurada,
lo sabrás.
DIRCEA
¡Príncipe,
padre,
salvadme!
¡Tened
piedad de mí!
TIMANTE
¡No,
no
lo consentiré!
(En actitud de
ataque)
MATUSIO
No voy a tolerar que...
ADRASTO
Si os acercáis,
la atravesaré con esta daga
(empuña una daga)
TIMANTE
(Deteniéndose) ¡Impío!
MATUSIO
¡Inhumano!
ADRASTO
La orden del rey mucho me justifica. DIRCEA
Entonces...
ADRASTO
Date
prisa,
Dircea,
tus
quejas
son vanas. DIRCEA
(encaminándose)
Voy.
TIMANTE,
MATUSIO ¡Ah,
cruel!
(En actitud
de ataque)
ADRASTO
(en
actitud de herir a Dircea) ¡Alto ahí!
TIMANTE Y
MATUSIO
(deteniéndose)
¡Detente,
cruel! DIRCEA
Padre,
perdona...
¡Oh, qué
pesar! Príncipe,
recuerda...
¡Oh,
dioses!
(Para sí)
¡Ya que
debo
morir, al menos
hablaré!
(En voz alta)
¡Miserable! ¿En qué
he pecado? ¿Cómo es
que de los dioses he
llegado a merecer su
desdén
hasta este punto?
(Sale con
Adrasto)
Escena Décimotercera
(Timante
y
Matusio)
TIMANTE
¡Aconsejadme, oh
dioses!
MATUSIO ¿Y el
suelo no se abre bajo mis pies?
¿Y un
rayo
no castiga
tanta
la maldad
e
injusticia?
¿Así se
preocupa
Júpiter por nosotros?
TIMANTE
Hagamos,
amigo, un mejor
uso del tiempo. Tras ella
ve tú,
a ver dónde
la
conducen. Ante mi
padre yo corro mientras tanto a
convencerlo para que cambie su orden.
MATUSIO No creo
que puedas
conseguirlo...
TIMANTE
¡Oh,
dioses!
¡Ve,
corre!
Ya
encontraremos otra
manera de salvarla
si
no cambia la mala predisposición de
mi padre.
MATUSIO ¡Oh,
eres
el mejor
hijo de
tu
padre! (lo abraza y
sale)
TIMANTE
Si
valor y esperanza del Cielo
no me llega , decae mi constancia ante tanto dolor. Ver como
me arrebatan a mi
dulce compañera,
oír
como llora al ser conducida a la
muerta, son desvaríos, son penas que
oprimen
mi corazón.
(Sale)
ACTO
SEGUNDO
Escena Primera
(Gabinete real.
Demofonte y
Creusa)
DEMOFONTE
Pídeme lo que quieras,
Creusa. En este
día voy a
hacer todo por ti, pero no
ruegues en favor de
Dircea. Quiero
que el padre la
vea morir. El
temerario,
demasiado
ofende el real
decoro. ¡En
mi propia cara,
rumores
sediciosos
divulgó
entre
la plebe! ¡A mis
decretos se opuso! ¡Sé
comparó conmigo!
Mi trono no puede consentir tal afrenta.
CREUSA
No vengo
a pedir por otro,
señor. Mucho sé
que es lo que puedo
esperar. Mis
ruegos son para mí
misma.
DEMOFONTE
Y
¿qué quieres? CREUSA
Regresar
a Frigia de inmediato. Hace falta
vuestra
autorización
para que
del puerto pueda
zarpar
el
barco.
Eso
es lo que os pido.
No me lo podéis
negar
pues no sólo no soy una esclava...
(Para sí)
No le tengo ningún temor.
(A Demofonte)
... sino
que tengo sangre real.
DEMOFONTE
¿Qué dices,
princesa! ¡Ah,
qué sospecha! ¡Qué
palabras son ésas! ¡Irte de aquí!
¿Y
tu esposo? ¿Y
la boda? CREUSA
¡Ah,
Creusa es muy poco
para Timante! Una
belleza mortal
no es lo que él espera conseguir.
Para él... Pero
ése no es
mi problema. Deseo
partir,
¿puedo hacerlo
señor?
DEMOFONTE
Tú eres
el árbitro de
ti misma. En
Tracia no quiero
retenerte por la fuerza. Pero
no esperaba semejante
injuria de tu parte. CREUSA
No sé
qué
razón tenéis
para
quejaros
de mi, y el
príncipe... En definitiva,
ansío partir.
DEMOFONTE
Pero, ¿lo viste? CREUSA
Lo vi.
DEMOFONTE
¿Habló contigo? CREUSA
¡Es como si no lo hubiese hecho!
DEMOFONTE
¿Qué dijo? CREUSA
Señor, es suficiente.
DEMOFONTE
Creusa, comprendo.
Te parece que las palabras del príncipe
son demasiado rústicas.
Seguramente
te recibió y te habló con
frialdad. Comprendo
tu indignación.
Tú eres
frigia
y estás habituada
a
costumbres
más cortesanas.
La forma de ser de los tracios
te parecerá ruda y grosera.
Y
Timante es así, no es
extraño.
Nació entre armas
y entre
las armas se educó. Los
tiernos afectos son
palabras
desconocidas
para él.
A ti
te
está reservada la
gloria de educarlo
en los
misterios del amor.
Poco,
Creusa, te costará hacerlo. ¿Qué
no
pueden enseñar,
un rostro
tan lleno
de gracia
y dos ojos tan
vivaces como los tuyos? Se
aprende rápidamente cualquier doctrina
bajo la
tutela de tan doctos maestros. CREUSA
A
la
vergüenza de un rechazo
no puede
exponerse una princesa como yo.
DEMOFONTE
¡Rechazo!
¿Cómo puedes
temer eso?
CREUSA
¿Seguro
que no?
DEMOFONTE
Su mano, si es que tú
no la desprecias, hoy mismo
te dará mi hijo. Mi
palabra real comprometo en ello. Y si
el audaz se atreviera a rechazarte, invadido
por mil furias yo sabría...
¡Pero no,
esa
posibilidad es muy remota! CREUSA
(Para sí)
¡Sí,
sí! Que Timante se
comprometa a la boda,
sin
rechazarla.
(A Demofonte)
Pues bien,
acepto,
señor,
su palabra.
Que ahora sea
vuestra
responsabilidad,
que luego…
DEMOFONTE
Está bien
así. Quédate tranquila.
CREUSA
Vos
sabéis
quién soy
y
lo
que
a mi honor
conviene. Pensad
en
ello
y,
si algo
más sucede, no lamentaros
por mí.
Vos
sois
rey y padre;
y
no debéis
olvidar como manda un padre y como castiga un rey.
(Sale)
Escena
Segunda
(Demofonte y
luego Timante)
DEMOFONTE
¡Cuánto orgullo!
Pero todo
debo concederle. Sin embargo, conviene que Timante acepte todo sin problemas.
Es necesario que yo lo
advierta y lo reprenda, para que, más sabiamente,
venza su repugnancia de
ahora en
adelante.
(a los
guardias)
¡Que venga
Timante!
Pero... justamente allí llega
él.
TIMANTE
¡Mi
rey, mi
señor,
gracia, perdón, piedad!
DEMOFONTE
¿Para quién?
TIMANTE
Para
la infeliz hija
del afligido
Matusio.
DEMOFONTE
Ya he
decidido su destino.
No se
revoca la orden
que sale
de la boca de un rey. Sólo es
posible arrepentirse cuando se
ha cometido un error; pero
un
rey no se equivoca
jamás.
TIMANTE
Si se adora en la tierra a
los dioses, es porque son
compasivos.
Es Destino es el mayor de
todos los dioses; y, solamente porque no
cambia jamás un designio, no existe nadie que le levante un altar o
un templo.
DEMOFONTE
No sabes que el temor es quien custodia el trono.
TIMANTE
Poco cierto.
DEMOFONTE
¿Ése es el respeto de un hijo?
TIMANTE
Que trae consigo
todas las dudas del padre.
DEMOFONTE
Poco a poco
se convierte en amor.
TIMANTE
Pero
simulado.
DEMOFONTE
El tiempo te
enseñará lo que ahora
no sabes. Por ahora,
debemos hablar de otra cosa. Dime:
¿qué le hiciste a Creusa?
¿En el
mismo día en que deberá
convertirse tu esposa,
la irritas?
TIMANTE
Siento en mi corazón tal
aversión
por ella, que
no tengo el valor para
superarla.
DEMOFONTE
Y
entonces conviene...
TIMANTE
Ya lo discutiremos. Ahora, por
Dircea, señor, Estoy a tus
pies.
Su inocente vida perdona, ante el
ruego de tu hijo.
DEMOFONTE
Y a pesar de todo me vuelves a
habar de ella. Si mi
amor
aprecias, abandona tu intento de
salvarla.
TIMANTE
¡Ah!
Querido padre, no puedo
obedecer. ¡Ah! Si
alguna vez tu
afecto paterno yo he
llegado a merecer; si,
adornado de
honrosas heridas mi pecho, a tus brazos vuelvo
victoriosos; si mis
triunfos, no tardan en
dar fruto con su ejemplo,
y provocan en tus ojos alguna
lágrima de placer; libera y absuelve
a la desdichada
Dircea. ¡Pobre miserable!
Sólo hablo por
ella;
abandonada por todos; no tiene
otra esperanza que
yo. Sería,
¡oh,
dioses!... mucha falta de
humanidad, verla agonizar, sin
culpa,
en la flor de
su edad, agonizar
sobre el atroz altar; ver
surgir ríos de tibia sangre de su
suave pecho; oír de sus
labios
moribundos las
últimas palabras; ver
la última mirada de sus ojos...
¡Pero tú mírame, oh
padre!
¡Empalideces! ¡Ah!
Yo sé:
es
éste un gesto
de misericordia.
(se arrodilla)
¡Ah,
no
te arrepientas! Secúndalo,
¡oh,
señor!
No,
hasta que no des la orden
de que Dircea siga viva,
padre, no me marcharé jamás de tus
pies.
DEMOFONTE
Príncipe
¡oh, sumos
dioses!, levántate. ¿Qué debo
pensar de ti? Esa forma
tierna de mencionar a Dircea, esa premura excesiva en tus
ruegos... ¿Qué
quieren decir?
¿Acaso la amas?
TIMANTE
En vano podría
esforzarme
en ocultarlo.
DEMOFONTE
¡Ah!
Esta es entonces la causa de tu
frialdad hacia Creusa. Y
¿qué pretendes con ese amor?
¿Que yo
te de por esposa a una
plebeya?
O piensas
en concretar una boda
a escondidas... ¡Ah!
No puedo
ni
imaginarme...
TIMANTE
¿Que dudas te asaltan?
Ante todos los dioses lo juro:
¡no me casaré con Dircea!
Sólo
quiero que viva.
Y si insistes en que muera;
no te ilusiones, tu hijo
también morirá.
DEMOFONTE
(Para sí)
Para
vencerlo,
cederé.
(A Timante)
Está bien,
Si tú lo
quieres,
tu amada vivirá.
Te la entrego a ti.
TIMANTE
¡Querido padre!...
(quiere besarle
la mano)
DEMOFONTE
¡Espera! La
paternal condescendencia
exige
una merced.
TIMANTE
Mi
vida, mi sangre...
DEMOFONTE
No,
querido hijo,
no
deseo eso de ti. Respeta mi elección de la
noble Creusa. No te opongas a casarte con
ella.
TIMANTE
¡Oh,
dioses!
DEMOFONTE
Ya lo veo, te provoca
disgusto y
repulsión.
Que esa pena
desaparezca en merito
a la obediencia. Yo tengo piedad por
tu debilidad,
ten entonces tú
respeto por mi
honor. ¿Qué se
diría,
Timante, si
tu padre, por culpa tuya se viera
obligado a
traicionar sus
promesas?... Pero
yo sé que no eres tan ingrato. Ve junto
a tu prometida. Llevémosla al templo
y
frente a los
dioses cumplamos,
¡oh, hijo mío! tus
deberes y los míos.
TIMANTE
Señor...
No puedo.
DEMOFONTE
Hasta ahora, príncipe,
como un padre te he hablado:
no me
obligues a
hablarte como
rey.
TIMANTE
Los
mandatos del
rey y del padre son para
mi igualmente venerables;
pero, ya lo
sabes, el amor no puede ser
violentado.
DEMOFONTE
El
amor gobierna el
casamiento de los plebeyos.
Tú y tus pares
tienen una obligación
mayor que
el de una boda y esta
es siempre
para el bien de
nuestro pueblo.
TIMANTE
Si el
bien de los demás ha de costar tal alto
precio...
DEMOFONTE
Príncipe,
estoy cansado
de discutir contigo.
No acepto más razones.
Yo lo quiero.
TIMANTE
Y yo
no puedo.
DEMOFONTE
¡Audaz! No sabes...
TIMANTE
Lo sé,
quieres
castigarme.
DEMOFONTE
Y quiero que con
Dircea empiece tu castigo.
TIMANTE
¡Ah, no!
DEMOFONTE
Vete.
TIMANTE
Pero escucha.
DEMOFONTE
Ya lo oíste. Quiero que
Dircea muera.
TIMANTE
Y
muriendo Dircea...
DEMOFONTE
¿Aún
estás aquí?
TIMANTE
Sí, me voy;
pero luego...
(turbado)
no
te lamentes...
DEMOFONTE
¿Qué? ¡Temerario!
¡Oh,
dioses!
¿Me amenazas?
TIMANTE
No puedo
distinguir
si es una
suplica
o
una amenaza.
Poco a poco
la razón
me abandona.
Padre, no me
obligues
a tomar
una
medida extrema.
Haré...
quién sabe qué...
DEMOFONTE
Di,
¿qué harás,
ingrato?
TIMANTE
¡Lo que
haría un desesperado!
¿Prudencia me pides? ¿Me consideras
un niño?
Ten en cuenta que
todo
depende de tí.
Sólo
pienso
en el peligro
de aquella
por la
que sufro.
Tal deseo siento en mi
pecho, tal venda tengo sobre mis
ojos, que mi
alma no
es
capaz de contenerse.
(parte)
Escena
Tercera
(Demofonte a solas)
DEMOFONTE
¿Todos me insultan? La nuera
atrevida, el súbdito
orgulloso, el hijo
audaz,
¿todos se rebelan? ¡Ah,
ya no
lo soporto
más! ¡Guardias! Que
Dircea
sea conducida
al sacrificio sin más
demoras. Ella
es la causa
de la
conducta
osada
de su
padre
y de mi
hijo. Aún,
cuando fuese inocente,
no debe
vivir.
Es
necesario para
el reino
el casamiento de Creusa y
mi hijo,
pero Timante
nunca
lo aceptará
mientras Dircea
viva.
La muerte
de un inocente
bien vale la tranquilidad del reino.
Al corta
una rama,
una flor,
el
agricultor
busca
que
la planta crezca
fuerte y
hermosa.
Sería un
gran error dejarla
que se agote, por
sin
podarla.
(Parte)
Escena Cuarta
(Pórticos.
Matusio y
Timante)
MATUSIO
¿Es
la única esperanza?...
TIMANTE
Sí,
querido amigo, debes huir. En lugar
de aceptar mis súplicas, el rey se irritó más. Debes
huir
y
hacerlo ya mismo.
Consigue un
ágil navío; en él reúne cuanto puedas
de valor y más aprecies;
y allí dónde, entre los
riscos,
a la derecha del puerto el mar se
adentra,
permanece
a la
espera.
Dircea
y
yo nos reuniremos
contigo.
MATUSIO
Pero
¿y sus carceleros?...
TIMANTE
Eludiré
a los guardianes.
Por un pasaje secreto
llegaré
hasta ella.
¡Date prisa,
que el
tiempo es traicionero con quien
abusa de él!
MATUSIO Es un auxilio
inesperado
el
afán
que en tu alma se ha encendido.
Algún dios piadoso te lo ha
inculcado. Del ejemplo de un padre
inhumano, no se aprende tan bella
piedad. (Sale)
Escena
Quinta
(Timante y luego
Dircea,
con una túnica blanca
y coronada de
flores entre
los
guardias y los
sacerdotes del
templo)
TIMANTE
Mi fuga
es una gran aventura. Ella me
hará pobre y
desposeído. El
reino y
todas las riquezas
paternas perderé. Pero
mi esposa e hijo valen
más.
Los bienes no
poseen valor
propio,
sólo los hace
valiosos nuestra
opinión.
Pero
los dulces
afectos de padre
y esposo
tienen sus
orígenes en el
principio de los tiempos.
Nos han sido inculcados
por la fuerza
de la
costumbre.
Son semillas
que trae el alma
al
nacer.
¡Huyamos!... Pero,
¿quién
se acerca?
¿Es tal vez
el rey? Veo
guardias...
¡Ah,
no, son
sacerdotes!
Entre ellos, con
blancas vestiduras...
¡Ay de mi! ¡Mi esposa!
¡Oh,
dioses!
¡Deteneos!
Dircea, ¿qué pasó? DIRCEA
Ha
llegado
la hora
fatal, el último instante en
que te veo. ¡Ah,
príncipe!
¡Qué
amargo paso!
TIMANTE
Pero
¿cómo
mi
padre... DIRCEA
Quiere que yo muera
lo antes posible.
TIMANTE
(Queriendo
desenvainar su espada)
Yo vivo
aún... DIRCEA
Señor,
¿qué haces?
¿Tú solo
contra tantos?
Me
defenderás
en vano y
te perderás.
TIMANTE
Es cierto.
Mejor
busco otra solución.
(queriendo irse) DIRCEA
¿Cuál?
TIMANTE
Voy a buscar tantos amigos
como pueda.
Estaré en
el templo
antes que tú.
(intenta irse nuevamente) DIRCEA
¡No!
Piensa... ¡Oh,
dioses!
TIMANTE
No hay
nada más
que pensar.
Mi
piedad
se
ha
convertido en furor.
Que
tiemble todo aquél que pretenda oponérseme.
Aún si
fuera mi padre, no
ahorraré un crimen. Las
armas
y el fuego
quiero que destruyan, que consuman
el palacio,
el templo, a los
sacerdotes y a
los dioses.
(Sale)
Escena
Sexta
(Dircea,
luego Creusa) DIRCEA
¡Detente!
¡Ah,
no me escucha!.
¡Dioses
eternos,
protejedlo!
ji él
muere,
¿quién se
hará cargo del niño?
En
esta situación sólo
me faltaba
el tormento de
tener que temblar
por mi esposo. Si
tuviera al menos a quien pedir auxilio...
¡Ah,
princesa! ¡Ah,
Creusa, piedad!
¡No me la puedes
negar! Se la
pide, a tu noble corazón, en la peor de las
desgracias, una condenada a muerte. CREUSA
¿Quién eres? ¿Qué
deseas? DIRCEA
Mi situación ya pronto
por todos la sabrás.
Soy
Dircea
y voy a morir. No he
cometido ningún crimen.
Imploro
piedad, pero no para mí.
¡Salva
y
protege al pobre
Timante! Él se
perderá por el deseo de
salvarme. Que en ti encuentre, en su
desesperación, asistencia y perdón, si los
ruegos de quien va a morir no son
vanos,.. CREUSA
Y tú,
próxima a la muerte,
¿cómo
puedes pensar
en su salvación? DIRCEA
¡Oh,
dioses!
No
preguntes.
Él será tu
esposo. Si
todos
mis males pudiera
contarte, te haría compartir la
ternura de mi corazón.
En
esta amarga situación, tan grande es mi martirio,
que aún si tú fueras una
piedra te compadecerías de mi.
(Sale entre
los
guardias y sacerdotes
que la conducen
al templo)
Escena
Séptima
(Creusa
y luego
Cherinto) CREUSA
¡Que
belleza
tan
encantadora! Si
en mi corazón,
produce esta mujer
esta mujer ha
producido
este efecto,
digno de
excusa es
Timante,
que la ama.
Apenas
puedo contener el llanto. Estos
infelices se aman de
verdad. ¿Y yo soy
la causa de tan feroz
tragedia?
¡Ah,
no,
encontraré
la
manera de
evitarla!
¡Cherinto,
te
necesito!
CHERINTO
¿Me pedirás que mate a mi
hermano? CREUSA
No, ese deseo nació por
la ira y
junto con la ira desapareció. Ahora
deseo salvarlo.
Hacia el martirio
se encamina Dircea; Timante
está
desesperado. Tú ve a moderar su furor;
mientras yo voy a implorar gracia
para ella.
CHERINTO
¡Qué digna preocupación de un alma noble! ¿Quién
podría no amarte, Creusa?
¡Ah,
si no
fueras tan tirana
conmigo... CREUSA
Pero ¿de dónde sacas
que soy
una tirana? Mi
corazón es diferente a
como tú piensas.
Yo
también... pero ve.
Quieres
saber demasiado.
CHERINTO No, no pido, amadas
estrellas, si aún me seguís
siendo
adversas, que sea justo
que yo no deba dudar.
Pero para
quien no ha sido hasta
ahora feliz, quien a las angustias
tiene su alma
acostumbrada,
el
haber adquirido una duda es el comienzo de una
esperanza. (Parte)
Escena
Octava
(Creusa
sola) CREUSA
Si
pudieras imaginar,
Cherinto,
ídolo mío,
cuánto me cuesta este rigor simulado, que
tanto te angustia. ¡Ah!
Tal vez no te parecería tan
tirana.
Aún no soy la esposa de
Timante;
puedo
cambiar;
todo
depende de mí. Pero,
destinada al
heredero real, ¿he
de ser plebeya
cuando vine
a reinar?
No, que
la pompa, la virtud y
mi gloria no
consientan que sea
tan débil. ¡Feliz
época dorada de la
hermosa y antigua
inocencia, cuando la
virtud no era
enemiga del placer! Por
la pompa y el
decoro nos
encontramos oprimidos,
y
nosotros mismos
establecemos nuestra
propia esclavitud.
(parte)
Escena
Novena
(Atrio
del templo
de Apolo. Magnifica
pero corta
escalinata, por la que
se asciende al
propio
templo, cuyo interior
está a la vista de
los
espectadores, salvo en
los lugares en que las
columnas que sostienen
la gran tribuna.
Se ve
el altar caído,
el fuego extinguido,
los
vasos sagrados
volcados, las
flores, los
velos,
el hacha y otros
instrumentos para
el
sacrificio
dispersos
en las escaleras
y
en el suelo; los
sacerdotes y guardias
en fuga
perseguidos por
los amigos
de
Timante; todo es
confusión y desorden.
Timante, que
siguiendo desesperadamente a los
guardias por la
escalinata, se pierde detrás
de la escena.
Dircea, desde lo alto
de
la escalinata, lo llama
espantada.
Sigue
en breve
combate cuerpo a cuerpo,
con
ventaja para los
partidarios de Timante
que se
dispersan.
Dircea, que ve a
Timante,
corre
a
detenerlo, bajando del
templo) DIRCEA
¡Santos
dioses del cielo,
protejedlo!
¡Timante,
escucha! ¡Timante,
por piedad!...
TIMANTE
(vuelve
jadeando con una espada
en la mano)
¡Ven,
mi vida, ven,
estás a salvo! DIRCEA
¡Ah!
¿Qué
dices?
TIMANTE
Hice
lo que debía.
DIRCEA
¡Qué miserable soy!
¡Esposo,
estás herido!
¡Oh,
dioses!
¡Estás
bañado en sangre!
TIMANTE
No,
Dircea, no
te asustes. Esta
sangre no salió de mis venas, del pecho
de otros la hizo brotar mi furor. DIRCEA
Espera...
TIMANTE
Esposa mía,
no
lo
dudes más...
¡Huyamos!
(la toma de
la mano) DIRCEA
¿Y
Olinto? ¿Nuestro hijo?
¿Dónde
está? ¿Quieres que huyamos sin
él?
TIMANTE
Regresaré
por
él cuando
tú estés a salvo.
(va a salir por la
izquierda) DIRCEA
¡Detente!
Veo regresar por ese
lado a los
guardianes reales.
TIMANTE
¡Es
verdad,
huyamos!
(Hacia
la derecha)
Tomemos
otro camino. Pero,
también
por aquí
avanzan hombres armados. DIRCEA
¡Ay de mí!
TIMANTE
(Mirando a
su alrededor) Todos mis
amigos me abandonaron.
DIRCEA
¡Pobre de nosotros!
¿Y ahora,
qué vamos a
hacer?
TIMANTE
Con
la espada te abriré camino. ¡Sígueme!
(Deja
a
Dircea, y espada en
mano
se encamina
hacia la izquierda)
Escena
Décima
(Demofonte
llega
con
una
espada en la
mano.
Guardias
desde todas
partes;
y los antedichos)
DEMOFONTE
¡Indigno! ¡No
huyas! ¡Detente!
TIMANTE
¡Ah,
padre, ah!
¿También vienes tú?
DEMOFONTE
¡Hijo
pérfido!
TIMANTE
(Ve
aumentar el número de soldados y se pode delante de su esposa) ¡Qué
ninguno se aproxime a Dircea! DIRCEA
Príncipe,
¡ah!
desiste,
piensa en tí.
DEMOFONTE
¡No,
guardias,
no
detengáis a
ese rebelde!
Dejad que dé rienda suelta
a su furor. Veamos hasta dónde puede
llegar.
(a Timante)
¡Vamos! ¡Anímate! Cumple con tu ilustre
cometido. ¡En este pecho hunde esa
espada, traidor! No debe temblar al matar a
su padre aquél que dentro de su
propio templo se animó a insultar a los
dioses.
TIMANTE
¡Oh,
dioses!
DEMOFONTE
¿Qué te detiene?
¿Tal vez el ver mi mano
armada? ¡Aquí
arrojo el arma al
suelo! ¿Quieres
más?
Indefenso te ofrezco a tu
mayor enemigo.
Ahora tu odio escondido
puedes
satisfacer:
Castígame por haberte
traído a este mundo.
Poco te
falta para merecer
el
mayor título de
todos: ¡el de impío!
Con tu perversa mano
sólo te queda entregar
la humeneante sangre paterna
a tu bella enamorada.
TIMANTE
¡Ah! ¡Basta!
¡Padre, cállate, no hables más!
Con
esas crueles palabras
me
traspasas el alma.
(se
arrodilla)
El
hijo culpable, y su espada rebelde se ponen
a tus pies.
Castiga esta
vida desdichada,
si quieres; pero no
me hables
más de ese modo. Sé que me equivoqué, y
siento que no tengo coraje para
pedir merced; pero tal castigo excede
cualquier delito. DIRCEA
(Para sí)
¡A qué situación ha
llegado por mí
causa!
DEMOFONTE
(Para
sí)
Si
no tuviera pruebas tan
evidentes de su
perfidia, me dejaría conmover.
¡Pero no! ¡No
voy a escucharlo!
(A Timante)
¡Traidor, entrega tus manos rebeldes
a las
cadenas!
TIMANTE
¡Guardias!
(Se
levanta y va hacia los guardias)
¿Dónde
están las cadenas?
¡Aquí están mis manos!
El hijo
no se subleva
contra su padre.
DIRCEA
(Para sí)
¡A pesar de todo, mi
temor predijo
la verdad!
DEMOFONTE
¡Sacerdotes!
Sacrificad a la
víctima
en honor del ultrajado dios.
TIMANTE
¡Ah! ¡No
puedo defenderte,
amor
mío! DIRCEA
¿Cuántas veces deberé
morir
hoy?
TIMANTE
Mi
rey, mi
señor...
DEMOFONTE
¡Déjame en paz!
TIMANTE
¡Misericordia!
DEMOFONTE
En vano la pides.
TIMANTE
No puedo creer
que
ante mis propios
ojos, sea sacrificada
Dircea. Que se
postergue al menos su muerte.
¡Ministros
del culto,
oídme!
¡Óyeme
padre! No puede
ser Dircea la víctima
propicia,
pues el
sacrificio sería sacrílego.
DEMOFONTE
¿Por qué razón?
TIMANTE
Dime: ¿Qué es lo que exige el
dios?
DEMOFONTE
La sangre
de una virgen.
TIMANTE
Pues bien
Dircea
no puede ser sacrificada. Ella
está casada, es
madre, ¡es mi
esposa!
DEMOFONTE
¡Qué
dices! DIRCEA
(Para sí)
¡Tiemblo por
él!
DEMOFONTE
Dios
poderoso,
¿qué escucho?
¡Sacerdotes,
suspended el rito!
Corresponde elegir una nueva víctima. ¡Pérfido hijo!
¿Son estas las bellas esperanzas
que
albergaba
en
ti? ¿Así
respetas las leyes
humanas y divinas? ¿De esta
manera eres el feliz
apoyo de
mi vejez?
¡Ah!...
DIRCEA
No te enojes,
mi señor,
con él, yo soy
la única
culpable
de esta
desgraciada
situación.
Yo fui
quien
lo sedujo
con lágrimas insidiosas
y lo conduje, mediante engaños,
hasta el prohibido himeneo.
TIMANTE
¡Ah,
eso
no
es cierto!
No la
creas, señor.
La dolorosa historia es diferente.
Yo
soy el único culpable.
Ella
me rechazó más de mil veces;
y mil
veces yo regresé a
ella. Le rogué,
le prometí, la obligué
y
la
amenacé.
Vencido
y humillado,
recurrí a un recurso
extremo,
frente a ella, tome mi espada
y
desesperadamente
intenté suicidarme.
Finalmente,
la
piedad se impuso... DIRCEA
Y sin embargo...
DEMOFONTE
¡Cállate!
(Para sí)
Una ternura
indefinida serpentea en mi corazón,
que intenta
debilitarme en medio
de mi furia. ¡Ah!
demasiado grandes
son
sus ofensas.
¡Debo
dar ejemplo de virtud
y de
justicia al mundo!
(En voz alta)
¡Ordeno
que
en distintas prisiones, ambos esperen su castigo!
TIMANTE
Al menos
juntos... DIRCEA
¡Juntos en la
desgracia extrema!...
DEMOFONTE
Estaréis, almas culpables,
estaréis juntas. ¡Pérfidos!
Puesto
que en vida os acompañó la suerte, ¡Pérfidos!
no, la muerte no os separará.
Unidos
estuvísteis en el error;
unidos estaréis
en el castigo. Mi justo
rigor, no
hará distingos.
(Sale)
Escena
Décimoprimera
(Dircea
y
Timante) DIRCEA
¡Esposo!
TIMANTE
¡Esposa!
DIRCEA
¿Por mí te
has condenado?
TIMANTE
¿Y tú
mueres por mí? DIRCEA
¿Quién va a
cuidar de
nuestro
Olinto?
TIMANTE
¡Ah,
qué
situación! DIRCEA
¡Ah
qué...
pero...
¡Oh, príncipe! ¿Tan
vilmente vamos a
rendirnos? ¡Vamos! Mostrémonos dignos ante el
dolor. Que de un
solo golpe
se
rompa
nuestro lazo.
Separémonos con valor y no
lloremos.
TIMANTE
¡Sí, generosa! Apruebo
tu valerosa actitud. Que no se
escuche un
suspiro entre nosotros. DIRCEA
Estoy dispuesta.
TIMANTE
Estoy
decidido. DIRCEA
¡Coraje!
TIMANTE
¡Adiós,
Dircea! DIRCEA
¡Príncipe,
adiós!
(se separan con
decisión,
pero
regresan a la escena y
quedan
mirándose)
TIMANTE
¡Esposa!
DIRCEA
¡Timante!
LOS
DOS ¡Oh,
dioses! DIRCEA
¿Por qué
no te marchas?
TIMANTE
¿Por qué vuelves a mirarme?
DIRCEA
Sólo quería
ver como
soportas tus tormentos.
TIMANTE
¡Pero
sin embargo
lloras! DIRCEA
¡Y tú
suspiras!
TIMANTE
¡Oh,
dioses! ¡Qué diferente es
la realidad de lo que imaginamos! DIRCEA
¡Oh,
cuánto más fuerte
me
creía! Esconderé al menos mi
debilidad a tu mirada.
TIMANTE
¡Ah,
detente, mi amor!
¡Oye! DIRCEA
¿Qué
deseas?
TIMANTE
La mano te pido, mi dulce
sostén, como última prenda
de amor
y fidelidad. DIRCEA
¡Ah!
Este fue el signo de
nuestra felicidad;
pero
siento que ahora ya no es lo mismo.
TIMANTE
¡Mi
vida, mi amor!
DIRCEA
¡Adiós,
amado esposo! LOS
DOS ¡Este
adiós
tan cruel! ¡Qué
cruel destino!
¿Qué
esperan para caer los rayos de las
funestas estrellas, si este
es
el
premio
que recibe un alma fiel?
(Salen, por separado,
conducidos por
guardias hacia distintas
prisiones)
ACTO
TERCERO
Escena
Primera
(Patio
interior de la
prisión en la que está recluido
Timante.
Timante y
Adrasto)
TIMANTE
¡Cállate!
¿Esperas que yo viva, cuando Dircea va a morir,
¿Y que me case con otra
mujer?
¿Cómo te atreves a
darme
tan vil consejo?
ADRASTO
La propia Dircea lo propuso. Ella
te habla por mi
boca. Dice que
éste es el último favor
que te pide.
TIMANTE
Precisamente
porque ella lo quiere,
no debo
hacerlo.
ADRASTO
Y
entonces...
TIMANTE
¡Ya
basta!
ADRASTO
Piensa,
señor...
TIMANTE
Adrasto, no quiero
otro consejo.
ADRASTO
Yo,
me esfuerzo
por salvarte...
TIMANTE
¡Quién me aconseja
que
viva,
es mi enemigo!
ADRASTO
¿No escuchas consejos?
¿No
quieres ayuda? Quien
ante el peligro,
no busca salvarse, no tiene
razón de lamentarse frente al destino
(Sale)
Escena
Segunda
(Timante y luego
Cherinto)
TIMANTE
¿Por qué desear la vida?
¿Qué placer se encuentra
en ella? El destino depara
pena y
miseria en cada edad. Tememos de niños,
ante una
mirada amenazante;
siendo adultos somos juguetes de
Fortuna y
Amor; cuando pasa el tiempo
gemimos, encanecidos, bajo el peso de los años.
Ora nos atormenta el afán
de conseguir algo; ora nos traspasa el temor
de perderlo. Eterna lucha tienen los
culpables consigo mismos; los justos la tienen con la
envidia y el fraude. Sombras, delirios, sueños,
locuras son nuestras
preocupaciones;
y cuando el vergonzoso engaño
comenzamos a descubrir...
morimos. ¡Ah,
muramos de una vez!...
CHERINTO
¡Príncipe
amado, ven a mis brazos!
(se abrazan)
TIMANTE
¿Con el rostro
sereno me
das el último abrazo?
¿Y esas son las
lágrimas fraternas producto de mi próxima
muerte?
CHERINTO
¿De qué abrazo extremo hablas?
¿De qué
lágrimas? De qué muerte?
Eres el
más feliz de todos los
mortales. Ya se ha
aplacado
la ira
tu padre.
Todo lo
olvidó.
Te devuelve su
afecto, tu esposa, tu hijo, la libertad y la vida.
TIMANTE
¡Poco a poco,
Cherinto,
por piedad! Son
demasiadas, demasiadas
alegrías.
Me moriría de placer,
si
pudiera creerlas en su totalidad.
CHERINTO No lo
dudes, Timante.
TIMANTE
¿Y
cómo mi padre cambió
de parecer? Cuando
salió Dircea del templo
conmigo, él
ordenó
nuestra muerte.
CHERINTO
Efectivamente él lo dijo y nada
podía aplacarlo. Yo comenzaba a desesperarme
cuando
apareció Creusa
para socorrerte.
TIMANTE
¿Para ayudarme Creusa,
a la que yo ofendí?
CHERINTO
Creusa.
¡Ah!
No sabes todos los ruegos
que hizo
su
noble
alma.
¡Qué no habrá dicho y
hecho por salvarte! ¡Cómo
alabó y engrandeció tus méritos! ¡Cómo
minimizó el horror de tu equivocación! ¡Cuántos corazones
enterneció!
Hablando en tu favor,
invocando
tus
méritos, la gloria, la piedad... A sí
misma se mostró como ejemplo haciendo
llorar al rey. Cuando
nuestro
padre
ya
vacilaba,
corrí,
el
Cielo me inspiró,
y
busqué a Dircea. La
encontré junto a Olinto.
Con ambos
corrí hasta el
trono
y le presenté al padre
a la madre y al hijo,
en su penoso
estado. Este
tierno cuadro determinó la
victoria. Sea
porque la ira, que ya
había durado
demasiado,
lo fatigaba, o porque
la razón inundó su sangre, el
rey
cedió, levantó del suelo a su nuera, estrechó contra su pecho al
inocente niño, calmó su desdén,
se
enterneció
y lloró
con nosotros.
TIMANTE
¡Oh,
mi dulce hermano!
¡Oh,
mi
querido padre! ¡Cherinto,
vayamos con él!
CHERINTO
No.
La noticia
quiere dártela él mismo. Se indignará si llega a
saber que yo me adelanté a
hacerlo.
TIMANTE
¿Y
tanto amor y ternura
tiene
ahora por mí,
mientras
que hasta hace poco mostraba que no la merecía?
¡Oh,
cómo resalta aún más mis errores su bondad!
¿Veo
esto y no me avergüenzo? ¡Ah! Si
al menos pudiera romper la promesa que él le
hizo al rey de Frigia.
Cherinto,
¡ah!
solo tú puedes
salvar su honor. Ofrece tu mano
como esposo a Creusa,
a
cambio de la mía. Salva de
una pena infinita los últimos días de
nuestro padre.
CHERINTO
¿Qué
te
propones,
príncipe? ¡Ah!
Debes saber por fin,
que yo por
Creusa no tengo
paz en mi corazón;
La
amo tanto
como es posible amar. Pero...
TIMANTE
¿Qué?
CHERINTO
No espero que ella
me acepte. Sabes que fue destinada
como esposa del heredero del trono y yo
no lo soy.
TIMANTE
¿Hay otro
obstáculo?
CHERINTO
Lo suficientemente grande
me parece éste.
TIMANTE
¡Ve
y salva el compromiso
de nuestro padre, hermano, tú eres el heredero!
CHERINTO
¿Yo?
TIMANTE
A partir de
ahora lo serás,
pues vivo gracias
a ti. Te devuelvo, príncipe,
sólo una parte del favor que me hiciste, al cederte
mi derecho al trono.
CHERINTO
Y nuestro
padre...
TIMANTE
Al
menos no
lo
veremos avergonzarse.
¡Pobre
padre! ¿Puedo
hacer menos que esto por él?
¿Qué es
un reino en comparación
con los
muchos bienes que él me
otorga?
CHERINTO ¡Ah,
pierde
mucho
quien deja una corona!
TIMANTE
Siempre
gana más aquel que vive y la dona.
CHERINTO
Con tu entrega veo
muy bien que te
llevas la parte mayor: Ningún trono envidiaría como
envidio
tu corazón. Mil
palabras en un instante
despiertas en mi pecho, de vergüenza, de respeto,
de alegría
y de estupor.
(Sale) Escena
Tercera
(Timante, luego
Matusio
con un
papel en la mano)
TIMANTE
¡Oh,
hijo! ¡Oh,
esposa!
¡Oh,
queridas
almas
mías!
¡Pronto
os
abrazaré!
¿Será
cierto que hasta
el fin de nuestros días, ya sin
angustias , viviremos
unidos?
Dioses,
¿qué alegría
es ésta?
En mí mismo experimento que tiene más
fuerza un
solo placer que todos los tormentos.
MATUSIO
¡Príncipe! ¡Señor!
TIMANTE
¿Eres tú,
Matusio? ¡Ah!
Excúsame si en vano
hice que
me esperaras en el mar.
MATUSIO
Demasiado te excusa el lugar
donde te encuentro.
TIMANTE
¿Y cómo
pudiste entrar
aquí?
MATUSIO
Cherinto me facilitó el
ingreso.
TIMANTE
¿Te ha contado mi felicidad?
MATUSIO
No.
Iba corriendo
como un poseso.
TIMANTE
¡Grandes cosas,
amigo
mío,
te diré, grandes
cosas!
MATUSIO Tal vez
una más grande escucharás de mí.
TIMANTE
Debes saber que soy el ser más feliz de este mundo.
MATUSIO
Pero ahora voy a descubrirte un
gran secreto.
TIMANTE
¿Cuál?
MATUSIO
Escucha que
historia tan
extraña. Dircea
no es
mi hija...
¡ella es
tu
hermana!
TIMANTE
¿Dircea mi
hermana?
(turbado)
¡Eh!
¿Estás
bromeando?
MATUSIO
No es broma,
príncipe. La cuna,
la sangre,
el padre,
la madre tienes tú
en común con ella.
TIMANTE
¡Cállate! ¿Qué
dices?
(Para sí)
¡Ah, que
no lo permita el cielo!
MATUSIO Este
escrito da fe de ello.
TIMANTE
(Impaciente)
¿Qué
escrito es
éste?
¡Dámelo!
MATUSIO
Escúchame primero. Moribunda,
me lo dio mi esposa cerrado;
y me hizo
jurar que sólo si llegaba el caso
que
Dircea estuviera en un grave peligro,
debía
abrirlo.
TIMANTE
¿Por qué no lo hiciste cuando ella hoy,
fue
condenada a muerte por el rey?
MATUSIO
Habían pasado ya tantos años, que lo había olvidado.
TIMANTE
¿Pero
cómo lo recordaste
ahora?
MATUSIO
Cuando me preparaba
para huir hacia el mar, lo encontré entre las cosas
más preciadas que me disponía a llevar
conmigo.
TIMANTE
(Impaciente)
Déjame
que lo vea.
MATUSIO
Espera.
TIMANTE
¡Oh,
cielos!
MATUSIO
¿Recuerdas que de tu madre la reina, mi esposa fue amiga fiel,
que la adoró en vida y la acompañó hasta
la muerte?
TIMANTE
Lo sé.
MATUSIO
¿Reconoces la veracidad de este escrito?
TIMANTE
Sí.
MATUSIO
Observa que está escrito por la propia mano
de la reina...
TIMANTE
(Impaciente)
Sí;
no me
atormentes más.
MATUSIO
(le
entrega el papel)
Léelo.
TIMANTE
(Para sí)
Mi
corazón tiembla.
(Lee)
"Dircea no
es hija de Matusio, sino que ha nacido de
sangre real.
Demofonte es el padre;
nació de mí.
¿Por
qué fue hecho este cambio de filiación?
en
otro escrito
se dirá. Buscad
ese escrito en el templo, al pie
del dios, donde nadie más que el rey se atreve
a acercarse. Mientras
tanto, he aquí una prueba irrefutable:
la reina
lo jura.
Argia.”
MATUSIO
¿Tiemblas,
príncipe? Esto es
más que estupor.
¿Por qué
te invade esa palidez mortal?
TIMANTE
(Para sí)
Dioses
omnipotentes,
¿qué golpe es éste?
MATUSIO
Dime al menos
que eres feliz.
TIMANTE
Matusio,
¡ah,
márchate!
MATUSIO
Pero
¿qué te aflige? Una hermana conseguiste,
¿Y
eso para ti
es
causa de desdicha?
TIMANTE
¡Déjame, por
piedad! ¡Déjame
en paz!
(se desploma en un asiento)
MATUSIO
¡Qué distintas son las mentes humanas!
El mismo evento que
a unos da placer,
a otros atormenta.
Incluso el verdadero mal y el
verdadero bien se da de acuerdo a la calidad de nuestros sentimientos.
Según nuestro corazón esté en paz o en guerra,
cambian de color todas las cosas.
(Sale)
Escena Cuarta
(Timante solo)
TIMANTE
¡Ay de mí! ¡Qué río de
hielo cayó sobre mi corazón!
¡Qué
negro aspecto tiene mi
destino!
Finamente entiendo
el por
qué de tantas
desgracias.
Perseguía
el cielo un
himeneo
prohibido. Siento que
desfallezco. ¿Suegro y
padre es a la vez el rey para mí? ¿Mi hijo
y sobrino, es por lo tanto, Olinto? ¿Dircea
es mi esposa y
mi hermana?
¡Ah,
qué confusión
fatal de
nombres opuestos! ¡Huye,
huye, Timante! No te presentes nunca más
a los ojos de los otros.
Todos te señalarán con el
dedo. Serás la vergüenza de tu
anciano padre; y ¡cuánto, oh dioses, se
hablará de ti! Tracia
infeliz,
aquí está tu
Edipo. Las
furias de Argo y
de Tebas verás volar renovadas sobre
mí. ¡Ah,
Dircea, ojalá no te hubiese
conocido jamás! Frases sangrientas
eran
aquellas que yo creía impulsos de la
pasión. ¡Qué
infausto día fue aquél en que te vi! ¡Nuestros
afectos,
recuerdos
horribles
serán
para nosotros! ¡En qué
monstruoso objeto me he
convertido! Odio la luz;
cada
brisa me espanta;
Bajo mis pies temblorosos me
parece que el
suelo se abre. Siento
caer cien rayos a mi
alrededor; y leo,
¡oh,
dioses! tallado
en cada piedra mi
pecado. Escena
Quinta
(Creusa,
Demofonte,
Adrasto
con
Olinto de
la
mano, y
Dircea,
uno
tras otro,
desde
lados
opuestos) CREUSA
¡Timante!
TIMANTE
¡Ah,
princesa,
ah! ¿Por qué
no me dejaste
morir?
DEMOFONTE
¡Amado hijo!
TIMANTE
¡Ah,
no, no me llames
nunca más
por ese nombre!
CREUSA
Acaso no sabes...
TIMANTE
¡Demasiado,
demasiado he sabido!
DEMOFONTE
Un fuerte abrazo,
como
prueba de mi
perdón... Pero
¡cómo! ¿Te apartas de
los brazos
paternos?
TIMANTE
No tengo coraje para mirarte a la cara.
CREUSA
Pero ¿por qué?
DEMOFONTE
Pero, ¿qué
pasó?
ADRASTO
Aquí tienes a tu
hijo...
¡consuélate,
señor!
TIMANTE
Aparta de
mi vista a ese niño. DIRCEA
¡Esposo amado!
TIMANTE
¡Vete,
vete, Dircea!
DIRCEA
¿Me
apartas de ti en un día tan dichoso?
TIMANTE
¿Dónde? ¡Ay,
miserable! ¿Dónde me
puedo ocultar?
DIRCEA
¡Detente!
DEMOFONTE
¡Escucha! CREUSA
¡Detente!
TIMANTE
¡Ah!Creéis
que me consoláis, crueles,
pero
me estáis matando.
DEMOFONTE
Pero
¿Por qué
huyes?
TIMANTE
Huyo de
los hombres,
de los dioses, de todos
vosotros y de mí mismo. DIRCEA
Pero, ¿a dónde
vas a ir?
TIMANTE
Donde el sol
no brille, donde no haya vida,
donde mi
recuerdo
permanezca enterrado
para siempre.
DEMOFONTE
¿Y tu padre?
ADRASTO
¿Y tu hijo? DIRCEA
¿Y tu
esposa?
TIMANTE
¡Oh,
dioses!
¡No habléis
así!
Padre, esposo, hijo,
hermano son
dulces nombres para
los demás, pero
para mí son
horrorosos. CREUSA
¿Por qué razón?
TIMANTE
No
busques saberla.
¡Olvídate
de mí! DIRCEA
¡Ah!
Por aquellos
dichosos momentos
de nuestro amor…
TIMANTE
¡Cállate,
Dircea! DIRCEA
Por el dulce lazo que nos
une...
TIMANTE
¡Calla,
por piedad!
Sin pretenderlo, me
destrozas el alma. DIRCEA
Puesto
que tan poco te preocupa tu esposa, que al menos te
conmueva tu
hijo.
¡Míralo!
En otor tiempo lo amabas.
¡Míralo,
es tu sangre!
TIMANTE
¡Ojalá no lo fuera! DIRCEA
Pero
¿qué culpa tiene?
¿Por qué
lo desprecias? ¿Por qué
te niegas a mirarlo?
¡Mira,
míralo!
Te
extiende sus pequeñas manitas. ¡Cuánto quiere decirte, con esa sonrisa inocente!
TIMANTE
¡Ah!
Si el infeliz niño supiera
aquello
que algún día ha de saber,
para su
vergüenza,
no
lo traeríais junto a mí.
Pequeño
infeliz, no sabes
tu destino. ¡Ah!
No se os ocurra decirle
quien fue
su padre.
De
repente
¡oh,
dioses! todo ha
cambiado. Tú fuiste
mi amado hijo,
y ahora eres la causa de mi
terror.
(Sale)
Escena
Sexta
(Demofonte,
Dircea, Creusa,
Adrasto
y
Olinto)
DEMOFONTE
¡Síguelo,
Adrasto!
(Adrasto
sale después de haber
entregado a
Olinto
a un
criado que
lo lleva
fuera de la escena)
¡Ah!
¿Quién me puede
explicar si
Timante
es un
desesperado o
un loco?
Pero¡vuestros
rostros me miran
y callan!
Debo saber
el
problema
al que debo enfrentarme.
¡Dioses
del cielo, aconsejadme!
¡Haced
que al menos conozca el peligro que me amenaza!
Oigo el
sonido de frases
quejumbrosas; veo el
humo que enturbia
el día; siento trepidar
las llamas
alrededor y no
entiendo dónde está el fuego.
El temor
aumenta mis dudas
y mis
dudas aumentan el temor, de
modo que por tanto miedo pierdo
cualquier posibilidad
de escapatoria.
(Sale)
Escena
Séptima
(Dircea
y
Creusa) CREUSA
Y tú,
Dircea, ¿qué haces?
De ti se trata. Se trata de tu
cónyuge.
Corre tras él
y trata de
averiguar...
Pero
¿no me
oyes? ¿Tus ojos
atónitos no logras levantar del
suelo?
¡Sal
de tu letargo!
El peor consejo
es no
aceptar ninguno.
Desahoga el dolor que
ocultas. ¡Llora,
laméntate, habla, contesta! DIRCEA
¿Qué podría contestar? ¿Qué podría decirte? Quisiera
defenderme, quisiera huir; no sé
qué
rayo me hace temblar.
Me vuelvo
estúpida. Con este
golpe terrible no tengo
lágrimas, no tengo
voz. No puedo
llorar. No puedo
hablar.
(Sale)
Escena
Octava
(Creusa
a solas) CREUSA
¿Qué
país es éste?
¿Por qué vine a
compartir
la miseria de los demás?
¡Cuántas
cosas en un día,
a
cuántas situaciones nos vemos sometidos!
Conflicto
entre el hijo y el
padre;
víctimas humanas;
templos
contaminados;
himeneos infelices. Lo único
que me falta
es
temblar sin saber
por qué. Pero
¡oh,
destino! demasiado
violento es tu furor.
En esta cruel desventura
tener una pequeña esperanza
es mejor que no tener ninguna. No dura
una desventura cuando
hasta este punto
llega. Un
principio de esperanza es el
exceso de temor.
Todo ha
cambiado rápidamente;
y nuestro
estado es tal,
que si
algo tiene que cambiar, lo que
ocurra siempre será mejor.
(Sale)
Escena
Novena
(Hermoso sitio del palacio
festivamente
decorado para la
boda de Creusa.
Timante y
Cherinto)
TIMANTE
¿A dónde, cruel? ¿A
dónde
me guías? ¡Ah!
Estas
alegres pompas son
desdichas para un desesperado.
CHERINTO
¡No reconozco a mi hermano! ¿Qué
debilidad es ésta, tan
indigna de ti? Erraste sin saberlo. Eres
infeliz, es cierto,
pero no eres culpable.
Cualquier
pecado es leve, donde
no existe culpa.
TIMANTE
El mundo
regula el juicio de sus obras; y la razón, cuando la obra
es pecadora, en vano la absuelve. Soy culpable, demasiado
culpable;
y si hasta hoy no lo fui,
ahora lo soy por seguir vivo.
No puedo olvidarme de
Dircea. Siento que la amo; sé que no debo hacerlo. Pero
¿cómo romper en pocos
minutos el lazo que un verdadero amor, que
un himeneo, que un hijo,
anudaron de esa manera?
¡Las propias desdichas
lo
han hecho más
fuerte?
¿Tanta
fidelidad?
¿Tan dulces recuerdos?
¡Ay,
dioses! ¡Cherinto, déjame, por piedad!
Deja que muera, mientras soy inocente.
Escena
Décima
(Adrasto y luego
Matusio, después
Dircea
con
Olinto;
y los anteriores)
ADRASTO
¡Timante, el rey te
busca!
Hace un momento,con
Matusio,
lo vi
salir del templo. Ambos
muestran rostros felices y requieren
tu presencia.
TIMANTE
No, iré a su encuentro.
Temo
encontrarme con mi padre.
MATUSIO
(abrazándolo)
¡Hijo mío!
¡Querido hijo!
TIMANTE
¿Me llamas hijo! ¿Cómo?
¿Por qué?
MATUSIO
Por qué eres mi hijo,
porque yo soy tu
padre.
TIMANTE
Sueñas...
¡Oh
cielos, allí viene
Dircea! DIRCEA
¡No, no me dejes,
no huyas!
¡Oh esposo,
yo no soy tu hermana!
TIMANTE
Me
engañas para
tratar de calmar mi alma.
Escena
Décimoprimera
(Demofonte con
su séquito
y
los anteriores)
DEMOFONTE
¡No te
engaña, Timante
es cierto, es cierto!
TIMANTE
Si me
estás engañando,
sería una
crueldad.
DEMOFONTE
Tranquilízate; no, tú
no eres mi
hijo. Fuiste intercambiado con
Dircea en la cuna. Ella
es mi
hija, y tú lo eres de
Matusio. A
su
esposa, mi consorte te pidió
como
obsequio.
Creyó que era útil para el reino
hacer este
intercambio
y darme un heredero varón.
Después,
cuando nació
Cherinto,
se dio cuenta que a su propio hijo
le había arrebatado el
trono, pero ya no se
atrevió a revelarme el secreto,
pues veía que yo
de
ti me había encariñado demasiado. En su
hora extrema confesó todo en dos escritos
que dejó.
Uno a su
amiga,
que es el
que Matusio te mostró. El
segundo escrito lo escondió y es el
que ahora puedes ver.
TIMANTE
¿Y por qué
no
explicó todo en el
primero?
DEMOFONTE
El primero es
la prueba
de que
Dircea era hija del rey. Fue
suficiente para ello
jurar
que ella
era su hija. El gran
secreto de tu verdadero
origen
era
un
misterio que sólo podía revelármelo a mí,
porque
llegado el caso
yo debería decidir si lo
revelaba
o lo mantenía en secreto. Por tal
motivo ocultó el segundo escrito en un
lugar solo accesible para mí.
TIMANTE
Tan
extraños sucesos
me hacen
dudar.
DEMOFONTE
Demasiado evidentes son las
pruebas.
Aquí
se narra
todo lo que
te he dicho.
Velo por ti mismo.
TIMANTE
¡No me decepciones de
nuevo, oh destino!
(Toma el
papel y
lee para
sí)
Escena
Última
(Creusa
y
refranes) CREUSA
Señor
¿son
verdaderas las buenas noticias que se esparcen por
todo el palacio?
DEMOFONTE
Sí, princesa,
aquí está tu esposo.
El
heredero, el hijo
que te prometí. En
Cherinto te ofrezco a mi hijo
y heredero.
CHERINTO
El cambio,
quizá,
disguste a Creusa. CREUSA
En vano presentaría reparos por
aquel a quien el cielo me
destina.
CHERINTO
¿Aún te niegas a decir que me
amas? CREUSA
El tiempo lo dirá.
TIMANTE
¿Así que yo
soy el
usurpador
inocente del
que
el oráculo habló?
DEMOFONTE
Sí.
Mira como todas las nubes han
desaparecido.
El reino
ha sido liberado
de hacer
el sacrificio anual.
El
verdadero heredero retoma la
corona. Yo
cumplo la promesa que hice
al rey de
Frigia,
sin usar
ninguna artimaña. Cherinto
consigue a
Creusa y
ella un cetro.
¡Abraza
pues a
Dircea! Ya no
existe una causa de dolor.
Un sólo escrito ha
disuelto
los problemas.
TIMANTE
¡Oh,
querido escrito!
¡Qué feliz soy! ¡Oh,
dioses!
¡Me siento aliviado del
peso terrible!
Hijo,
esposa, volved a mis brazos. No puedo
abrazaros sin dejar
de temblar. DIRCEA
¡Qué momento tan
dichoso!
CREUSA
¡Qué tiernos sentimientos!
TIMANTE
(se arrodilla)
A
tus
pies estoy
de nuevo, mi
justísimo rey. Excusa
los excesos de un
amor desesperado. Yo,
te lo juro, voy a ser mejor
plebeyo que
hijo tuyo fui.
DEMOFONTE
¡Levántate,
sigues siendo mi
hijo! Llámame
padre, pues
quiero serlo mientras viva.
Nuestro
afecto hasta ahora era obligatorio,
a partir de hoy, lo
será por voluntad propia. Será un
fuerte lazo fabricado
por
nosotros y no por el destino. CORO
Parece mayor que cualquier
otro deleite, el que en un alma se
libere cuando ella está oprimida
por el temor. ¿El placer perfecto,
para
que sea grande,
deberá nacer del dolor?
Despedida
Qué
las desgracias,
los
equívocos, la
crueldad y violencia
ajenas se
presenten como
un
espectáculo divertido
ante tus ojos,
no es
extraño, señor.
La
contraposición de los hechos hace más
nítida la comparación. Podemos
captar mejor, ante el
dolor de los oprimidos, el bien
del que gozamos
gracias a ti.
Cuando el inhumano tracio
envía a la muerte a la
inocente víctima, todos pensamos en tu
justicia. Tiemblan
y se irritan los miserables al suplicar;
y todos acuden a tu piedad. Bárbaro
es aquél que no se muestra con su
hijo como
un tierno
padre. Cualquier
exceso
representado en el
escenario nos
descubre en ti la virtud opuesta.
El
ingenioso pincel del autor,
alterna lo oscuro con lo
claro.
Así pues, como artífice
industrioso, recoge
la brillante gema de oro y la recubre con un oscuro
color; y
ella, por contraste,
luce entonces mucho más
hermosa. Aspira a una gloria fácil
aquel que en la profunda sombra
tu resplandor desea
encontrar. Así pues,
la antigüedad, no tiene una luz
tan clara que al lado de
tu luz sombra no sea.
Digitalizado y
traducido por:
José Luís Roviaro
2019 |